La città incantata: l’amore come scelta anticonformista
In una realtà caotica e alienante una bambina lotta per conservare la propria identità
Una bambina scorbutica e particolarmente intuitiva si smarrisce in quella che sembra una voragine infernale orizzontale. Sono queste le premesse de La città incantata, uno dei film più stratificati di Hayao Miyazaki. A una prima visione, infatti, il film può apparire un caotico mondo in cui bizzarre creature ostacolano il cammino di una bambina sola e spaurita. Ma, dopo un’attenta analisi, il film rivela un’ingente quantità di sottotrame e di temi delicati e profondi (più o meno celati dal manto fantastico che riveste il film). Tra le pellicole targate Studio Ghibli, La città incantata è l’unica ad aver conquistato l’Oscar come miglior film d’animazione; la storia è liberamente ispirata al romanzo fantastico Il meraviglioso paese oltre la nebbia, della scrittrice Sachiko Kashiwaba.
Forse il più amato tra i film di Miyazaki insieme a Il castello errante di Howl, La città incantata è attualmente disponibile sulla piattaforma Netflix (dove troviamo altri capolavori quali I racconti di Terramare e Kiki-consegne a domicilio). Con La città incantata, il maestro Miyazaki regala un film dalla potenza inesauribile: attraverso l’acume e la sensibilità della protagonista Chihiro, e della realtà che le si agita intorno, il regista restituisce un mondo trasfigurato simbolicamente. Un microcosmo pregno di valori universali, portati alla luce grazie a ricercate allegorie. Ma entriamo in questa realtà multiforme e proviamo rintracciare gli elementi che rendono il film un capolavoro del cinema d’animazione.
Indice
- La città interiore di Chihiro
- Identità e controllo
- L’ingordigia punita
- Una fabbrica d’oro
- La personalità scissa
- Il male apparente
- La paura giusta
- L’amore transitorio
- Ricattare il potere
La città interiore di Chihiro
Il film si apre con un mazzo di fiori che invade lo schermo: gli occhi che lo osservano sono di Chihiro, ed è il suo punto di vista a introdurre lo spettatore nel mondo incantato ricostruito da Miyazaki. Ed è un po’ come se lo sguardo della protagonista filtrasse le due ore di racconto, portandoci nella strana realtà da lei percepita. Il mazzo di fiori è accompagnato da un biglietto di arrivederci: non sappiamo da chi arrivi quel dono, ma intuiamo che questo qualcuno sia importante per la bambina. Lo intuiamo dal fatto che Chihiro sta traslocando con i genitori in un’altra città, ma sembra non aver alcuna voglia di farlo. Chihiro è un po’ malinconica e un po’ scorbutica durante il viaggio con la famiglia; i suoi occhi tradiscono il desiderio di tornare da qualcuno che ha dovuto lasciare indietro, nella città da cui va via.
Durante il tragitto in auto, la famiglia si trova davanti a un tunnel, a cui si accede tramite una porta molto stretta. Attraversato il tunnel, i tre si ritrovano in una sorta di parco divertimenti; l’ambiente è sfarzoso, ma al suo interno pare non esserci anima viva. Attratti da un odore invitante, i genitori di Chihiro divorano il cibo di un buffet, che trasforma i due in maiali. Chihiro è terrorizzata e vorrebbe fuggire ma, per salvare i genitori, è costretta a restare nella città, in cui iniziano ad apparire strane creature. Chihiro non sa dove andare né come difendersi dai pericoli che incontrerà: sa solo che, per uscire da quel posto, deve prima mettere in salvo i suoi genitori. Addentrandosi nella misteriosa città, Chihiro scopre che questa ospita una complesso di bagni termali. A capo delle terme v’è Yubaba, prepotente strega per la quale lavora il giovane Haku.
Identità e controllo – La città incantata
Che rapporto lega Haku e Yubaba? Attraverso le parole di Kamaji, lavoratore al servizio di Yubaba, è possibile capirne di più. Haku è un discepolo della strega, che ha costretto il ragazzo a una schiavitù borghese e dissimulata. Nella parola discepolo si annida ciò che rende tossico il legame tra i due, che somiglia al rapporto tra il guru di una setta e il suo adepto. Haku non è un semplice collaboratore, che svolge il proprio compito al servizio di un capo; egli è un giovane che, nella più tenera e plasmabile delle età, è stato privato della propria identità. È lui stesso a rivelare a Chihiro di non ricordare il proprio nome, mentre esorta la ragazzina a difendere la propria identità a qualunque costo. Finché Chihiro saprà chi è e da dove viene, infatti, nessuno potrà controllare le sue azioni.
Haku invece non ricorda le proprie origini, e i suoi gesti non sono consapevoli: Miyazaki ritrae un ragazzo dai movimenti meccanici, con occhi gelidi e persi nel vuoto. Haku è un mero esecutore del potere, prigioniero della propria inconsapevolezza. È Kamaji a rivelare alla bambina che Haku, da quando vive soggiogato dalla perfida Yubaba, ha assunto uno sguardo severo e un colorito pallido. Haku è stato sradicato dalla propria realtà, di cui non ha memoria, e ridotto in condizioni di smarrimento. Dal canto suo Yubaba, assetata di potere, ha sfruttato l’umana fragilità del ragazzo, e il suo stato di confusione, per chiuderlo nella propria prigione dorata. Al ragazzo, la strega chiede impegno e totale devozione. Ma nella vita e nel cuore di un adepto è facile che si apra una crepa e la crepa di Haku porta il nome di Chihiro.
L’ingordigia punita
Quando i genitori di Chihiro si addentrano nella desolata città, si lasciano attrarre da una tavola imbandita. I due iniziano a divorare cibo con gesti sgraziati, e presto la bambina avrà una brutta sorpresa: i due sono stati trasformati in maiali. Qual è il valore simbolico dell’incantesimo? Quale metafora si cela dietro la scelta del maiale? La trasformazione degli uomini in porci, a scopo punitivo, è un motivo attinto all’epica classica: nell’Odissea, la maga Circe circuiva gli uomini (anch’ella servendosi di prelibatezze culinarie), per trasformarli proprio in porci. Il maiale diventa l’allegoria dell’avidità umana, della tendenza dell’uomo ad afferrare e divorare tutto ciò che appare attraente. Miyazaki sceglie di celare, dietro il buffet, l’insieme di beni superflui che nascondono insidie, ma che l’uomo finisce per inseguire in una corsa affannosa.
La trasformazione assume perciò le sembianze di una regressione: l’essere umano, accecato dal bisogno di possedere e fagocitare, smarrisce lo spirito critico. A differenza di Chihiro, che rimane guardinga all’ingresso nella città, i suoi genitori sembrano curarsi solo del lauto buffet. I due non sembrano affamati, eppure si abbuffano con voracità dimenticando ciò che li circonda. Così fa l’uomo quando, bombardato dal fascino dell’abbondanza, dimentica le insidie che questa trascina con sé. L’essere umano emerge in tutta la propria mollezza: è sufficiente un’esca ammantata di incanto, infatti, per disinnescare la sua capacità critica. I genitori di Chihiro, come molti visitatori della città prima di loro, pagheranno per la loro avidità; toccherà alla ragazzina, immune alle lusinghe dello sfarzo, usare la propria lucidità per non soccombere. E sarà la stessa Chihiro a raccontarci il volto integro dell’essere umano, che sa preservare un raziocinio orientato al bene.
Una fabbrica d’oro – La città incantata
La società rappresentata dal film si struttura gerarchicamente: in cima c’è Yubaba, alla base la schiera di animali che lavora per lei. In questa realtà piramidale i ritmi somigliano a quelli di una fabbrica dominata da alienazione e sfruttamento. Tutti i lavoratori sono stati trasformati in animali, perché le qualità umane mal si integrano con la logica della produttività. La struttura ospita delle vasche termali, per cui gli animali svolgono lavori di manutenzione; il luogo è frequentato da ricchi visitatori in cerca di ristoro. Come riesce Miyazaki a rendere tangibile l’alienazione degli animali? Innanzitutto attraverso il volto e la postura delle creature: occhi sbarrati e fermi, e il fare di chi deve sbrigarsi a portare a termine il lavoro. Assorbiti dalla loro attività, i lavoratori non hanno il tempo di porsi domande. Sono chiamati a svolgere ogni mansione nel minor tempo possibile, affinché l’ingranaggio continui a girare.
Al gradino mediano della struttura, tra Yubaba e i lavoratori, si situano i collaboratori della strega: tra questi v’è Kamaji, creatura dalle molteplici braccia (atte a svolgere più compiti contemporaneamente). Non c’è tempo da perdere, nella città incantata, e soprattutto non c’è tempo per riflettere. Così quando nella struttura appare Senza-volto, che si presenta come un ricco avventore delle terme, tutti pendono dalle sue labbra. Costui sembra possedere oro in quantità, e lo elargisce ai lavoratori che bramano denaro. La scena in cui gli animali si sbracciano per ottenere l’oro di quella tetra creatura, che loro stessi disprezzano per l’aspetto inquietante, è mestamente allegorica: semplici anelli di una catena di montaggio, i lavoratori smaniano per avere la loro quantità di oro. Ma il valore di quell’oro è fittizio, perché gli animali non possono acquistare la libertà; tutti continueranno inesorabilmente a produrre, alle dipendenze della perfida sfruttatrice Yubaba.
La personalità scissa
Yubaba e Zeniba sono sorelle: la prima come già detto è a capo dei bagni termali, l’altra vive in una piccola casa immersa nella natura. Yubaba è autoritaria, e usa il potere per atterrire i propri dipendenti; Zeniba è una donna materna, e conduce una vita tranquilla tra le mura domestiche. Le due donne, però, appaiono identiche nel volto, nel corpo e nella voce. Perché questa scelta? Yubaba e Zeniba rappresentano due lati della medesima personalità: l’immagine tangibile della scissione interna all’essere umano. Le due sorelle sono antagoniste: non riescono a far fronte comune, e l’una attacca l’altra con gesti subdoli. Io e lei facciamo un adulto completo in due, eppure non abbiamo affinità. Essere streghe gemelle è fonte di fastidi. Così parla Zeniba del rapporto con la sorella a Chihiro, la sera in cui la bambina va a trovarla nella sua abitazione.
Quando Chihiro e Senza-volto si presentano a casa di Zeniba, la donna li accoglie con calore e prepara loro il tè. Benché la voce della donna sia la stessa di Yubaba, il tono con cui ella si rivolge a Chihiro è dolce e, come già detto, materno. Tutt’altra storia vale per il personaggio di Yubaba, che mantiene con Chihiro un comportamento severo e sprezzante, arrivando a privare la bambina del suo vero nome. Attraverso le due sorelle, dunque, Miyazaki mette in scena il livore dell’essere umano che scaturisce dall’invidia. Zeniba incarna ciò che Yubaba vorrebbe essere: una donna accogliente, con una vita normale. Viceversa, Zeniba vede in Yubaba tutto ciò che ha scelto di non essere; quel lato oscuro di ognuno di noi che, anche sopito, minaccia sempre di riemergere.
Il male apparente – La città incantata
Come in gran parte dei film di Hayao Miyazaki, ne La città incantata manca un vero e proprio antagonista. Se Yubaba, infatti, si pone come personaggio minaccioso, è piuttosto il sistema di cui lei stessa è schiava a simboleggiare il male da combattere. Ma c’è un altro personaggio che incute timore, celando dietro il suo aspetto tetro una possibile insidia: è il Senza-volto, spirito il cui viso resta nascosto dietro una maschera bianca e malinconica. Lo spirito, avvolto in un lungo manto nero, si aggira per la città palesandosi a Chihiro in più di un’occasione. Qual è il suo ruolo nel percorso di formazione della protagonista? Al cospetto di questo strano personaggio, come si comportano gli animali che servono i loschi affari di Yubaba?
Senza-volto si presenta presso le terme spacciandosi per un ricco avventore; costui distribuisce denaro agli avidi spiriti della struttura, che si mostrano disgustati dalla sua figura. Solo Chihiro, grazie all’intuito che la distingue dagli altri lavoratori, si mostra cordiale e affabile. La bambina instaura con Senza-volto un rapporto di fiducia e reciproco sostegno, non lasciandosi ingannare da quel velo che rende lo spirito spaventoso. I due entrano in connessione profonda attraverso una sensibilità non comune nella città, in cui tutti sono esecutori del potere. La scena in cui Chihiro e Senza-volto siedono l’uno accanto all’altro sul treno, dopo che la bambina ha permesso allo spirito di salire con lei, è emblematica del loro legame. Un legame giovane eppure già collaudato, tra due anime che hanno scorto la reciproca luminosità, andando oltre la patina illusoria.
La paura giusta – La città incantata
Chihiro riesce a mantenere, dall’inizio alla fine del viaggio, una costante tensione verso il suo obiettivo: salvare i propri genitori. Mentre gli spiriti si muovono affannosamente per produrre, lei procede idealmente verso la direzione opposta; pur spaventata, Chihiro rimane lucida e va avanti a passi ponderati. Così, in quella massa omologata e preda di uno sgraziato delirio, la ragazzina si distingue per acume e spirito critico, ma anche per sentimenti puri e umane fragilità. La sua paura è intelligente, perché le consente di restare vigile dinanzi al pericolo; è la paura a permetterle di sviluppare la giusta dose di coraggio, e a spronarla ad appoggiarsi a chi le offre supporto. Gli occhi sgranati che rivelano stupore sono una costante sul volto di Chihiro; talvolta intuiamo l’arrivo di una nuova insidia scorgendo il timore sul viso della bambina, che non di rado invade lo schermo.
Chihiro è la sola a mantenere l’aspetto di un umano e la propria identità, benché Yubaba le imponga di mutare il suo nome in Sen; la bambina appare impassibile di fronte al fascino dell’oro, e non si lascia trarre in inganno dall’invitante odore del buffet. Come dice Kamaji, Chihiro è guidata dalla forza dell’amore; ciò può apparire banale, eppure l’amore è la scelta più anticonformista nella società ritratta nel film. A Lin, l’addetta alla supervisione di Chihiro nella città, la ragazzina appare tonta; ma Chihiro è la sola persona che, giunta al bivio, può permettersi di procedere per la strada meno affollata. E la strada meno affollata finisce per rivelarsi corretta.
L’amore transitorio – La città incantata
Lo dice Kamaji in una scena del film: a spronare Chihiro a compiere la sua missione è la forza dell’amore. E questo sentimento nel film è declinato in varie forme, a seconda dell’oggetto che lo accende. L’intuito e la tenacia di Chihiro sono corroborate dai sentimenti che la muovono: l’amore per i genitori (che la attendono alla fine del suo viaggio, accompagnandola idealmente lungo il percorso a ostacoli), ma anche quello inaspettato per Haku. Il ragazzo, benché debole di fronte alla prevaricazione di Yubaba, è un sostegno fondamentale per Chihiro; è ad Haku che la bambina si aggrappa nei momenti di difficoltà e sarà per salvare il ragazzo che la stessa correrà dei pericoli. La forza del sentimento che nasce in Chihiro durante il viaggio nella città, unita al dolore che suscita in lei vedere Haku soffrire, è più potente di qualsiasi altra esperienza formativa.
Se i genitori rappresentano l’amore costante, il sentimento per Haku potrebbe definirsi transitorio ma non per questo meno intenso; è fondamentale, per la maturazione di Chihiro, colmarsi di un sentimento che la porterà ad andare oltre se stessa. Haku è oggetto di un sentimento che risveglia in Chihiro il senso di cura e protezione; il ragazzo, dal quale forse Chihiro dovrà separarsi, è una tappa emozionale irrinunciabile nel suo passaggio all’età adulta. Un’altra forma di amore transitorio è quello di Kamaji per Chihiro; l’uomo, lavoratore indefesso, rivela un’inaspettata tenerezza verso la bambina. Dapprima, infatti, Kamaji rifiuta di accoglierla nella struttura come nuova collaboratrice e mantiene un fare burbero; ma pian piano l’uomo dalle molte braccia mostra un’inedita umanità.
Ricattare il potere
Anche il potere ha i suoi punti deboli, dunque anche il potere può essere scalfito nelle sue fondamenta. Il punto debole di Yubaba, gradino più alto di questa bizzarra gerarchia, ha il suono del pianto di un neonato. Per buona parte del film non viene rivelato il volto del bimbo, che emette il suo vagito da una stanza celata allo spettatore. Più tardi si scopre che il neonato si chiama Bo, ed è l’unico figlio di Yubaba; la donna lo vizia, lo colma di amorevoli attenzioni e rivela uno strano attaccamento al bambino. Sembra che Yubaba sia sottomessa al volere del piccolo, il cui pianto riesce a distogliere le attenzioni della donna dal proprio lavoro. Il bambino è ritratto come un neonato dalle gigantesche proporzioni; è più alto della stessa Yubaba, ed è l’unico personaggio in grado di domare la prepotenza della donna.
Persino il più prepotente dei prevaricatori, dunque, può rivelare il suo lato più vulnerabile. Di fronte ai bisogni e talvolta ai capricci del figlio, Yubaba si mostra disarmata; l’equilibrio della sua società marcia, al cospetto delle richieste del neonato, sembra perdere rilevanza ai suoi occhi. Bo è un neonato gigantesco perché gigantesco è il posto che Yubaba gli ha riservato nella propria anima; di fronte al suo amore per Bo, la donna si veste della personalità della sorella Zeniba, e delle umane fragilità di cui ha privato i dipendenti della sua società. Miyazaki non lascia scampo a nessuno dei propri personaggi, neppure al più severo e autoritario. Ogni personaggio che, trasfigurato, rappresenta un vizio lesivo della società e dell’uomo, rintraccia la parte migliore di sé nell’incontro con il proprio punto debole. Così, attraverso il dialogo con la propria vulnerabilità, ogni personaggio riesce a mettersi in salvo.