Film sul femminismo: 5 storie di donne vere
The Iron Lady
La storia di Margaret Margaret Thatcher (Meryl Streep), ex primo ministro britannico, viene ripercorsa in “The Iron Lady”, diretto da Phyllida Lloyd. La raffinata fotografia e le musiche di Thomas Newman creano una delicata cornice ad una storia intensa, vista attraverso gli occhi ormai vissuti e stanchi dell’ottantaduenne Margaret; afflitta dalla demenza senile.
Nel momento in cui una persona si pone un obiettivo, sa che dovrà lavorare duramente per raggiungerlo. Questo implica scavalcare gli ostacoli che si porranno davanti, imparare dai propri errori, ma specialmente dimostrare quello che si vale. È assolutamente necessario dimostrare le proprie conoscenze e le proprie capacità per convincere chi ci sta pesando a giudicarci positivamente.
Il problema è che la Thatcher non solo ha dovuto mettere in luce le sue capacità e le sue competenze in economia e politica per raggiungere la sua posizione; ma ha dovuto farsi innanzi tutto accettare come donna. All’inizio della pellicola viene infatti messa in luce la sua lotta per farsi accettare nell’ambiente classista e maschilista del partito conservatore britannico. “Sei solo la figlia del droghiere” le hanno detto; e poi è diventata il primo ministro.
Icona femminista non femminista
Se da un lato Margaret possa essere vista come un’icona femminista per dove la sua impressionante determinazione l’abbia portata; dall’altro lei si chiamava anti femminista: “Le femministe mi odiano, non è vero? E io non le biasimo. Poiché io odio il femminismo. Si tratta di veleno.” E con la dura affermazione “i penny non cadono dal cielo, devono essere guadagnati qui sulla terra” si dimostrò una fan dell’intraprendenza. Si è imposta come donna e ha vinto.
Non si è sentita in dovere di dover aprire le porte ad altre donne o di migliorarne la vita; e forse è per questo che tante femministe la odiano. Lei voleva solo fare il suo lavoro, lottando per le altre persone, indipendentemente dal genere. Ci asteniamo se questa possa essere o meno una scelta discutibile; ma una cosa è certa: Margaret Thatcher ce l’ha fatta. Non sarà stata una femminista, ma è di certo un modello da tenere bene a mente.
The Danish Girl
Un tempo, mettere da parte le ambizioni di carriera per gestire la casa e la famiglia era il tipico ruolo da donna. Ancora oggi, se e quando succede, per alcuni è una cosa normale, data per scontata. In realtà, noi pensiamo che sia una scelta, condivisibile o meno; ma che non dovrebbe essere presa solo dalla donna. Anche un uomo può dedicarsi alla famiglia e sostenere la carriera della moglie, e anche questo naturalmente non dovrebbe sembrare affatto strano.
Dei pionieri assoluto in questo senso (e anche molti altri), sono stati i coniugi Wegener. La storia di Gerda (Alicia Vikander) e Einar/Lili Elbe (Eddie Redmayne), primo transessuale della storia, è raccontata in “The Danish Girl”; diretto da Tom Hopper nel 2015. Nel film, ambientato nella prima metà del 1900, Gerda appare una donna estremamente contemporanea, fuma, è autoironica, ha una carriera di successo.
Nella pellicola ciò non emerge con estremo chiarezza, ma nella realtà il marito di Gerda -prima di sottoporsi alle operazioni- sacrificò la propria carriera a favore di quella della moglie. Einar si occupava quindi della cura della casa, ed iniziò a indossare abiti femminili e a truccarsi diventando la modella preferita della moglie. Gerda infatti non era una qualunque pittrice: era una pittrice erotica. Le sue apprezzatissime opere rappresentavano con grazia l’erotismo lesbico, lontano da brutalità e malizia.
Perché abbiamo messo Gerda nella nostra top 5? Semplicemente perché la sua figura anticonformista e il moderno rapporto col marito, lui devoto a lei e alla sua carriera e Gerda pronta a supportarlo nella sua decisione di cambio di sesso; sono dei fattori attualissimi ancora oggi. Anzi, siamo certi che se una coppia simile venisse trasportata nel presente farebbe ancora scandalo. Il punto è che sono passati quasi 100 anni.
Big Eyes
Chiudiamo la nostra top 5 con la storia di Margaret Ulbrich (Amy Adams), raccontata nel film di Tim Burton “Big Eyes”. Siamo alle fine degli anni ’50, e la pittrice Margaret convola a nozze col secondo marito Walter Keane (Christoph Waltz); anch’egli pittore.
Entrambi cercano di far esporre le proprie opere presso famosi locali della zona, e Walter si rende conto che i particolari dipinti della moglie (caratterizzati da ritratti di bambini con grandi occhi sproporzionati), ottengono molto più successo di pubblico dei suoi.
Decide così di appropriarsene, facendo dipingere a Margaret moltissime opere che verranno però poi firmate da Walter. Grazie alla sua spigliatezza e fiuto per affari importanti, trasforma le opere della moglie in un enorme successo commerciale la quale -però- non ne riceve nessun riconoscimento.
L’affermazione di Walter “Purtroppo, la gente non compra opere d’arte realizzate da donne” -usata per giustificare le proprie azioni- nasconde un arrogante maschilismo di cui Margaret è vittima. Margaret è inizialmente un personaggio debole, convinta di non poter avere successo, vittima di pregiudizi che la dominano e la schiacciano. Per anni rimane bloccata in questa situazione, senza coraggio di ribellarsi. Lentamente riesce però a scavare dentro se stessa, alla ricerca della forza necessaria per far sentire la propria voce. È stata una femminista silenziosa, che voleva solamente essere riconosciuta come la creatrice dei suoi stessi dipinti. E alla fine ha vinto.