Kill Bill vol 1 e 2 – Analisi del film culti di Quentin Tarantino
Kill Bill è un unico lungometraggio diviso in due volumi, un film diventato cult come molti dei suoi personaggi e diretto da Quentin Tarantino
In questa rubrica la redazione di FilmPost si impegna nel compiere analisi approfondite dei film cult e stavolta è il turno di Kill Bill. Lo scopo è quello di avere una visione completa delle opere più importanti del mondo del cinema. Quarto (e quinto) lungometraggio del celeberrimo regista statunitense, Kill Bill è un film diviso in due parti, a lungo inseguito da Quentin Tarantino e dalla protagonista Uma Thurman. Violento, dinamico e colmo di omaggi e citazioni, Kill Bill è un vero gioiellino della filmografia tarantiniana.
Kill Bill: analisi del film cult di Quentin Tarantino
Il soggetto, o meglio l’idea originaria, nasce sul set di Pulp Fiction. Come sempre accade per le opere di Tarantino, anche Kill Bill ha una storia particolare e una genesi tra le più curiose dell’intera storia del cinema. Come ormai tutti sanno, il personaggio di Mia Wallace, nella seconda pellicola tarantiniana, ha girato un episodio pilota di Volpe Forza 5: la bella Mia avrebbe dovuto interpretare una spietata assassina specializzata in lame, al fianco di altre quattro killer addestrate. Oltre al chiaro omaggio alle Charlie’s Angels, questa meta-serie fu un effettivo atto di preveggenza. Infatti, nove anni dopo, i cinema di tutto il mondo presentarono sullo schermo Kill Bill.
Girato come un solo lungometraggio, ma diviso in due per motivi stilistici e di lunghezza, Kill Bill rappresenta molto più di un semplice film violento e dinamico. Tanto per iniziare, oltre alla già descritta pre-citazione in Pulp Fiction, questa mini-saga è il regalo del regista di Knoxville alla sua musa ispiratrice: Uma Thurman. La donna, infatti, iniziò a girare il film al compimento dei suoi trent’anni e in seguito alla sua prima gravidanza. Come dichiarato in diverse interviste, i due avevano inizialmente scherzato sulla realizzazione effettiva del progetto, ma successivamente ai vari impegni di entrambi, riuscirono a portare a compimento quello che è l’ennesimo cult tarantiniano.
Cult che non si esonera da un lavoro tecnico superbo e dalla presenza di un cast dalle qualità indubbiamente notevoli. In Kill Bill sono inoltre presenti una grande quantità di omaggi e citazioni, soprattutto al mondo orientale, in particolare quello nipponico, molto caro a Tarantino. Ma facciamo un po’ di ordine.
Kill Bill vol. 1: recensione e analisi
Come già scritto, Kill Bill doveva essere originariamente un solo lungometraggio. Ma Tarantino, forse spinto anche dai suoi produttori, si rese conto di doverlo dividere per una più completa e gradevole fruizione da parte degli spettatori. Il primo lungometraggio è completamente orientato verso l’oriente, in un tripudio di paesaggi, omaggi e stili riconducibili alla cultura nipponica. Il film si apre, così come la maggior parte dei lavori tarantiniani, con un prologo. In bianco e nero, questo racconta la gioia e l’attesa di una giovane e bellissima sposa vestita di bianco, in quello che sembra essere il suo matrimonio. Ma la donna non sarà destinata a mantenere il sorriso: la vediamo infatti coperta di sangue e in agonia, tramortita sul duro pavimento della chiesa.
In un prologo senza particolari dialoghi (novità assoluta per Tarantino), ciò che risalta sono i rumori di passi, seguiti dal colpo di una pistola. Bill (David Carradine) ha infatti sparato in testa alla sposa. Sin dai primi minuti, quindi, lo spettatore è tramortito quasi quanto la sposa. Non capisce perché un gruppo di persone le ha giocato questo brutto scherzo il giorno più importante della sua vita e nemmeno come abbia fatto a sopravvivere ad uno sparo in testa.
Ma, evidentemente, la sposa senza nome è viva. La troviamo, infatti, nel primo capitolo (Capitolo 1: 2) del film, intenta a colmare la sua sete di vendetta. Tarantino gestisce la narrazione delle vicende come sa fare meglio: tramite flashback e parentesi, usando il montaggio per dare una forte connotazione alle immagini. Dopo il prologo, infatti, non troviamo la sposa sul pavimento della chiesa o in qualche letto d’ospedale, ma in un’abitazione del tutto sconosciuta. Siamo in California, più precisamente a casa di Vernita Green (Vivica A. Fox), apparentemente una normalissima casalinga americana.
Kill Bill: spiegazione
Ma Vernita non è una semplice casalinga, bensì un membro della D.V.A.S. (Deadly Viper Assassination Squad); in italiano “Squadra Assassina Vipere Mortali”. L’associazione è appunto un covo di assassini addestrati, creata da Bill. La stessa che ha lasciato la sposa in fin di vita sul pavimento di una chiesa di Pasadena. È quindi da Vernita che la donna inizia a chiudere i conti in sospeso. Nel vederla è comprensibilmente sorpresa, ma cerca di non darlo a vedere. Tarantino gioca sull’assurdo facendo chiacchierare le due amabilmente per un po’, quasi fossero vecchie amiche ritrovatesi per caso.
È solo successivamente, infatti, che le due iniziano a lottare. Non usano armi fisse ma tutto ciò che capita loro a tiro, rendendo lo scontro rocambolesco e leggermente ironico – senza però rinunciare alla dinamicità e alla cruda violenza. Ad interrompere la lotta arriva però Nikki, la figlia di Vernita, che si chiede cosa stia succedendo. La madre le ordina di chiudersi nella sua camera, ed è così che lo scontro continua.
Uno dei momenti più interessanti è quello di Vernita che recupera una pistola da una scatola di cereali, tuttavia mancando la sua avversaria. È proprio in seguito a questo gesto che la sposa, spinta dall’odio, le lancia un coltello, uccidendola. La piccola Nikki, nascosta dietro la porta della cucina, ha visto tutto lo scontro e la conseguente morte della madre. La sposa, in un dialogo di un cinismo e una forza sorprendente, le promette di essere disponibile, nel caso in cui Nikki decidesse in futuro di vendicarsi. Ed è in questo piccolo scambio di battute che iniziamo ad intravedere il personaggio della protagonista (ancora senza nome). Ella sembra infatti ormai insensibile a qualsiasi sentimento umano, oltre all’odio. Il cinismo e la sete di vendetta la alimentano, spingendola nella sua missione.
Capitolo 2: La Sposa imbrattata di sangue
Tarantino prosegue, nell’inizio del secondo capitolo, con i flashback. Ci troviamo quattro anni e sei mesi prima la morte di Vernita. È il giorno della strage ai Due Pini, la chiesa luogo della carneficina. La sposa è appena stata picchiata a sangue e sul luogo del delitto troviamo due poliziotti: Earl e Edgar McGraw (Michael e James Parks), padre e figlio sul set e nella vita reale. I due scoprono che la sposa è ancora viva (in seguito ad un suo sputo sul volto dello sceriffo) e si chiedono come sia possibile.
Sei mesi più avanti, Tarantino inserisce un altro personaggio fondamentale per la storia: Elle Driver. Innamorata di Bill, anche se il fatto non viene mai esplicitato, vuole con tutte le sue forze uccidere la sposa tramite un’iniezione letale, ma verrà fermata dallo stesso Bill. Come molti dei personaggi di Kill Bill, anche Elle è una citazione in carne ed ossa. Interpretata da Daryl Hannah, sembrerebbe essere stata ispirata, in fase di sceneggiatura, a due personaggi distinti: la protagonista del film svedese Thriller – en grym film; e Patch, presente in Switchblade Sisters.
Saranno diversi i momenti in cui la perfida Elle Driver cercherà di finire la sposa, ma il suo intento sembra più difficile del previsto. Orba dell’occhio destro, si nutre anch’essa di odio, non avendo altre ragioni per vivere. Ma torniamo alla sposa, in coma sul letto di un ospedale. Tarantino decide di farla risvegliare in un momento di tensione, per mostrare la sua potenza e la sua furia omicida anche dopo anni di coma: un tentato stupro da parte di un dipendente dell’ospedale. Rubate le chiavi della “Pussy Wagon” dell’uomo, la cui traduzione italiana non lascia margini di dubbio, decide di proseguire con il suo piano di vendetta.
Capitolo 3: Le origini di O-Ren
All’interno dell’auto, la sposa sa che non è nelle condizioni di guidare. Trascinatasi sino al parcheggio, opta quindi per una tecnica di riabilitazione orientale per favorire la mobilità articolare. È qui che il regista dà sfoggio di una sua piccola perversione: il feticismo. I piedi di Uma Thurman, così come in Pulp Fiction, vengono inquadrati per lunghi minuti. In una creazione magistrale di tensione, lo spettatore soffre insieme alla sposa sino al più piccolo movimento di una delle dita. Una volta ristabilita la mobilità, la donna parte per la prossima tappa: O-Ren Ishii. Interpretata da una superba Lucy Liu, O-Ren è uno dei conti in sospeso più brucianti per la sposa. La sua infanzia è stata segnata da un terrificante duplice omicidio dei suoi genitori, al quale ha assistito in prima persona.
Questa storia è raccontata, all’interno del film, con una tecnica animata che fa da stacco al normale corso della diegesi. Le animazioni, degne di un anime, sono state realizzate da un noto studio giapponese realizzatore del famoso anime Ghost in the Shell. Il personaggio di O-Ren, tra l’altro, è il più evidente oggetto di citazione. Esso è infatti palesemente ispirato al film giapponese Lady Snowblood, oltre ai vari film oggetto della Yacuza (la mafia giapponese). Assassina già a nove anni, quella di O-Ren è stata una rapida scalata proprio ai vertici della Yacuza, dimostrando con la violenza di meritare il ruolo.
La lotta tra la sposa e O-Ren (che avviene solo successivamente) è una delle più iconiche degli ultimi anni, diventando ben presto una scena cult della cinematografia mondiale. Qui Tarantino sfodera il piano-sequenza, oltre ad una scenografia e una fotografia semplicemente perfette. Tutto, in questo punto della pellicola, grida alla citazione nipponica. Indimenticabile la sequenza a luci spente, in cui l’esperto regista gioca con le ombre, lasciando lo spettatore senza fiato.
Capitolo 4: l’uomo di Okinawa
Certo, risulta un po’ strano che una singola donna, per di più ferita, riesca a far fuori l’intero esercito della mafia giapponese. Ma il potere dell’odio, della vendetta, ma soprattutto della sua katana, la porterà alla lotta finale con O-Ren, la quale è convinta di uscirne vincitrice. Ma ciò risulterà falso. Il suo scalpo mozzato con la katana è infatti anch’esso ormai un piccolo cult. Ancora una volta, Tarantino propone la violenza più sfrenata, ma con un significato ben preciso. Le sue scene di lotta girate in piani-sequenza, tra mille citazioni e con l’ausilio di una fotografia mozzafiato sono indelebili nella memoria cinefila. Lo scontro quasi interamente tra donne, inoltre, valorizza il sesso femminile, dato che all’epoca era una prerogativa maschile.
Ma precedentemente all’assassinio di O-Ren, la sposa si reca a Okinawa, per incontrare l’uomo che le può fornire la sua arma: la katana. Sotto copertura, si spaccia per una semplice turista, ma fatte capire le sue intenzioni a Hattori Hanzō (Sonny Chiba), decide di fargli pressioni per farsi costruire una katana. Ricalcato sulle orme di una personalità storica realmente esistita, Hanzō è un omaggio più che una citazione. Come detto in precedenza, nonostante Kill Bill sia un unico lungometraggio diviso in due volumi, il primo subisce la forte influenza della cultura orientale, in particolare nipponica. I personaggi, i luoghi, i costumi e persino alcuni dialoghi omaggiano continuamente l’isola tanto cara a Tarantino. Ma sono proprio O-Ren e Hattori Hanzō a manifestare nella forma più esplicita possibile tale tributo.
Capitolo 5: Resa dei conti alla casa delle foglie blu
L’ultima delle donne con cui la sposa dovrà fare i conti è Sofie Fatale (Julie Dreyfus); facente parte anche lei della D.V.A.S. e presente durante la battaglia contro la Yacuza, nella villa di O-Ren, nella quale viene mutilata dalla sposa. Per sua stessa ammissione, ha deciso di lasciarla viva non per pietà, ma per servirsi di lei. Dovrà infatti riferire a Bill di essere viva e di starlo cercando. Con un braccio mozzato, Sofie obbedirà alla sposa, concludendo così il primo volume di Kill Bill.
In circa 105 minuti, Tarantino costruisce una pellicola che racchiude diversi elementi. Violenza, lotta, citazioni e omaggi. Ma anche la forza devastante di una donna tradita e umiliata, il cui solo scopo nella vita è la vendetta. Un cast stellare e in forma smagliante contribuisce alla realizzazione di questo cult, insieme ad una tecnica sopraffina.
Accompagnato da una colonna sonora anch’essa pregna di omaggi e citazioni, Kill Bill vol. 1 si aggiudica diversi premi e nomination importanti. Uma Thurman viene nominata ai Golden Globe come migliore attrice in un film drammatico, così come ai BAFTA. In questi ultimi il lungometraggio viene nominato anche per la miglior colonna sonora, il montaggio, il sonoro e gli effetti speciali. Tarantino si aggiudica invece un Empire Award alla regia, e Uma Thurman per la migliore interpretazione. In Italia, infine, il regista statunitense viene nominato per la miglior regia ai Nastri d’Argento.
Kill Bill vol. 2: recensione e analisi
Nel 2004, ossia un anno dopo l’uscita del primo volume, Tarantino torna in sala con Kill Bill vol. 2. Questo secondo volume segna la fine della mini-saga, lasciando tuttavia uno spiraglio per un possibile sequel, in verità mai confermato. Qui la sposa porterà a termine la sua vendetta, ma dovrà affrontare delle prove ancora più dure e dolorose rispetto al coma.
Anche qui, naturalmente, vediamo il film iniziare con un prologo. Come se si trattasse di una serie televisiva, il regista fa un piccolo riassunto all’inizio dell’episodio, mettendo in luce i momenti salienti. Un gruppo di persone ha brutalmente picchiato (e sparato) una sposa dall’abito bianco, in quello che sembrava essere il giorno del suo matrimonio. Dopo quattro anni di coma si è risvegliata, e ha portato avanti il suo piano di vendetta. Il primo capitolo di questo secondo volume non inizia però dal principio della numerazione, ma riprende quella del volume precedente. Ciò dimostra chiaramente il fatto che Kill Bill fu concepito come un lavoro unico.
Capitolo 6: Massacro ai Due Pini
Tra colpi di scena e dialoghi magistrali, il primo capitolo del secondo volume di Kill Bill non lascia deluso lo spettatore. Ci troviamo ancora una volta all’interno dei Due Pini, la chiesa di Pasadena protagonista di un vero massacro. Solo in questa fase scopriamo che il giorno non era quello del matrimonio della sposa, ma di una prova generale. Il reverendo, gli invitati e lo sposo sono tutti vestiti a punto, pregustando l’arrivo del giorno magico.
Naturalmente in chiesa è presente anche Bill, il mandante della strage. In una delle scene più iconiche della mini-saga, vediamo la sposa uscire dalla chiesa, in visibile stato di attesa, e scoppiare in un pianto di felicità. Ha infatti appena visto Bill, che descrive come un padre. I due iniziano a dialogare, in quello che è uno dei dialoghi di punta di tutta la filmografia tarantiniana. Il regista, qui, sfodera una delle sue armi migliori, facendo dei dialoghi una vera marca stilistica.
È proprio in seguito alla conversazione, e al ‘grazie’ sussurrato dalla sposa che Bill dà avvio alla sua missione. Lo sposo, Tommy (Chris Nelson), il reverendo (Bo Svenson) e tutti gli invitati vengono infatti trucidati senza pietà. Come ultima, la D.V.A.S prende di mira la sposa, picchiandola selvaggiamente. Bill, poi, le infliggerà quello che tutti credono essere il colpo di grazia, sparandole in testa. Le ultime parole della sposa, sconvolta e moribonda sono rivolte proprio all’uomo: “Bill, è tua figlia!”.
Capitolo 7: la tomba solitaria di Paula Shultz
In questo settimo capitolo, Tarantino dà sfoggio ad una ascesa di tensione minuziosamente studiata. Ci troviamo nella lurida dimora del fratello di Bill: Budd. Ad interpretarlo uno sciupato ma sempre credibile Michael Madsen, che Tarantino dirige nel suo apice una decina di anni prima ne Le Iene. La storia di Budd si lega in maniera inossidabile a quella di altri tre personaggi: Bill suo fratello, Elle Driver e Hattori Hanzō.
In un intreccio degno di Tarantino, queste tre personalità hanno condizionato in maniera radicale il destino di Budd. Unico uomo facente parte della D.V.A.S., si è ridotto a vivere nello squallore più totale, in seguito all’allontanamento da suo fratello. A farli separare è stata proprio Elle, divisa sentimentalmente (ma forse più sessualmente) tra i due uomini. Tornato nella sua dimora dal lavoro, l’estremo silenzio lo insospettisce. Non ci sono dialoghi a rompere lo schermo sonoro, ma un silenzio inserito benissimo nel contesto. Lo spettatore può quindi presagire che qualcosa sta per accadere. Ad aspettarlo, infatti, troviamo la sposa, con l’intento di depennare un altro nome dalla sua lista della vendetta.
Ma Budd non era sorpreso di vederla. Infatti, dopo le notizie dategli da Sofie, Bill, nonostante gli screzi con suo fratello, prende la decisione di avvisarlo del ritorno della sposa. In un dialogo tra i due infatti, lo informa della strage che la donna ha compiuto nel tempio della Yacuza, e del suo intento di ucciderli tutti. La frase di Budd, a questo proposito, è ormai un vero e proprio cult: “Quella donna merita la sua vendetta… e noi meritiamo di morire.” Budd, quindi, reagisce subito sparandole del sale grosso sulla pancia, stordendola. Nel silenzio quasi più totale tra i due, i rumori sono i protagonisti della scena.
La particolarità di Budd
Dopo aver stordito la sposa, Budd chiama Elle Driver, con la proposta di venderle la spada fornitagli da Hattori Hanzō. La donna accetta, affermando di aver preparato la cifra da lui richiesta: un milione di dollari. Un’altra sua clausola, però, era quella di dare alla sposa una morte atroce.
Budd, tuttavia non la uccide. La particolarità di questo personaggio è di essere l’unico ad avere la meglio sulla donna. Tutti gli altri, infatti, dopo averla affrontata, sono andati incontro alla morte certa. Budd, invece, dopo averla stordita, chiama un suo amico, Ernie (Clark Middleton). I due preparano una fossa nel cimitero della città, e dopo averla seppellita viva dentro una bara di legno la lasciano lì agonizzante. Budd, nel momento della chiusura, proclama di starsi vendicando da parte di Bill, dimostrando il suo affetto per il fratello. Nel farlo le offre però una torcia, dandole il merito per aver spezzato il cuore proprio di Bill, dando sfogo alla sua bipolarità.
Capitolo 8: I crudeli insegnamenti di Pai Mei
In questo ottavo e terz’ultimo capitolo del lungometraggio, Tarantino torna ad omaggiare l’oriente. Nonostante il secondo volume sia molto più ‘americanizzante’ rispetto al primo, il suo debole per la cultura orientale torna di prepotenza. E ancora una volta utilizza il flashback per omaggiarla. Sfinita e agonizzante, la sposa si concede un momento di nostalgia. La diegesi si sposta infatti dal cimitero californiano alle giungle del Vietnam, dimora del Maestro Pai Mei (Gordon Liu). Vediamo Bill insieme alla sposa andare dal vecchio, con l’intento di quest’ultima di imparare le arti marziali.
In questo lungo ricordo, vediamo ‘l’uomo più potente del mondo’ istruire la donna, inizialmente debole e spaventata, ma poi diventare una degna guerriera. Tarantino ci offre la possibilità di imparare alcune nobili tecniche, come l’esplosione di una parete di legno attraverso una mano, o l’abilità di maneggiare una katana. Pai Mei è però molto severo e lo vediamo picchiare e umiliare la sposa per renderla più forte. Ma ciò che è più importante è la tecnica omicida delle cinque dita, con le quali puntare al cuore e uccidere un uomo. La sposa è infatti l’unico suo allievo che ha avuto l’onore di impararla.
Il flashback continua, e Pai Mei entra sempre di più nel cuore della donna, ma anche degli spettatori. Il richiamo all’oriente è fortissimo, ma in perfetta linea con il lungometraggio. Finalmente, dopo questo momento di nostalgia, la sposa decide di agire, spinta dalla sua furia vendicativa. Superato il panico, riesce a muoversi, recuperare un coltello dallo stivale e prendere violentemente a pugni la bara. Una volta libera, il suo primo pensiero va proprio al suo antico Maestro. Qui Tarantino propone un suo must: le inquadrature claustrofobiche, al limite del panico. Qualche anno prima aveva appunto girato un episodio di C.S.I simile alla scena della sposa sepolta viva.
Capitolo 9: Elle e Io
Dopo quasi duecento ore di girato, finalmente uno degli incontri più attesi del lungometraggio ha il suo via. Siamo a casa di Budd, la mattina dopo la sepoltura della sposa. Elle, come promesso, si reca dall’uomo con il denaro pattuito. La katana di Budd è nascosta, dato che l’uomo ha fatto credere a suo fratello di averla venduta per 250 dollari, con il solo scopo di recargli un dispiacere. Al momento dello scambio, però, Budd apre la valigia con il denaro, ma ad aspettarlo trova un Black Mamba (lo pseudonimo della sposa), un serpente mortale che lo morde ripetutamente, lasciandolo morente. Elle chiama quindi Bill, affermando di aver trovato Budd morto, dando però la colpa alla sposa.
Per la prima volta, la donna pronuncia il suo nome: Beatrix Kiddo. Nelle altre occasioni, infatti, il nome veniva sempre censurato, lasciando lo spettatore nel dubbio. Come un avvertimento del suo ritorno, Beatrix compare ad Elle, iniziando un combattimento molto feroce. Come per il primo combattimento contro Vernita Green, le due utilizzano qualsiasi mezzo disponibile per ferirsi. Ciò indica una sorta di ritorno alle origini, una dichiarazione dell’imminente epilogo. Mentre si scontrano, le due iniziano a parlare, ed è in questo modo che Elle soccomberà alla sposa.
Infatti qui scopriamo perché Elle è rimasta orba di un occhio; Pai Mei, durante un allenamento, glielo ha staccato a sangue freddo, dopo essere stato chiamato un “miserabile stupido vecchio”. La donna, per vendicarsi, gli avvelenò la zuppa, provocandogli la morte. Beatrix, a tale notizia, reagisce bruscamente, dopo un primo momento di dolore. Strappa infatti anche l’altro occhio alla donna, per poi calpestarlo con disprezzo. Completamente cieca, Elle rimane a terra agonizzante. Dopo aver recuperato la katana di Budd (in realtà sua), Beatrix si dirige finalmente da Bill, mentre il Black Mamba presumibilmente finirà Elle Driver.
Capitolo 10: Faccia a faccia
Finalmente l’incontro attesto per quasi due film ha inizio. Dopo aver sistemato anche Elle, l’ultimo della lista di Beatrix è proprio Bill. Per scoprire la sua dimora, si reca da Esteban Vihaio (Michael Parks, che nel primo volume interpretava invece lo sceriffo McGraw). Nel ruolo di uno dei padri adottivi di Bill, Vihaio, dopo un’attenta analisi della sposa, decide di rivelarle il suo indirizzo, comprendendo che la sua vendetta fosse quanto più meritata possibile. Armata della sua amata katana, ma anche di una pistola, Beatrix si preparara ad affrontare Bill, ma ad attenderla trova una sorpresa. Sua figlia, la piccola B.B. è lì davanti a lei. Bill, sapendo di essere il padre biologico, l’ha accudita per tutto questo tempo. La sposa è visibilmente sconvolta, e si concede una piccola tregua con sua figlia prima di consumare la vendetta.
Lo spettatore non è sorpreso di vederla, perché nell’ultima scena del volume uno Sofie, in un dialogo con Bill, afferma l’esistenza della piccola. L’incontro è quindi una certezza, ma non per la sposa. Dopo aver giocato con la sua bambina, Beatrix è pronta a uccidere Bill, ma l’uomo le somministra un potente siero inventato da lui, che le lenisce i sensi e le dà un potente effetto di euforia. Ecco che Tarantino torna ad utilizzare le droghe, ma questa volta in modo molto più velato ed elegante. La sposa è quindi costretta a dialogare con Bill, ma lo spettatore può solo gioirne. Qui il regista di Knoxville riesce addirittura a citare Superman, paragonandolo a Beatrix. Bill, infatti, le dirà di aver bisogna di togliere la maschera, piuttosto che indossarla, per diventare un supereroe. I due, in un’atmosfera surreale, parlano del loro passato e dei sentimenti che hanno provato, come se fossero due normali conversali.
Kill Bill: spiegazione finale
Ma il momento della vendetta è sempre più vicino, e Tarantino lo offre all’improvviso agli spettatori. Nella veranda di Bill i due iniziando quindi a lottare, in uno scontro silenzioso e quasi teatrale. Beatrix, però, non fa passare molto tempo. Ancora alterata dal siero, infligge a Bill la mossa delle cinque dita, sorprendendo l’uomo e uccidendolo.
La vendetta è quindi compiuta. Tra lacrime di dolore ed euforia, Beatrix ha portato a termine la sua vendetta, scampando alla morte svariate volte. L’epilogo si svolge la mattina dopo, quando la sposa porta sua figlia in un piccolo appartamento di città. Nascosta in bagno, continua a ridere e piangere insieme, e il suo pensiero va costantemente a Bill, l’uomo che l’ha tradita ma l’unico che abbia mai veramente amato. Da parte sua, l’uomo non poteva accettare che la sposa finisse con un uomo qualunque, e conducesse una vita come tante altre. La sua Beatrix era, secondo lui, destinata ad uccidere. E la punizione per aver abbandonato il suo destino non poteva essere altro che la morte.
Tra omaggi, citazioni, lotte, sangue e grandi dialoghi, Tarantino porta così a termine Kill Bill. Ancora una volta delizia i suoi spettatori con i suoi marchi di fabbrica: grandi piani sequenza, contre-plongée (inquadrature dal basso), una sceneggiatura con i fiocchi e un cast eccezionale. Con Kill Bill il regista statunitense ha voluto fare un regalo non solo alla protagonista, ma a tutto il suo pubblico. È così che Volpe Forza 5 prende vita, riuscendo a citarsi come solo lui sa fare. A differenza di Pulp Fiction, però, qui Tarantino non appare come attore, ma concede un cameo a Samuel L. Jackson, in veste di pianista alle prove del matrimonio di Beatrix.
Kill Bill: riconoscimenti e conclusioni
Anche il volume secondo ha ricevuto importanti nomination. Due ai Golden Globe (a Uma Thurman e David Carradine), quattro agli Empire Awards, e addirittura una ai Grammy Awards per la migliore colonna sonora. I premi vinti sono invece tre Saturn Awards (miglior film, miglior attrice non protagonista e miglior attore non protagonista).
Infine, due curiosità: la sequenza in cui Beatrix guida la macchina è un chiaro riferimento a Psyco, e ne è presente anche uno a Sin City, girato anche da Tarantino. Per la prima scena citata, inoltre, Uma Thurman fece un incidente a circa quaranta chilometri orari, riportando danni permanenti. In conclusione, Kill Bill è un film da guardare da tutti gli amanti di Tarantino. Da alcuni considerato il peggior prodotto tarantiniano, racchiude tuttavia molti elementi cari al regista, in un’atmosfera che intreccia cultura orientale e occidentale, le quali convivono in perfetta coesione.