La dea fortuna: la maturità sentimentale nell’ultimo film di Ferzan Ozpetek
Il regista di origini turche abbandona i soliti sguardi languidi e racconta una routine fatta di sussulti e intensità
Con il film La dea fortuna, il regista di origini turche Ferzan Ozpetek segna una tappa particolarmente felice nella sua carriera ultraventennale. Abbandonati gli idilli un po’ irrealistici di alcuni film, in cui il mondo esterno cattivo sembrava l’unico antagonista, Ozpetek inizia a cercare le falle all’interno dei rapporti d’amore. Protagonisti del film sono gli attori Edoardo Leo, Stefano Accorsi e Jasmine Trinca (che per questo ruolo ha vinto il David di Donatello come migliore attrice protagonista); nel cast anche Barbara Alberti, Filippo Nigro, Pia Lanciotti e l’immancabile Selma Yilmaz. La dea fortuna si concentra sulla storia d’amore in crisi tra Arturo e Alessandro: i due, che convivono a Roma da quindici anni, accettano le reciproche scappatelle a condizione che non entrino in gioco i sentimenti. Il loro equilibrio, già precario, vacilla ulteriormente quando Annamaria si presenta a casa loro con i suoi due figli.
Come reagiscono i due uomini alle nuove responsabilità? Quanto pesano le brutture della quotidianità, quando a osservarle ci sono quattro occhi in più? Ozpetek regala un film in cui l’atmosfera straniante non è fuga da risposte concrete (come era accaduto in Napoli Velata, in cui l’elemento magico sfumava i contorni fino a rendere tutto confuso e a tratti inconcludente). Ne La dea fortuna alcuni feticci e motivi cari al regista (in altri film forzati e onanistici) assumono una potenza inconfutabile. Il risultato è un film credibile, con elementi potenti e integrati alla perfezione. Una coralità familiare calda, personaggi ben strutturati, uno sguardo profondo che filtra le varie sequenze; infine una colonna sonora che, da sola, avrebbe risuscitato anche la più fiacca delle pellicole (è d’obbligo citare Luna diamante di Mina-Fossati e Che vita meravigliosa, per la quale il cantautore Diodato ha conquistato un David di Donatello).
Indice
Genitori per amicizia
La Dea Fortuna è la storia di Arturo e Alessandro, coppia omosessuale che avverte i sintomi di una crisi ogni giorno più gravosa. La vita dei due uomini, insieme da molti anni e distanti da troppo tempo, subisce uno scossone quando Annamaria lascia loro in custodia i suoi due figli; amica di entrambi, la donna deve infatti ricoverarsi per alcuni accertamenti. I due uomini si ritrovano genitori all’improvviso e loro malgrado, divisi tra un istinto paterno che neppure loro credevano di avere, e il bisogno di maggiore spazio e tempo per affrontare la crisi di coppia. Intorno a loro, come in ogni film di Ozpetek che si rispetti, orbita un nugolo di personaggi strambi e teneramente umani, che alleggeriscono sia la vita dei protagonisti che la pellicola in sé.
Ma chi sono Arturo e Alessandro? Il primo è uno scrittore fallito; quindici anni prima ha rinunciato all’insegnamento universitario per vivere a Roma con Alessandro, e ora si occupa di traduzioni di libri per guadagni irrisori. Alessandro è un idraulico, meno colto e più pragmatico, dotato di un carisma che attrae adulti e bambini: è lui infatti ad accattivarsi immediatamente le simpatie di Martina e Sandro, i figli di Annamaria. Quest’ultima è una vecchia amica di Alessandro; visceralmente legata al suo più caro amico, Annamaria entra ed esce da relazioni sbagliate. Con un passato-fantasma non ancora elaborato, la donna trova conforto nell’amore incondizionato di cui ricopre i suoi due figli. Quando alcune emicranie iniziano a non darle pace, Annamaria si allarma; intraprende quindi un iter di accertamenti in ospedale, che la costringerà a un temporaneo distacco dai due bambini.
La maturità dei sentimenti – La dea fortuna
Dopo le atmosfere fosche di Napoli Velata, Ozpetek torna ai sapori malinconici dei suoi film più celebri con una nuova consapevolezza; in questo film, infatti, i protagonisti hanno nel volto un tormento e una densità non sempre presente negli altri film del regista. I lunghi sguardi che Arturo e Alessandro si scambiano, su cui la macchina indugia a lungo e a ragione, mostrano due uomini già ammaccati dalla vita e dai suoi contraccolpi; ciò contrasta con i personaggi ozpetekiani del passato, che incarnavano malinconie più languide, disposte a essere illuse ancora una volta. Il film evita anche il cliché della coppia omosessuale alla ricerca dell’approvazione di un familiare gretto o della società retrograda; Arturo e Alessandro sono semplicemente una coppia stanca, alle prese con inaspettate responsabilità.
Il film accompagna lo spettatore in un viaggio alla riscoperta della tenerezza, che rinsalda il rapporto quando il desiderio viene a mancare; tenerezza che lenisce le asperità dei caratteri di Arturo e Alessandro, e che li aiuta a entrare in empatia con i figli di Annamaria. Dapprima spaesati di fronte al loro ruolo di genitori temporanei, i due uomini imparano gradualmente a dialogare con i due bambini; iniziano così a intercettare le loro esigenze, e a coinvolgerli nelle attività quotidiane. Ma la tenerezza è anche il fulcro di una delle sottotrame del film, che vede protagonisti Filippo e Ginevra.
L’intensa routine – La dea fortuna
Benché ritratti sullo sfondo, Filippo e Ginevra fanno da contraltare alla coppia di protagonisti. Lui è un marito affetto da demenza, lei la moglie che lo accudisce pazientemente; lui ogni giorno dimentica chi sia lei, lei gioisce perché ogni giorno può farlo innamorare di nuovo. Ma dietro il sorriso di Ginevra c’è una costante inquietudine: l’uomo che da anni le sta accanto, infatti, assomiglia sempre di più a un estraneo. E lei si sente smarrita. In una realtà che muta a ritmi frenetici, la ricerca di nuovi stimoli è ancora una priorità? La dea fortuna si schiera a favore dell’intensità emozionale della routine, e di un’abitudine che non lascia spazio alla noia. Riconoscersi nello sguardo dell’altro, che ci segue da tempo e conosce i nostri lati oscuri meglio di chiunque altro, è forse più salvifico del brivido di due occhi nuovi.
Perché allora si entra in crisi? E perché, quando si è in crisi, è così difficile dirsi addio? Arturo e Alessandro sono orfani di desiderio, e cercano pretesti per fare a meno l’uno dell’altro. Entrambi sono lo specchio del proprio compagno, in un modo che inizia a essere insidioso; fallimenti e recriminazioni intossicano un amore che pare sbiadirsi, ma che è forse vittima dell’incapacità di invecchiare. Dell’incapacità di accettare che ciò che è, è tale perché lo si è scelto. Arturo e Alessandro spostano il baricentro dei disagi che li attanagliano, e li trasformano in crisi di coppia. Ma, grazie a una nuova maturità emotiva, entrambi assaporano il piacere della riscoperta di chi c’è sempre stato. E che, con ogni probabilità, continuerà a esserci.
Individui e coralità – La dea fortuna
Il cast è uno dei punti forti de La dea fortuna. Tra gli interpreti spicca Edoardo Leo, che sfodera mille volti diversi: affabile, inadeguato, concreto, svagato, sornione, nostalgico. Ferito e sempre integro, inscalfibile e già troppo scalfito. Buona anche l’interpretazione di Accorsi, che in ogni sguardo rivolto al compagno racconta un amore che si mescola a una sottile invidia: invidia per chi, come Alessandro, è capace di sentirsi realizzato anche nel suo modesto impiego. Alessandro appare infatti, per tutta la durata del film, più centrato rispetto ad Arturo, che come ogni artista vive nell’eterna e inoppugnabile mancanza. Ed è proprio tale squilibrio, che un tempo aveva contribuito all’incastro tra le loro personalità, a generare il dissidio tra i due. Arturo inizia a recriminare le scelte del proprio passato e Alessandro accusa il colpo: è l’inizio di una possibile fine.
Nel film c’è anche Jasmine Trinca: mamma amorevole e amica fedelissima, la donna lavora a Palestrina, nel santuario di quella Fortuna che dà il nome al film. Annamaria porta addosso i segni di un’infanzia atroce, e gli occhi di chi è consapevole che la vita non salderà mai il suo debito con lei. I maltrattamenti subiti, la solitudine e i troppi oneri non le impediscono di salvare sé stessa salvando gli altri. Anche dal lettino d’ospedale, la donna carica sulle proprie spalle i pesi dei propri cari; di chi è troppo piccolo per essere autonomo, di chi non è ancora abbastanza adulto da crescere. Infine c’è l’arcigna Nonna Elena di Barbara Alberti; la cattiva delle fiabe, bigotta e maniaca del controllo, che regala il tocco inquietante che ci si aspetta da ogni film di Ferzan Ozpetek.