I giorni del dolore: paura della morte e resistenza al lutto in sei grandi film.
3) Rabbit Hole (2010). Rebecca e Howie sono una giovane coppia devastata dalla morte del figlio di quattro anni, investito da una macchina mentre giocava davanti casa. Piuttosto che affrontare insieme tale sofferenza, i due si distaccano sempre più: lei vuole vivere da sola il proprio dolore, trovando poi conforto nell’amicizia con l’assassino del figlio; lui si strugge nel ricordo di quel figlio che non c’è più, condividendo il proprio stato d’animo con una donna conosciuta durante una seduta di terapia di gruppo per genitori in lutto. Di impianto fortemente teatrale e tratto da un testo vincitore del premio Pulitzer, il film di John Cameron Mitchell è un colpo al cuore di rara delicatezza. Infatti, il regista non vuole prendere le parti di nessuno, ma si sofferma a descrivere due modi diversi di affrontare il lutto, allontanandolo nell’un caso e tuffandocisi dentro nell’altro. Protagonisti assoluti Aaron Eckhart e, soprattutto, Nicole Kidman, la quale, con un’interpretazione matura e intensa, ottenne la candidatura all’Oscar come migliore attrice protagonista. Indispensabile una buona scorta di fazzoletti almeno per la scena finale: perché, in fondo, Mitchell sembra dirci che fare muro insieme è sempre la scelta migliore. Da applausi.
‘ E il dolore non se ne va mai via? ‘
‘ Non credo. Almeno a me non è successo…va avanti da undici anni. Ma diventa diverso…è il peso che cambia; a un certo punto diventa sopportabile, si trasforma in un peso da cui puoi liberarti strisciando e che ti porti dietro in tasca, come un mattone. Addirittura lo dimentichi per un po’, ma poi ti metti la mano in tasca per qualche ragione ed eccolo lì…oh, giusto: quello! Ma non è sempre così. Ecco, non è esattamente che ti piaccia ma è quello che hai al posto di tuo figlio: lo tieni con te così e non se ne va mai…il che è un bene, in realtà. ‘
4) Caos Calmo (2008). In un giorno di fine Estate, Pietro Paladini sta salvando una donna da affogamento certo sul litorale romano. Negli stessi istanti la moglie Lara è colta da un infarto fulminante mentre è sola in casa. Annaspando in un latente senso di colpa, Pietro decide di dedicarsi totalmente a sua figlia di dieci anni. Ogni mattina l’accompagna a scuola e si siede su una panchina nel parco adiacente. Lì trascorre le proprie giornate nell’attesa di un dolore che apparentemente non arriva. Gli incontri con la cognata, con il fratello, con il datore di lavoro e con nuove persone lo porteranno ad una nuova consapevolezza di sé stesso. Presentato al Festival di Berlino, in Italia si sollevò un enorme polverone intorno alla scena di sesso esplicito tra Isabella Ferrari e Nanni Moretti, a causa della quale certi vescovi arrivarono a chiedere addirittura la censura. In realtà, nell’omonimo romanzo (un capolavoro!) di Veronesi, da cui la pellicola fu tratta, proprio quella scena è la chiave di volta della narrazione, il momento dell’espiazione e della punizione, il centro nevralgico nel passaggio dal caos calmo al dolore puro. Purtroppo, il regista Antonello Grimaldi non riprese a dovere quell’intreccio di corpi che, non riuscendo a richiamare nello spettatore la scena del salvataggio iniziale, appare effettivamente decontestualizzato e fine a sé stesso. Ad ogni modo, la pellicola è assolutamente efficace nella descrizione dell’impassibilità come anticamera del tormento. Pietro vive ancora nel limbo dei giorni dopo, nel quieto mucchio di interrogativi altrui (Stai bene? Cosa Provi? Posso esserti d’aiuto?) e nella piena coscienza di essere l’unico appiglio per la figlia: non conosce dolore perché non è ancora nella propria muta solitudine. E quando arriva questa nuova condizione, proprio allora il film si interrompe. Eccezionali Nanni Moretti e Valeria Golino. Ricevette tre David di Donatello: ad Alessandro Gassman come attore non protagonista; a Ivano Fossati per la canzone originale (L’amore trasparente); all’immenso Paolo Buonvino per le musiche.
‘ I topi non avevano nipoti: è un palindromo. La maestra ci ha spiegato che ci sono cose reversibili e cose irreversibili. ’