Mad Men: superare le apparenze per accettare se stessi

Esistenzialismo ed estetica in una delle serie più importanti degli anni duemila

Nel panorama televisivo mondiale, fra colossi dello streaming e produzioni da grande schermo, il mondo degli show ad alto budget del primo decennio del 2000 sembra ormai un pallido ricordo. E Mad Men, per molti versi, rappresenta l’emblema della transizione da quei tempi che alcuni ricordano con nostalgia a un presente vasto e ricco di prospettive. Lo show di Matthew Weiner, già autore de I Soprano, ha rivoluzionato l’ambiente con sette stagioni fino al 2015, vincendo 16 Emmy e 5 Golden Globes, conquistando critica e pubblico con la sua scrittura brillante e i suoi personaggi sfaccettati. Il prodotto di AMC è ancora oggi considerato come una delle serie con il più grande impatto sulla nostra cultura e l’influenza avuta sul network ha senza dubbio contribuito a dare la spinta definitiva alle produzioni successive dell’emittente – Breaking Bad e The Walking Dead, su tutte.

L’approccio originale di Mad Men, che muoveva i primi passi in un campo fino ad allora esplorato solo da HBO, ha permesso al prodotto di ritagliarsi uno spazio importante nell’immaginario collettivo di quei tempi. Weiner e soci furono fra i primi a dimostrare che anche il piccolo schermo fosse in grado di esaltare racconti strutturati su più livelli e di approfondire tematiche complesse mettendo in scena un universo narrativo ed estetico estremamente sfaccettato e preciso. I pubblicitari della Madison Avenue degli anni ’60 sono i protagonisti delle vicende e accompagnano lo spettatore per l’intero decennio, evidenziando i cambiamenti storici dell’America in parallelo con quelli dei personaggi. Attorno a Don Draper (Jon Hamm) ruotano le vicende professionali e sentimentali di uomini e donne che occultano i propri drammi tra i vizi e le tentazioni di una vita apparentemente perfetta.

Indice

Tra apparenza e sostanza – Mad Men

I Mad Men, gli uomini di Madison Avenue, sono creativi, intelligenti e affascinanti. I Mad Men sono pubblicitari, sono maestri della comunicazione e sanno esattamente come immagine e interesse vadano di pari passo. Eppure, sotto strati di convinzioni e apparenze, si cela l’insoddisfazione di uomini piccoli e fragili. L’intera premessa della serie oscilla costantemente tra la ricostruzione storica del boom economico postbellico – con i suoi valori e contraddizioni – e la disamina psicologica di ogni personaggio – tra conflitti interiori, bisogni irrealizzati e desideri inesauditi. Se c’è una cosa in cui Weiner è stato maestro, è proprio la capacità di mettere lo storytelling al centro tra apparenza e sostanza. L’una nasconde abilmente l’altra, così come le luci di quei tempi celano ombre e ipocrisie ben più grandi di ciò che chi ricorda si sforza di ammettere.

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Come se la dichiarazione d’intenti non fosse già abbastanza esplicita, il costante riferimento ad argomenti come il razzismo, il sessismo e le disparità sociali riesce ad ancorare il contesto all’America dei nostri giorni. A detta dello stesso showrunner, potrebbe sorprendere ricordare quanto poco sia veramente cambiato nonostante gli anni. Proprio qui, del resto, si poggia l’ennesima, e forse la più grande, chimera di un paese che si mostra come il più abile a celare le proprie problematiche sotto un velo di illusioni e meraviglie. Fantasie, queste, che sono il vero motore di Mad Menmenzogne dalle quali è impossibile fuggire e con le quali bisognerà fare i conti, volenti o nolenti.

Chi è Don Draper? – Mad Men

Don Draper è il protagonista perfetto per incarnare le contraddizioni e la disperazione dell’uomo moderno. Senza particolari riferimenti, si capirà presto che egli stesso è una menzogna. Tutto ciò che fa è filtrato da una maschera e un’immagine che lo proteggono da se stesso e dalle sue ombre. Un velo di stile e savoir faire utile a mostrarsi agli altri come una versione ideale e definitiva di essere umano. Per quanto Don si sforzi, però, nessuna copertura riesce a difenderlo dal passato e da una realtà interiore troppo difficile da nascondere. Talmente complesso e scostante da risultare intrigante, quest’uomo cavalca l’onda della menzogna cercando disperatamente appagamento, bramando un contatto reale: adora sorprendere e ammaliare gli sconosciuti, passa costantemente di donna in donna nella speranza che un conforto esterno lenisca il suo trauma interiore.

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Don Draper è senza ombra di dubbio uno dei personaggi più incisivi della storia della televisione proprio perché è costruito. E non c’è modo migliore per rappresentare lo sviluppo di un personaggio che prendere un uomo perfetto, decostruirlo e distruggerlo pezzo dopo pezzo. Del resto, Don è proprio questo: un uomo solo che per salvarsi dall’oblio si rifugia nella figura sociale più apprezzata del tempo, il self-made man. Così ogni gioia non è reale, ma momentanea e sfuggente: queste non leniscono il suo dolore, ma alimentano l’ego della sua maschera. Don rimane intrappolato nella soddisfazione sociale, schiavo di un personaggio che pian piano gli va sempre più stretto e che lo condanna a non essere mai veramente amato. Preferisce perseverare in uno stadio estetico, vivere l’attimo, senza essere capace di realizzarsi. Don incarna l’ideale di persona che tutti vorrebbero essere, ma che nessuno può essere davvero. Perché non è reale.

La metafora del cambiamento – Mad Men

Lo stesso protagonista, per quanto gli sia difficile ammetterlo, combatte giorno per giorno col desiderio di essere “solo” Don, di rendere definitivo il cambiamento. Per usare le parole di Weiner, “diventare bianco”: l’ideale dell’uomo americano degli anni ’60 – bianco, maschio, affascinante e di successo. Nel disperato tentativo di ergersi come eroe dell’assimilazione, il protagonista di Mad Men diventa il perfetto antieroe americano che riesce ad accettare il fatto di imbrogliare, giocare sporco e aggirare il sistema pur di ottenere ciò che vuole. L’intero cast è composto da personaggi simili che ruotano attorno a Don, formando un circolo vizioso di oustiders che aspirano al cambiamento per raggiungere la versione ideale di sé. L’identità e la crisi sono elementi fondamentali da analizzare per comprendere a fondo un gioco di riflessi e sottigliezze continuamente alterato dal terrore della perdita e dalla rivelazione del reale.

Ogni elemento mira al cambiamento: trovare la sintesi tra interiore ed esteriore, tra apparenza e sostanza, è l’obiettivo ultimo per un’esistenza felice. Una metafora silenziosa ma perpetua, presente nella mente dei protagonisti e nella messa in scena, che porta quasi a credere che conti maggiormente il modo in cui si è visti rispetto a come ci si comporta nell’arduo percorso verso l’accettazione personale. Non a caso molte delle vicende storiche presentate negli episodi rispecchiano gli stati d’animo di Don, dall’assassinio di Kennedy fino allo sbarco sulla luna. Anche il modo in cui Draper viene mostrato gioca un ruolo fondamentale nella rappresentazione visiva di questa lunga transizione dal buio alla luce. Se in molti momenti della serie questi viene spesso ripreso di spalle, in ambienti oscuri come le ombre che lo celano dagli occhi altrui, le fasi finali dello show mostrano la luce come un barlume di speranza, accettazione e superamento.

Dolore ed esistenza – Mad Men

Mad Men rappresenta col suo antieroe la figura dell’esistenzialista. Proprio come l’esteta di Kierkegaard, infatti, Draper si muove costantemente alla ricerca della bellezza e del piacere, ignorando qualsiasi morale. Vive nell’istante, nei riflessi del presente che lo condannano al qui e ora; così facendo, fugge qualsiasi legame con il passato (al quale rinuncia) e con il futuro (nel quale non crede). Non a caso Don è un chiaro richiamo al Don Giovanni, il “seduttore” per antonomasia. Lui non si lega a nessuna donna in particolare perché vuole poter non scegliere. Ma nella costante ricerca dei riflessi di piacere, anche l’esteta finisce per perdersi; quando costui si ferma a riflettere su se stesso, non può che essere assalito dalla disperazione. Non avendo scelto, non avendo accettato conseguenze, tutto ciò che rimane è la convinzione di essere un guscio vuoto. Di essere nessuno.

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La costante minaccia della disperazione e della realizzazione di questo vuoto esistenziale rende lo stesso protagonista un narratore poco affidabile. Lo spettatore si trova così a osservare, come lo stesso Draper, i pallidi riflessi di ciò che accade: solo le conseguenze degli eventi permettono di avere una visione chiara e di dar forma alla realtà. In questo, la pubblicità rappresenta il cuore dell’opera, poiché garantisce riflessi di realtà instillando aspirazioni effimere. Essa non serve a vendere prodotti, ma necessità; ti ricorda ciò che sei, ma ti mostra ciò che vorresti essere. Don è egli stesso consumatore delle pubblicità che inventa, seppur idealmente. Dall’una o dall’altra parte dello specchio – o del tubo catodico – ciò che resta sono idee e sensazioni che, per quanto in contrasto, sono comunque indissolubili. Nell’advertising, così come nella vita, ciascun opposto si dimostra ugualmente importante nella comprensione dei propri bisogni e dei propri desideri.

“Is that all there is?”

Il viaggio nella crisi esistenziale di Don intende attraversare lo specchio, “morire” per poter finalmente rinascere davvero, fuggendo dal ciclo di auto-ripetizione e deterioramento. Viene naturale domandarsi se vi sia davvero una fine del viaggio. Se “Is that all there is?” – è davvero tutto qui, come accenna la canzone di Peggy Lee. Questo, come Mad Men punta a far comprendere, è un quesito che probabilmente non troverà una risposta definitiva. Ma se c’è una cosa che la fine di tutto questo evidenzia con forza è che accettare sé stessi è il primo passo da compiere per rompere il ciclo e trovare una nuova strada. Inutile scappare dai propri problemi: la fuga e la negazione della realtà sono passeggere tanto quanto l’ideale di perfezione cui tutti ambiscono.

La deriva di Don Draper dimostra che solo comprendendo e scavando a fondo del proprio essere è possibile liberarsi dalle maschere. Bisogna imparare a lasciare andare, per ricominciare ad andare. Perché forse non si può davvero cambiare, ma si può imparare a convivere con ciò che si è, impegnarsi per avere un’altra occasione. Forse tutto ciò che c’è oggi è una realtà dolorosa, ma nell’ignoto del domani c’è ancora speranza. Per questo, pur non sapendo quale fine faranno gli uomini e le donne della Madison Avenue, l’ultima cosa che vediamo è un sorriso sereno; uno stacco sul tempo in questa danza di anime dannate alla ricerca della felicità.

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