Ritratto di Paolo Sorrentino: alla corte del Genio
Nel 2006 è la volta de L’Amico di Famiglia. Qui si interrompe momentaneamente la collaborazione con il suo attore feticcio Servillo e nel ruolo del protagonista troviamo un immenso Giacomo Rizzo. Questi è Geremia de’ Geremei, spietato e avido usuraio che matura un’ossessiva attrazione per Rosalba (un’ottima Laura Chiatti), figlia di un suo debitore e prossima alle nozze con un coetaneo. Solo questo si può dire di una trama in divenire e tutta da scoprire: il colpo di scena è dietro l’angolo. Inaspettatamente il film fu accolto da un’ondata di fischi e critiche negative, a seguito dei quali il regista si preoccupò di effettuare alcuni tagli, nonché di cambiare il finale. Queste modifiche erano forse effettivamente necessarie, perché nella versione in cui è stato presentato nelle sale italiane risulta inspiegabile una simile (dis)accoglienza francese. Secondo capolavoro e, immeritatamente poco noto, perla da riscoprire, colma di scene indimenticabili e dialoghi finissimi e amabilmente sentenziosi. E pensare che, in tempi non lontani (non si dirà qui il titolo del film) Tornatore ne ha spudoratamente calcato l’invenzione finale riscuotendo il plauso di tutti; ma non stupisce un simile atteggiamento da parte di un regista in piena crisi creativa, tale da dover addirittura scopiazzare un già orrido film quale ‘P.S. I Love You’ per cavarci fuori il nauseante La Corrispondenza. Chiusa parentesi.
Nel 2008 arriva il Premio della Giuria del Festival di Cannes, ormai seconda casa di Paolo Sorrentino, per Il Divo, ritratto semiserio di Giulio Andreotti, ambigua figura politica di un periodo disgraziato della storia del nostro paese. Provocatorio, palesemente accusatorio e al tempo stesso capace di momenti di estrema tenerezza, il film fece parecchio discutere ma fu accolto in maniera molto positiva a livello nazionale ed estero. Manco a dirsi il film viene premiato con numerosi David, tra cui l’ennesimo al gigantesco Toni Servillo e quello per la migliore non protagonista a Piera Degli Esposti. Una per tutte, resta nel cuore la scena in cui Andreotti e la moglie (interpretata da un’eccezionale Anna Bonaiuto) incrociano mani e sguardi ascoltando I Migliori Anni di Renato Zero. Sorrentino comincia a percorrere una strada più radicalmente nuova, dove la storia si fonde con la poesia, la violenza della realtà con la tenerezza del sentimento.
Ed ecco il punto di rottura! Affinando il richiamo ondivago del proprio stile, nel 2011 il regista approda oltreoceano e firma This Must Be The Place. Qui si racconta la storia di Cheyenne, rockstar rimasta bloccata nel look e nella mente agli anni di un successo ormai trapassato. Afflitto da una devastante noia (guai a chiamarla depressione!), Cheyenne trova una nuova ragione di vita nella morte del padre. Saputo, infatti, che quest’ultimo aveva cercato per tutta la vita di ritrovare il nazista che a tempi di guerra lo aveva umiliato in un campo di concentramento, egli decide di continuare la ricerca del padre, nella speranza che il criminale tedesco sia ancora vivo. Il linguaggio adoperato da Sorrentino è completamente nuovo, straniante e assolutamente non per tutti. È un opera destabilizzante e certamente complessa, eppure (o forse proprio per questa ragione) regala uno dei personaggi più difficilmente dimenticabili del cinema contemporaneo. Il merito è di uno Sean Penn in stato di grazia: parruccona, rossetto, cipria, vestito di pelle nera, parlare apatico e incedere lento per un’interpretazione che ha dell’incredibile. Il tutto accompagnato da una sceneggiatura on the road fieramente slabbrata e, pur mantenendo una sua linearità, suggestivamente visionaria. E, al termine di questo viaggio dell’anima, Sorrentino ci regala un finale da applausi a scena aperta. Perché una rinascita è sempre possibile: alla paura dell’età adulta basta opporre la magica virtù di una malinconica spensieratezza.