Il buco: spiegazione del thriller-horror originale Netflix
Analizziamo simboli e significati riposti di questa distopia a metà tra il thriller e l'horror
Perché Galder Gaztelu-Urrutia ha ambientato Il buco in una prigione verticale? Cosa rappresenta il libro che Goreng porta nell’edificio? La lumaca, più volte citata nel film, ha un valore simbolico? E infine qual è il messaggio della nuova distopia targata Netflix? Rispondiamo a questi e ad altri interrogativi nella nostra dettagliata spiegazione de Il buco, thriller-horror con protagonista Ivan Massaguè. Il film è interamente ambientato all’interno di una squallida e futuristica prigione (una società di autogestione verticale). La struttura è divisa in piani, e a ogni piano risiedono non più di due detenuti; il luogo è asettico, e ognuno dei reclusi può portare con sé soltanto un oggetto durante il periodo di prigionia.
Ogni giorno, per provvedere al sostentamento dei detenuti, viene calata dal piano zero una piattaforma imbandita di ogni prelibatezza; questa piattaforma sosta a ogni piano per un periodo di tempo limitato, così che tutti possano sfamarsi. La tavola viene allestita in modo tale che ogni detenuto abbia la sua razione di cibo, ma puntualmente chi sta ai piani più alti divora più cibo del dovuto. A causa di tali razzie, chi vive ai piani inferiori resta a digiuno. Cosa accade se qualcuno decide di sovvertire il sistema? Quali metafore si celano dietro questo microcosmo corrotto e autodistruttivo?
Indice
- La struttura verticale tra Ballard, Dante e il cristianesimo
- Rotazione costante
- Animalità e raziocinio
- Il libro e Don Chisciotte
- Spiegazione del significato della lumaca ne Il buco
- La panna cotta, la bambina e il finale
La struttura verticale tra Ballard, Dante e il cristianesimo
Iniziamo la nostra spiegazione de Il buco analizzando il luogo in cui si svolgono gli eventi. La struttura verticale della prigione richiama l’edificio in cui è ambientato il romanzo Il Condominio di Ballard: tale struttura diventa, nel libro, teatro di una spietata lotta di classe. Ma oltre a rispecchiare la classica struttura gerarchica, con i piani alti che vivono nell’opulenza e quelli inferiori che soccombono, altri rimandi possono essere colti in questa distopia verticale. Il buco non si riduce a metafora della lotta di classe, e c’è chi ha notato il parallelismo tra la prigione e l’Inferno dantesco: ogni piano è un girone di dannazione, progressivamente sempre più atroce. La legge del contrappasso colpisce la tracotanza umana, riducendo i detenuti a esseri distruttivi e autodistruttivi: la discesa dei due protagonisti è un viaggio attraverso una voragine che culmina al 333esimo piano.
In questo numero, 333, si può cogliere un richiamo al “Numero della Bestia” nel cristianesimo; Satana è infatti rappresentato dal numero 666 sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, e tale cifra è il doppio esatto di 333. Se a ogni piano risiedono due detenuti, il numero complessivo dei prigionieri è esattamente 666. All’interno di questa torre si organizza una società in cui l’unica forma di comunicazione è la prevaricazione (e l’odio che ne consegue). Ognuno disprezza chi abita al piano inferiore, e intanto cova astio per chi sta nella cella direttamente superiore. Nessuno rinuncia a ingozzarsi, perché ognuno vendica i torti subiti dall’alto punendo a sua volta chi sta più in basso. La struttura verticale innesca un effetto domino, alla base del quale si annida un desiderio di rivalsa via via più tossico. E anche il compagno di piano, l’unico alleato possibile, fa presto a diventare un avversario.
Rotazione costante
Esattamente ogni mese i detenuti vengono spostati, a coppie, a un piano diverso della struttura; ognuno mantiene il proprio compagno di cella, e per entrambi cambiano le condizioni di vita. Se si capita ai piani bassi si digiuna per un mese, se si è fortunati ci si può ingozzare presso i piani superiori. Cosa scaturisce dalla rotazione mensile? Come reagiscono i detenuti a questa condizione determinata dal caso? Ne Il buco non esiste la rigida distinzione tra oppressi e oppressori, che in altre distopie consente allo spettatore di parteggiare per la parte debole della società. Qui, chi si abbuffa per trenta giorni, trascorrerà il mese suggestivo in preda ai crampi da digiuno. Tutti soffrono dunque e in teoria tutti dovrebbero sviluppare empatia. Invece accade l’esatto contrario, e chi ha patito la fame un mese per colpa dell’altrui ingordigia, attende solo l’occasione per rifarsi del torto subito.
Siamo portati a pensare che nella sofferenza comune proliferi la solidarietà; la società ritratta nel film ribalta questa teoria illusoria. Chi sa di aver patito non è portato alla moderazione ma al sopruso; l’uomo che ha sofferto non dice “farò in modo che non capiti a qualcun altro, cosicché un giorno non debba ricapitare a me”. Chi ha sofferto dice “ieri ho sofferto io, è giusto che oggi soffra qualcun altro. Non importa chi sia questo qualcuno. Il mio dolore si allevia col dolore altrui, e la causa di quel dolore sarò io”. Con poche immagini, Il buco rovescia la consuetudine della distopia, che ci porta a fare il tifo per chi è più debole (dunque, secondo una fallace credenza, più sensibile in quanto ha conosciuto la privazione). Oppressi e oppressori sono egualmente distruttivi; la differenza risiede nel fatto che gli oppressori hanno il potere di distruggere, gli oppressi no.
Animalità e raziocinio – Il buco spiegazione
Siamo sicuri che sia l’istinto a impedirci di progredire? Dopo aver visto Il buco, molti saranno costretti a mettere in discussione le proprie certezze. Qui infatti il sistema non funzione a causa dell’ingordigia; c’è chi mangia troppo, e chi di conseguenza resta a digiuno. Ma gli animali possono arrivare a cibarsi più del dovuto? Può il solo istinto portarci a divorare enormi quantità di cibo (arrivando quasi a provare un senso di nausea)? Cosa spinge l’uomo ad accumulare più dello stretto necessario? La risposta è da rintracciare nella parte raziocinante dell’uomo, in quella che in termini aristotelici è l’anima intellettiva. Ne Il buco l’uomo divora il cibo per affermare sé stesso, non per appagare il proprio organismo; i detenuti dei piani alti dilaniano il cibo per sfregio nei confronti di chi, il mese precedente, li ha costretti al digiuno.
Ingozzarsi di cibo è, ne Il buco, il modo migliore per punire chi ci ha fatto del male; la scena in cui gli oppressori calpestano le pietanze, e le divorano con noncuranza e voracità, è un’allegoria dell’odio. Mentre calpestano il cibo preparato con cura da chef rinomati, i detenuti rivelano il livore per i propri simili; mentre devastano le razioni di cibo destinate agli altri prigionieri, gli oppressori infieriscono sugli altri detenuti. La struttura ripartita in piani impedisce ai detenuti di entrare in contatto con gli altri (all’infuori del proprio compagno di cella); così l’unico modo per ledere l’altro è dilaniare la sua razione di cibo. Attraverso il cibo, e tramite la piattaforma che lo porta su e giù, nella prigione si propaga l’odio; e questo non è un prodotto dell’istinto, ma dei soprusi cui l’uomo sottopone i suoi simili stimandosi onnipotente.
Il libro e Don Chisciotte – Il buco spiegazione
Nella prigione ogni detenuto può portare con sé un solo oggetto. Alcuni scelgono di portare con sé un coltello, altri una balestra, altri ancora una lanterna; solo Goreng opta per un libro, simbolo della sua alterità. Goreng ha scelto arbitrariamente di accedere alla struttura, laddove gli altri vi risiedono loro malgrado; l’uomo entra in quella prigione non per uscirne vivo, ma per uscirne migliore. Il libro è l’oggetto che gli permetterà di familiarizzare con Trimagasi, il suo primo compagno di cella: la lettura è l’unico momento di giovialità delle giornate di reclusione. Ma la scelta del libro, a un certo punto, si rivelerà inadatta a un luogo tanto inumano: Trimagasi ha portato con sé un coltello, che gli permetterà di prevalere fisicamente su Goreng. Il libro è un delicato e incisivo simbolo di ciò che di creativo ed eletto l’uomo può generare, attraverso la sua anima intellettiva.
Il libro che Goreng porta con sé è il Don Chisciotte della Mancia, romanzo del ‘600 scritto da Cervantes. Protagonista del libro è per l’appunto Don Chisciotte, uomo stravagante e idealista, tanto astratto dalla realtà quanto intenzionato a non uniformarvisi. Don Chisciotte sogna una realtà che si confaccia ai suoi ideali; pur patendo la propria alienazione, non modifica sé stesso. Il suo desiderio di un mondo migliore rivela un incanto fanciullesco, che lo porterà a inevitabili delusioni. Goreng, come Don Chisciotte, si scontra presto con la realtà squallida della prigione; animato da ideali sovversivi e altruistici, l’uomo è messo a dura prova dalla predisposizione dell’uomo al sopruso. Ideali nobili e animo sfrontato non gli saranno sufficienti a sovvertire il sistema, e Goreng dovrà sforzarsi di essere concreto. Si appellerà dunque alla sua parte più razionale, che nel romanzo di Cervantes si incarna nel personaggio di Sancho Panza.
La lumaca – Il buco spiegazione
Continuiamo la nostra spiegazione de Il buco analizzando la figura della lumaca e il disgusto che genera nell’uomo. Il piatto a base di escargot, infatti, è l’unico che resiste al saccheggio degli ingordi dei piani alti; l’essere umano non gradisce questo strano animale, che ai suoi occhi risulta viscido anche sotto forma di prelibatezza. Quando Trimagasi usa l’appellativo lumaca per rivolgersi a Goreng, inoltre, costui si mostra risentito; ma il vecchio va avanti ostinato, scatenando l’ira del più giovane compagno di cella. Cosa rappresenta la lumaca ne Il buco? Quale metafora si nasconde dietro l’avversione che l’uomo prova per questo gasteropode? La lumaca è comunemente associata all’idea di lentezza e moderatezza, peculiarità salvifiche in un sistema marcio come quello della prigione. Se nel film alcuni soccombono perché gli altri si abbuffano, solo un uomo con lo spirito della lumaca può sovvertire il sistema.
Qualcuno che creda nel potere curativo di appagare soltanto i bisogni primari, stroncando sul nascere i bisogni secondari; un uomo che non sia fagocitato dall’umana frenesia, né dal bisogno di accumulare più del necessario. Qualcuno che faccia della lentezza una virtù, che si muova al ritmo di una vita equilibrata e senza eccessi. La lumaca procede a passi misurati, ma sempre in direzione di un obiettivo proprio, concreto; impiega tutto il suo tempo per raggiungere gli scopi reali, non lasciando spazio al proliferare di bisogni illusori. La lumaca non vive in costante attività, non forza i tempi della natura per far presto a ottenere ciò che vuole; sa che attendere che la natura faccia il suo corso, talvolta, è necessario. L’uomo disprezza questa creatura tanto diversa, invidiandole la capacità di restare orientata verso il proprio scopo con equilibrio (senza avvertire il bisogno di sottrarre all’altro).
La panna cotta, la bambina e il finale – Il buco spiegazione
Armato di disgusto, ideali nobili e discreta lucidità, Goreng attua il proprio piano sovversivo; ad aiutarlo c’è Baharat, uomo di fede e fiducioso nel prossimo. I due alloggiano al sesto piano della prigione, e decidono di scendere fino in fondo per occuparsi personalmente della distribuzione del cibo; decidono inoltre di vietare il pasto ai detenuti dei primi cinquanta livelli, ricorrendo alla violenza qualora fosse necessario. Il loro piano è sfamare ogni prigioniero e risalire fino in cima; dietro consiglio di un detenuto più adulto e saggio, che incontrano nel corso della missione, i due decidono di preservare una panna cotta. Se la panna cotta non sarà divorata da nessuno, e i due riusciranno a condurla ai piani alti intatta, il messaggio giungerà all’amministrazione forte e chiaro. La panna cotta sarà il simbolo della missione portata a termine, dell’anima intellettiva che sa preservare oltre che devastare.
A uno dei piani inferiori Goreng e Baharat incontrano una bambina, nascosta sotto il letto di una cella. La bambina è affamata, così Goreng lascia che sia lei a mangiare la panna cotta; la bambina diventa ella stessa il messaggio, e sale sulla piattaforma con Goreng e Baharat. Baharat muore (l’uomo aveva provato a impedire a Goreng di sfamare la bambina con la panna cotta), e Goreng giunge incolume al piano più basso. L’anima di Trimagasi si palesa allora per l’ultima volta a Goreng, esortandolo a rimanere nel fondo della struttura e lasciare che sia la bambina a risalire in cima: è lei il messaggio, simbolo di un’innocenza scevra da contaminazioni. Un messaggio forte e puro non necessita di alcun portatore e Goreng, il Messia, ha concluso la sua missione. È pronto a sacrificare sé stesso, nell’ultimo atto di un viaggio che si compie nel gesto del sacrificio estremo.