The Hurt Locker: il significato simbolico del titolo del film di Kathryn Bigelow
L'espressione hurt locker dal gergo militare al film vincitore di sei premi Oscar
Nel 2010 Kathryn Bigelow segnò la storia degli Academy Awards come prima donna ad aggiudicarsi il premio Oscar come miglior regista. Oltre alla statuetta per la miglior regia, The Hurt Locker conquistò altri cinque premi Oscar: miglior film, miglior sceneggiatura originale, miglior montaggio, miglior sonoro e miglior montaggio sonoro. In quell’anno Kathryn Bigelow aveva come suo diretto concorrente nientemeno che l’ex marito James Cameron con Avatar. The Hurt Locker è un film sulla guerra, sulla dipendenza che essa crea e sul dolore; dolore che entra in gioco sin dal titolo. Vediamo allora insieme il significato dell’espressione gergale (quella cassetta del dolore) che dà il titolo alla pellicola.
L’espressione “hurt locker” appartiene principalmente all’ambito militare ma è entrata anche nel gergo sportivo; in quest’ultimo caso, i cronisti la utilizzavano spesso per indicare o un giocatore infortunato o una squadra in difficoltà. Anche in ambito militare viene comunemente usata per indicare un soldato gravemente ferito. Lo sceneggiatore di The Hurt Locker, Mark Boal, la sentì usare nel 2004 mentre – come giornalista freelance – si trovava al fianco di alcuni artificieri dell’esercito degli Stati Uniti. Fu proprio da questa esperienza che nacque lo spunto per la sceneggiatura del film. A proposito dell’espressione “hurt locker”, Boal, intervistato dal New Yorker, ha spiegato quanto segue:
Quando una bomba esplode, ti ritrovi nell’hurt locker. Così usavano questa espressione a Baghdad. Ha significati diversi in base a chi la usa, ma tutte le definizioni hanno la stessa idea al centro. È un posto dove non ti vuoi trovare.
Letteralmente il termine “hurt” indica qualcosa che causa sofferenza, dolore; “locker” – nell’ambito militare – non è solamente la cassetta di metallo in cui viene chiuso ciò che resta dei soldati caduti per essere riportati a casa. Indica anche, a livello metaforico, uno spazio chiuso dal quale è difficile uscire; uno spazio mentale, psicologico. Ritroviamo questa espressione, con una carica emotiva molto simile a quella che veicola The Hurt Locker – anche in una poesia di Brian Turner, scrittore americano che combatté in Iraq fra il 2003 e il 2004. Nel 2005 Turner pubblicò una raccolta intitolate Here, Bullet; una delle poesie si intitola proprio The Hurt Locker.
Qui l’espressione è utilizzata per indicare una sorta di terribile contenitore che, una volta aperto, mostra in che modo crudele, durante una guerra, gli uomini vadano a caccia di anime. Kathryn Bigelow ha parlato di quella cassetta del dolore come del “luogo del dolore definitivo”, un luogo dove ci si trova quando si ha la morte di fronte. Ecco che l‘hurt locker allora, nel film, non indica solo la fredda scatola di metallo in cui riporre ciò che resta dei soldati. È il luogo interiore della sofferenza, un vuoto dell’anima in cui chiudere dolore e paura, lasciandoli fuori per poter continuare a svolgere il proprio compito. Quel compito che è come una droga devastante, che attira in modo inesorabile e della quale non si riesce a fare a meno.