The Post: la storia (vera) della pubblicazione dei Pentagon Papers
Pubblicare o non pubblicare? Questo il problema. Soprattutto quando in gioco ci sono legate a doppio filo la libertà di stampa ed il rischio di finire in carcere. E’ l’avvincente tema attorno a cui ruota l’ultimo film di Steven Spielberg, The Post, che sta riscuotendo successo nelle sale di tutto il mondo.
Come il regista stesso lo ha definito, The Post “è un film di inseguimenti con i giornalisti”, ed è vero. Perché è un thriller-giornalistico come non se ne vedevano da tempo. Una storia di coraggio e amore per la verità. Quella raccontata in The Post è prima di tutto una storia vera.
Ecco la storia dietro alla pubblicazione dei Pentagon Papers, sottratti da Daniel Ellsberg e successivamente diffusi dal New York Times e dal Washington Post
Erano gli anni della guerra in Vietnam, anni in cui gli Usa sganciavano le bombe prima di avvertire l’opinione pubblica, i primi anni in cui cominciava ad insinuarsi l’idea che un presidente potesse mentire. Solo nel 1971, anno in cui i Pentagon Papers furono pubblicati, un sondaggio mostrava che la fiducia dell’opinione pubblica nei confronti dell’operato del presidente Richard Nixon era diminuita del 50%, perché gli americani cominciavano a ritenere la guerra in Vietnam “moralmente ingiustificabile”.
La storia
Lo studio sulla storia della guerra in Vietnam fu commissionato nel 1967 dall’allora segretario della Difesa Robert McNamara, al fine di poter essere studiato dai posteri. Con il nome US-Vietnam Relations, 1945-1967: History of US Decision Making Process on Vietnam Policy, rimase per anni segreto. Alla stesura del dossier collabora anche l’analista Daniel Ellsberg.
Fu lui ad accorgersi che la guerra in Vietnam fu scatenata per motivi futili (“evitare una sconfitta umiliante“, si legge nel dossier), che la strategia del governo americano era semplicemente quella di seguire le orme dei propri predecessori, senza nemmeno conoscerle.
Un dramma. Migliaia di americani mandati a morire per combattere una guerra che fin dall’inizio gli Usa sapevano di non poter vincere, che si sommavano agli omicidi di massa commessi nel sud-est asiatico con metodi orrorifici. Dal 1969 Ellsberg comincia a fotocopiare le 7 mila pagine top secret che compongono i Pentagon Papers per poi consegnarle, nel febbraio 1971, al giornalista del New Tork Times Neil Sheehan.
Da qui entra in gioco il mondo della stampa. Sheehan e il suo team impiegheranno mesi per leggere tutti i documenti, tant’è che la prima pubblicazione dei Papers ci sarà nel giugno dello stesso anno. Il presidente Nixon andò su tutte le furie e impegnò tutte le sue forze per bloccare la libertà di stampa e la pubblicazione di notizie che potessero ledere la sua immagine e diminuire il consenso nei suoi confronti. E il film di Spielberg ci mostra un Nixon fuori di sé, inquadrato di spalle nello studio ovale mentre sentiamo la vera voce registrata dalle intercettazioni fatte al presidente.
Per il Times iniziano i primi guai. Nixon fece emettere un’ingiunzione per bloccare la pubblicazione dei documenti. Il Times fece appello alla Corte Suprema ma intanto non poteva pubblicare niente che riguardasse i Pentagon Papers.
The Post
La palla fu colta al balzo dal Washington Post, giornale più piccolo del Times edito da Katharine Graham (interpretata da Meryl Streep) e diretto da Ben Bradlee (Tom Hanks nel film). Il direttore sa che si tratta di una storia senza precedenti; probabilmente un’occasione così grande tra le mani non gli capiterà più. Mette quindi su una squadra con i suoi uomini più fidati con il compito di trovare una copia dei Pentagon Papers.
Uno dei suoi giornalisti, per la precisione Ben Bagdikian (Bob Odenkirk, il Saul Goodman di Breaking Bad), ha una pista ed inizia a seguirla. Si arma dunque di gettoni e corre a fare chiamate dai telefoni pubblici; con l’aria che tirava a quei tempi non si sapeva mai quale telefono potesse essere intercettato. Quella pista lo porterà proprio da Daniel Ellsberg. Ora anche il Washington Post ha una copia dei documenti top secret del dipartimento della difesa.
Ben Bradlee mette la sua squadra a lavorare nel salone di casa sua; il fumo crea una densa coltre che aleggia sul soffitto, ogni tavolo, mobile e il pavimento sono ricoperti dalle pagine dei Pentagon Papers, messe alla rinfusa e senza essere numerate. Una pagina letta da un giornalista e messa da parte è la pagina seguente che magari serve ad un collega, e così via per tutto il giorno che sembra non avere fine. I tasti delle macchine da scrivere impazzano sotto le dita frenetiche dei giornalisti del Post. Le storie da raccontare, tra tonnellate di bombe sganciate senza pietà, segreti e bugie, non mancano di certo.
Il Post ha i suoi articoli pronti da stampare sul giornale del giorno dopo. Ma cosa rischia a pubblicare gli stessi documenti top secret che hanno causato un’ingiunzione nei confronti dei colleghi del New York Times? Arrivano gli avvocati. E concludono che se la fonte del Post è la stessa del Times il direttore Bradlee e l’editore Graham rischiano il carcere.
Pubblicare o non pubblicare?
La fonte era proprio la stessa per entrambi i giornali, Daniel Ellsberg. La Katharine Graham di Meryl Streep rischia di perdere tutto e più di tutti. Lei che è diventata l’editrice del Post fondato da suo padre ma che lui aveva lasciato al marito di Katharine. E lei era subentrata solo dopo che il marito era morto suicida. Lei che si ritrova in stanze piene di uomini che le dicono se e quando può parlare e cercano sempre di farle dire quello che vogliono.
C’è tempo fino a mezzanotte per decidere, dopodiché il giornale deve essere stampato. Sarà proprio Katharine a dare il via definitivo alla stampa degli articoli che rivelano altre losche faccende contenute nei Pentagon Papers. Come per il New York Times l’ingiunzione arriva anche per il Washington Post. Bradlee non intende smettere di pubblicare e decide di andare in tribunale. E’ venerdì, la Corte suprema deciderà chi ha ragione.
Il Dipartimento della Difesa sostiene che i giornali, pubblicando documenti top secret, abbiano violato il segreto di stato e messo potenzialmente in pericolo l’intera nazione. Cosa sarebbe successo se i Papers fossero finiti nelle mani dei sovietici? I giornali replicano che informare l’opinione pubblica di cosa stia facendo il governo non è neanche lontanamente paragonabile a vendere segreti ai nemici della patria. Si appellano dunque al Primo Emendamento della costituzione americana: quello che stabilisce la piena libertà di stampa.
Siamo giunti all’agognato verdetto. La tensione è alle stelle. La giuria delibera a favore dei giornali. Il motivo fa venire, ancora oggi, la pelle d’oca: la stampa è al servizio di chi è governato, non di chi governa. La reazione di Nixon? Ordinò ulteriori indagini sul conto di Daniel Ellsberg per screditarlo e mise sotto intercettazione il Comitato Nazionale Democratico.
Lo scandalo Watergate è servito.
Leggi anche:
“The Post” – La recensione del nuovo film di Steven Spielberg