Luis Buñuel: Bella di giorno e il cinema dell’inconscio
Luis Buñuel e il cinema dell’inconscio sono due lati della stessa medaglia. Ed è in Bella di giorno che Buñuel condensa le peculiarità che lo hanno reso l’emblema del surrealismo in ambito cinematografico.
Surrealismo, inconscio, e desiderio: il cinema di Luis Buñuel si colloca in un crinale poco chiaro del cinema internazionale. Qui, le dinamiche delle forme si concretizzano in anomalie delle pulsioni più profonde. La conseguenza? Un cinema ricco di suggestioni oniriche e irreali.
Quando Buñuel si approccia per la prima volta al cinema non ha ancora trent’anni. Immerso nel clima surrealista parigino, affiancato dai più grandi esponenti di quella che diverrà una delle avanguardie più complesse del nuovo secolo, Buñuel si afferma presto come il punto di riferimento del cinema dell’inconscio.
Ma cosa caratterizza in maniera così determinante la regia di Buñuel? Inscrivere l’esperienza del regista nel clima del surrealismo non è sbagliato. Tuttavia, non è sufficiente per delineare una quadro omogeneo della sua produzione. I film del regista spagnolo presentano agli occhi dello spettatore un contenuto psichico reso manifesto, una concretizzazione dei turbamenti più profondi dell’animo umano.
Casi del genere sono riscontrabili fin dalle primissime produzioni: Un chien andalou e L’âge d’or come opere d’esordio – realizzate in collaborazione con Salvador Dalì –, delineano questa condizione in maniera evidente. Ma è in Bella di giorno, in particolare, che la condizione allegorica dei film di Buñuel si manifesta con una forza disarmante.
Nel film nel 1967, tratto dal romanzo di Joseph Kessel del 1929, è la distorsione della realtà che si intreccia con il fantasmatico e con la dimensione onirica a svolgere un ruolo fondamentale. In questo contesto è fondamentale tenere presente la linea narrativa delle pellicole, assolutamente distanti da qualsiasi logica temporale.
Luis Buñuel e Bella di giorno: il cinema della fantasticheria
In Bella di giorno ritroviamo intricati inestricabilmente i piani del reale e i piani dell’inconscio, tanto da mettere lo spettatore nella scomoda condizione di riflettere su ciò che sta osservando. La sequenza iniziale, difatti, si staglia in una dimensione onirica, passando da una visione oggettiva del mondo a una interna all’inconscio della protagonista, Séverine. Ma lo stesso reale che Luis Buñuel ci mostra non corrisponde sempre ad una temporalità logicamente distesa.
Tantissime, difatti, sono quelle che vengono definite immagini psichiche, ossia sequenze memoriali che si distaccano dal mondo onirico ma che, allo stesso tempo, continuano a distanziarsi dal reale. E, distanti dal reale, sono anche le fantasie della protagonista: non si tratta di un sogno, ma neppure di un evento; quello che Luis Buñuel trasporta sullo schermo è un momento intermedio, quello del sogno ad occhi aperti. Nella cinematografia del regista surrealista, questi escamotage non sono nuovi, e spesso vengono utilizzati come fattori di preveggenza.
Questo tipo di approccio non verrà dimenticato nel cinema contemporaneo, tanto da costituire la base per quella categoria di film che verrà indicata dai critici come mind-game-movie. Si parla, in questo contesto, di quelle pellicole che si svolgono su diversi piani, innescando giochi mentali tale da confondere lo spettatore. Non a caso, l’approccio a questa categoria risulterà essere vincente; registi come David Lynch e Christopher Nolan devono non poco alle sperimentazioni di Luis Buñuel.
Parte della produzione dei registi sopracitati, difatti, appartiene a una dimensione che poco ha a che fare con la realtà. Giochi mentali, illusioni, concetenamento di eventi improbabili, al confine tra ciò che è finzione e ciò che potrebbe essere vero. Tutto ciò si staglia con prepotenza di pellicole come Inception o Mulholland Drive, dove le figure dell’enigma creano concrezioni spazio-temporali.