Alaska – Il cinema italiano verso una nuova cultura
Tra David di Donatello e giovani registi alla ribalta, “Alaska” rappresenta un altro blocco importante per la nuova strada intrapresa dal cinema italiano di ultima generazione.
Non sembrano esserci dubbi: il cinema del Bel Paese ha imboccato nuovi percorsi nella mercificazione dei propri prodotti, e le produzioni degli ultimi tempi stanno pian piano scardinando l’idea di un cinema buono solo ad offrire pellicole comico-demenziali o opere d’arte esageratamente riflessive. Esperimenti come Perfetti Sconosciuti o Lo chiamavano Jeeg Robot sono forse i più chiacchierati dell’ultimo periodo, ma anche lavori televisivi come 1992, Romanzo Criminale e simili hanno segnato una svolta importante verso una produzione di genere che possa mettere insieme qualità e popolarità a favore dell’industria cinematografica. “Alaska”, terza opera del giovane Claudio Cupellini (conosciuto principalmente per Lezioni di Cioccolato, Una vita tranquilla e per aver diretto tre episodi dell’acclamata serie Gomorra), rientra fra questi lavori nonostante la poca notorietà.
Per molti versi si potrebbe considerare la prima fatica “totale” del regista, se non altro per i toni chiaramente più sperimentali o borderline rispetto ai lavori precedenti. Questo film, da lui diretto e sceneggiato, è una love story atipica che si è guadagnata il favore di pubblico e critica ai Festival e in sala. Fausto (Elio Germano) e Nadine (Astrid Bergès-Frisbey) si conoscono in un hotel di lusso in Francia: se uno è un cameriere che aspira a una vita di ricchezze e privilegi, l’altra è una giovane modella in cerca di fortuna. Dal loro primo, tribolato incontro scaturirà l’arresto di Fausto, e la sua uscita dal carcere sancirà l’inizio di una relazione difficile e caotica, all’insegna dell’imprevedibilità.
Al di là della storia dei due protagonisti, o ancora dell’omonimo locale attorno al quale ruoterà il destino dei personaggi, l’Alaska è uno stato mentale: il filo conduttore è il desiderio, è la ricerca della felicità. Che sia la folle utopia di un uomo accecato dall’ambizione o il legame indissolubile fra due amanti sfortunati, “Alaska” passa il suo tempo a esplorare le vite “difettose” di questi individui disperati, uniti dal bisogno di consumarsi a vicenda.
Il frenetico ritmo degli eventi, con una miriade di colpi di scena a togliere il fiato qua e là, non fa altro che appurare la tesi originale secondo cui l’intento del regista fosse proprio quello di esagerare le vicende quasi all’inverosimile. Una vistosa esasperazione emotiva e interpretativa, che esalta il dramma cinematografico facendo forza sulla potenza comunicativa della settima arte. Il punto di vista è fondamentale per coglierne il senso, e Cupellini in questo sta ben attento a tenere lo spettatore distaccato dalle vittime del suo caotico vortice. Il regista sembra quasi condannare i propri personaggi per le loro (re)azioni, per le loro scelte. E, pur rendendo cosciente anche lo spettatore, sceglie di condurre le sue creature verso un tunnel la cui uscita sembra irraggiungibile.
“Alaska” non presta minimamente attenzione alla struttura né alla cultura di genere, perciò evolve e muta senza sosta accennando a un equilibrio che va sempre a sfaldarsi quando sembra ormai raggiunto. Ciò avviene nella teoria (le storie dei personaggi) ma è perfettamente reso nella pratica (la messa in scena). Il grande “pasticcio” di Cupellini trova la sua quadratura grazie a un ottimo comparto tecnico che gioca molto sulle scelte registiche e sul talento degli interpreti. L’espressività è la caratteristica preponderante dell’intero film: basta un cambio di mimica di Germano o uno sguardo penetrante della Frisbey a rendere il momento memorabile, mostrando in un dramma struggente una dolcezza rara a questi livelli.
Oltre la caratura tecnica, oltre la grande emotività, sono le forti passioni a far da filo conduttore all’intero film. Mettendo insieme elementi fra loro dissonanti esce un’armoniosa opera cinematografica: quando l’amore non è un compromesso, ma si fa vita e respiro, non disdegnando la carnalità quasi maniacale, la cupa violenza della passione, è lì che emerge una malinconia tutta particolare che dimostra come anche una piccola opera possa farsi grande agli occhi del mondo. Il cinema italiano è pieno di giovani registi pieni di idee che stanno muovendo l’industria verso nuove direzioni: un cambio di rotta lento e graduale che porterà presto a una nuova cultura.
Alaska - Il cinema italiano verso una nuova cultura
Rating - 8
8
The Good
- Sceneggiatura profonda e ricca di spunti interessanti
- Comparto tecnico di ottima fattura
- Potenza espressiva e originalità
- Grandi interpretazioni del cast
The Bad
- Non di facile fruizione