I migliori film intrippanti da vedere per ingannare e confondere la vostra mente!
Una lista dei migliori film più spettacolari e assurdi dagli inizi del cinema a oggi!
D.Edgar Morin ha a lungo riflettuto sul rapporto immaginario-reale, fondamento del mezzo cinema fin dalle sue origini. Un sincretismo che oggi è divenuto sempre più insistente, alla ricerca di quello shock percettivo tipico della società contemporanea. Per noi di FilmPost è quindi molto importante aiutare a districarvi nella moltitudine di film intrippanti che il cinema ha saputo produrre. Viaggi nel tempo, destrutturazioni della trama, colpi di scena inattesi, fughe psicogene. Tutto concorre alla creazione di quella “vertigine del doppio” teorizzata da Morin, ovvero la volontà di sottrarci al reale per immettersi completamente nel cinema d’illusione.
L’espressione “intrippante” è sicuramente strana, ma deriva dal termine americano “trip“, ovvero “viaggio”. Da anni viene utilizzato per indicare i viaggi mentali, spesso conseguenza dell’assunzione di droghe. Riassumendo possiamo definire film intrippante, quella pellicola allucinata, in parte incomprensibile, e altamente sorprendente. Quei film in grado di scioccare lo spettatore a livello cerebrale, negando psicologia dei personaggi, struttura drammaturgica e, nei casi più estremi, leggi della fisica e del cosmo. Noi di FilmPost vi guideremo così alla scoperta dei migliori 20 film intrippanti dal 1895 a oggi.
PREMESSA: Al fine di offrire una panoramica più vasta possibile, abbiamo deciso di considerare svariati generi e soprattutto di prendere in esame un solo film per autore. Per tale ragione Nolan verrà menzionato solo con Memento, e magari non anche con Inception o The Prestige (nonostante entrerebbero nella classifica meritatamente). Discorso valevole per molti altri registi del calibro di Lynch, Carpenter, Polanski, Kon. Fatta questa premessa, non ci resta che scoprire questi film!
Indice
I migliori film intrippanti d’epoca
Un chien andalou (1929, 16 minuti, Salvador Dalì – Luis Bunuel)
Non si può parlare di film intrippanti senza menzionare le avanguardie cinematografiche. L’espressione più alta del Surrealismo è Un Chien Andalou, film tra i più celebri, misteriosi e impressionanti della storia del cinema, l’opera prima di Luis Buñuel. Si tratta di un cortometraggio della durata di 16 minuti che vede il susseguirsi di cinque scene decisamente indecifrabili. Sono state azzardate diverse interpretazioni, ma nessuna riesce a incrinare quell’ambiguità essenziale, matrice del cinema di Buñuel.
Un Chien Andalou ha la capacità di trasformare in immagini elementi tipici del componimento musicale e del quadro astratto, garantendo alle sue scene oniriche la meritata eternità. Famosissime infatti sono le sequenze chiave dell’occhio tagliato da un rasoio, della mano piena di formiche e del pianoforte trascinato con due asini morti e due preti legati. L’assenza di una successione cronologica, l’ambiguità spaziale e l’incertezza dominante concorrono nel creare un’esperienza disturbante e decisamente intrippante.
Persona (1966, 85 minuti, Ingmar Bergman)
Persona è sicuramente il film più sperimentale ed ermetico di Ingmar Bergman, che già in altri casi ci aveva portato a camminare tra sogno e realtà con L’Ora del Lupo e Il Settimo Sigillo. Tutti film intrippanti. La trama, apparentemente semplice, ha al centro due protagoniste: Alma (Bibi Anderson) e Elisabeth (Liv Ullmann). La prima è una giovane infermiera che assiste la seconda, un’attrice che da tempo ha scelto di non parlare. Le due donne si trasferiranno in una casa in riva al mare, ma la convivenza forzata provocherà incomprensioni e astio. Il tutto culminerà in un confronto in cui l’una scoprirà di avere sempre più bisogno dell’altra.
Di enorme ispirazione per Mulholland Drive di David Lynch, Persona si apre con una sequela di fotogrammi apparentemente privi di senso, percepibili dal sonno o dall’inconscio. Bergman con delicatezza estetica e profondità di sguardo, focalizza l’attenzione sulle due figure femminili, trasportando lo spettatore dentro la rappresentazione scenica. La distanza delle due donne sembra solo apparentemente incolmabile, perché arriveranno a dissolversi l’una nell’altra nell’eterno risucchio tra luci e ombre. Lo spettatore è messo davanti al “toccare visivo” di Jean Epstein, immerso in un viaggio nella psiche femminile, labirintico e angoscioso, che raggiungerà il suo apice proprio nell’incredibile finale.
L’uomo che fuggì dal futuro (1971, 95 minuti, George Lucas)
Se parliamo dei migliori film intrippanti non possiamo non far menzione di una chicca sconosciuta ai più. Si tratta di L’uomo che fuggì dal futuro di George Lucas, il primo lungometraggio dell’amato regista, autore dell’eterno Star Wars. Questo film, ripreso da un lavoro sperimentale di 15 minuti d’epoca universitaria, contiene in nuce tutto quel concentrato di immaginario e visioni che hanno caratterizzato il cinema di Lucas. In un futuro ipotetico, gli uomini vivono sottoterra e sono distinti solo da sigle. Il desiderio è proibito e tutti sono assuefatti dall’assunzione di droghe che li costringono in uno stato catatonico. Ad emergere sarà però l’operaio THX 1138 (Robert Duvall) che si ribellerà e insieme alla sua coinquilina LUH 3417, inizierà una lunga fuga psichedelica dal sistema.
Si tratta di un film difficile da seguire, una storia di fantascienza immersa nel pessimismo sui destini futuri dell’uomo, dove regna la claustrofobia. L’uomo che fuggì dal futuro presenta dei tratti orwelliani con riferimenti al Metropolis di Lang. George Lucas però è bravo nell’inserire molti temi del dibattito degli anni ’70, come la liberazione sessuale, la cultura delle droghe e l’oppressione del mondo adulto. Il film rappresenta un piccolo campionario di quello che Lucas avrebbe poi realizzato, rivoluzionando, insieme a Spielberg, il cinema hollywoodiano.
L’inquilino del terzo piano (1976, 125 minuti, Roman Polanski)
Tratto dal racconto lungo Le locataire chimerique di Roland Topor, L’inquilino del terzo piano è l’ultimo capitolo della “Trilogia dell’appartamento” (insieme a Repulsione e a Rosemary’s Baby). Il film racconta le vicissitudini di un giovane impiegato di nome Trelkowski (Roman Polanski) che decide di cambiare abitazione, prendendo possesso di un appartamento in centro a Parigi. La precedente affittuaria, Simone Choule, si è uccisa gettandosi da una finestra. Circondato da grotteschi vicini, Trelkowski scopre nell’appartamento trace dell’ex-inquilina, finendo progressivamente in un tunnel di follia che lo condurrà al totale sdoppiamento di personalità nella ragazza.
Si tratta di un dramma gotico e psicologico sulla diversità e sulla figura dello straniero, metafora e riflessione sull’artista, in bilico tra follia e razionalità. Come in Rosemary’s Baby, anche qui il nemico è simboleggiato dalla società, il vicinato che complotta contro il protagonista. I simbolismi tipici di Polanski si fanno sempre più estremi con lo scorrere della pellicola, accompagnati dall’ottima scenografia di Pierre Guffroy e dalla fotografia cupa e inquietante del maestro Sven Nykvist, direttore della fotografia di quasi tutti i film di Bergman. L’isolamento di Trelkowski e l’auto-condanna alla perdita del sé e dell’identità, porteranno lo spettatore a perdersi tra realtà e follia.
I migliori film intrippanti a cavallo tra gli anni ’90 e gli anni 2000
Il seme della follia (1994, 103 minuti, John Carpenter)
Il Seme della Follia è sicuramente una delle opere più ambiziose e complesse di John Carpenter, dove la sua visione nichilista e apocalittica dell’umanità viene spinta alle estreme conseguenze. Fortemente influenzato da tematiche lovecraftiane, Carpenter dirige un horror di altissima scuola, in cui la narrazione vive di pari passo con l’atmosfera. Il protagonista della storia è l’investigatore privato John Trent (Sam Neill), che viene ingaggiato per ritrovare Sutter Cane (Jürgen Prochnow). Cane è un famosissimo scrittore di libri horror in grado di penetrare come pochi altri nella psiche dei lettori. Il detective si ritrova coinvolto in una vicenda in cui la realtà si confonde pericolosamente con la fantasia, che lo metterà davanti a eventi soprannaturali decisamente inquietanti.
La storia, narrata attraverso un lungo flashback, riesce a regalare continue sorprese con realtà e fantasia che si intrecciano in un crescendo di suspense. Visivamente, il film è uno dei più curati di Carpenter: la fotografia predilige i toni cupi e lividi, tali da conferire al film un look onirico e inquietante. Il regista, inoltre, è un maestro nel gestire i tempi narrativi e il crescendo di tensione della storia, inquietando e confondendo lo spettatore.
Cube – Il cubo (1998, 90 minuti, Vincenzo Natali)
Nel 1998, l’esordiente regista italo-canadese Vincenzo Natali dà vita ad uno più originali e complessi sci-fi / horror degli ultimi decenni. Sei perfetti sconosciuti si risvegliano in una stanza cubica, senza alcun ricordo di come esservi giunti. Il gruppo cercherà di trovare un modo per uscire dalla struttura, tramite dei pannelli collegati ad ogni parete della stanza che conducono ad ambienti simili. In alcuni di questi ci sono delle trappole mortali, che dimezzeranno il gruppo e renderanno il cubo decisamente claustrofobico.
Vincenzo Natali utilizza un contesto elementare, ma grazie alle molteplici diramazioni pseudo-matematiche riesce a creare un prodotto ad alto carico di tensione. La dimensione narrativa di impronta kafkiana con elementi macabri e cruenti è perfetta per la tematica cane mangia cane in un febbrile gioco al massacro ordito da entità sconosciute. In Cube si possono ritrovare elementi che avrebbero fatto la fortuna del franchise di Saw, come gli istinti malsani e imprevedibili che emergono in un gruppo di reclusi a stretto contatto. Le sorprese saranno sempre dietro l’angolo e culmineranno nell’epilogo, tutto fuorché chiarificatore. Il buon risultato ottenuto dalla pellicola ha ispirato altri due film: Il Cubo 2 – Hypercube e Cube Zero, rispettivamente sequel e prequel. Entrambi non all’altezza del primo e originale capitolo.
Essere John Malkovich (1999, 103 minuti, Spike Jonze)
Essere John Malkovich segna l’esordio alla regia del pluripremiato Spike Jonze e porta a conoscenza il genio di Charlie Kaufman, autore di una sceneggiatura invidiabile. Il protagonista è Craig Schwartz (John Cusack), un burattinaio di successo che vive con la moglie Lotte (Cameron Diaz). Craig troverà lavoro come archivista dove conoscerà la bellissima Maxine (Catherine Keener) di cui si innamora e dove scoprirà un passaggio che gli consentirà di ritrovarsi dentro la testa del famoso attore John Malkovich. Da qui l’idea avuta con Maxine di creare una società che permetta a chiunque di essere John Malkovich per 15 minuti al costo di 200 dollari.
Essere John Malkovich è un vero e proprio viaggio meta-cinematografico, sospeso tra fantasia, schizofrenia e surrealismo. Viene inscenata una critica dello star system hollywoodiano, che ci porta a ritenere le vite dei vip più belle e degne di essere vissute. Ma alla critica antropologica ne segue una molto feroce della società capitalista e della sua strumentalizzazione del sistema mediatico e dell’industria culturale. Il continuo accentuarsi di situazione kafkiane, accompagnate da un ritmo sferzante, conducono all’alienazione lo spettatore tra sogno e realtà.
Memento (2000, 114 minuti, Christopher Nolan)
Christopher Nolan al secondo lungometraggio, dà vita a un noir intricato che lo porterà alla ribalta della scena cinematografica internazionale. Senza far ricorso a grattacieli, realtà oniriche e buchi neri che seguiranno nella filmografia nolaniana, Memento è capace di dare sostanza alla memoria e senso ai ricordi attraverso un thriller incalzante. Infatti, l’intera vicenda ruota intorno al concetto del “ricordare” in un apparente caos che rispecchia lo stato mentale del protagonista; Leonard Shelby (Guy Pearce) è infatti affetto da una particolare forma di amnesia. Shelby cerca l’assassino della moglie, ma per evitare che i ricordi fuggano, fisserà spazio e tempo attraverso fotografie, cartelline e tatuaggi.
Nolan è fenomenale nel mettere in discussione il tradizionale linguaggio cinematografico, facendo un utilizzo intelligente di un montaggio sconnesso e segmentato. Questo diventa vero e proprio mezzo espressivo. Decostruendo e ricostruendo la linearità della sceneggiatura, Nolan è bravo a tenere insieme due linee narrative (presente e passato) e a farle convergere nell’inautenticità della scena finale. L’originalità della pellicola consiste proprio nella particolare struttura compositiva, che ritornerà in parte nel ben più famoso Inception. Lo spettatore si ritroverà a chiedersi se tutto quello che ha visto sia vero e se a volte non sia meglio rimanere nel dubbio.
Mulholland drive (2001, 145 minuti, David Lynch)
Considerato dalla BBC il miglior film del XXI secolo, Mulholland Drive è un noir così onirico e surreale da poter essere stato partorito solo dalla mente geniale di David Lynch. Il film segue le vicende di Rita (Laura Harring) e Betty (Naomi Watts), due ragazze tanto misteriose quanto affascinanti. Rita è un’avvenente bruna che ha perso la memoria in seguito a un incidente d’auto, mentre Betty è una bella ragazza bionda che aspira a diventare attrice. Le due protagoniste cercheranno di far luce sull’amnesia di Rita, finendo nei meandri della propria psiche.
Decisamente enigmatico, Mulholland Drive è un vero e proprio puzzle che cattura, affascina e trascina lo spettatore in un vortice di sensazioni. Lynch è fenomenale nel creare un climax che culmina in un finale di inaudita potenza. Aiutato da una straordinaria Naomi Watts, il regista del Missoula ci conferma che noi e il cinema siamo davvero fatti della stessa materia dei sogni. L’ambivalenza e ambiguità del film rendono molto difficile distinguere tra realtà e sogno, tra vero e falso. Sarà solo quando il sogno terminerà che il vero orrore prenderà piede.
Donnie Darko (2001, 108 minuti, Richard Kelly)
Se si pensa a film intrippanti, si pensa quasi istantaneamente a Donnie Darko. Il film di Richard Kelly con Jake Gyllenhaal, Jena Malone e Drew Barrymore ha fin dalla sua uscita diviso il pubblico in due. La complessità e l’ambiguità attorno alla quale gira la struttura drammaturgica del film rende la pellicola aperta a diverse interpretazioni: dal sogno al loop temporale, dalla schizofrenia all’universo tangente. È proprio l’enigmaticità del film a costituirne il grande successo.
La trama vede come protagonista Donnie (Jake Gyllenhaal), un ragazzo con disturbi mentali che lo hanno portato a dar fuoco a una casa abbandonata. Tormentato da frequenti allucinazioni, il ragazzo rivelerà alla sua psicanalista la presenza del suo amico immaginario Frank. Questi non è altro che un coniglio gigante che decide di svelargli che la fine del mondo arriverà entro 24 giorni. Lo spettatore vivrà il surreale conto alla rovescia perso tra paradosso e realtà, ma il risultato finale sarà vincente, aprendosi a diverse chiavi di lettura. Il film per queste ragioni si è ritagliato un ampio spazio tra gli appassionati del surreale, fantascienza ed esoterismo, imponendosi come fenomeno di culto.
L’uomo senza sonno (2004, 102 minuti, Brad Anderson)
L’uomo senza sonno verrà ricordato sempre per l’incredibile performance di Christian Bale, che per l’occasione perse ben 25 chili, arrivando a pesarne solamente 54. Il trasformismo di Bale riesce a rendere perfettamente l’inquietudine e l’insonnia di Trevor Resnik, la cui routine fatta di lavoro e sesso a pagamento, sarà perturbata da strani avvenimenti. Trevor arriverà a dubitare di chiunque, alla ricerca della soluzione di uno strano enigma.
Il tentativo del regista Brad Anderson di trasmettere il perenne stato di semi-coscienza in cui galleggia il protagonista è sicuramente riuscito. Al tempo stesso è molto bravo nel garantire un effetto di sospensione tra onirico e reale, mischiando elementi kafkiani alle ricorrenze visive di Murnau e Polanski (con il dovuto rispetto). Menzione particolare merita il lavoro di Xavi Gimenez, bravo nel trovare la giusta fotografia in linea con l’opacità e la lentezza della vita del protagonista. Purtroppo il film risente un po’ della scrittura patinata e a tratti scontata di Scott Kosar, mancante di alcuni fondamenti riguardo i cardini dell’intreccio. In conclusione, il film è interessante per il buon lavoro registico di Anderson e per la magistrale prova di Bale. Risente però di una sceneggiatura abbastanza scontata incapace di rendere inaspettato lo sviluppo narrativo.
Se mi lasci ti cancello (2004, 108 minuti, Michel Gondry)
Diretto da Michel Gondry e sceneggiato dall’incredibile Charlie Kaufman, Se mi lasci ti cancello è poesia per tutti gli innamorati che hanno sofferto una rottura. Joel (Jim Carrey) e Clementine (Kate Winslet) sono due innamorati con alti e bassi. Un giorno però la ragazza, stanca della sua relazione in fase di declino, decide di farsi cancellare dalla mente la storia con Joel tramite un esperimento scientifico. Joel deciderà di fare lo stesso, ma durante il processo rivivrà tutti i momenti passati con Clementine, finendo per cambiare idea.
Se mi lasci ti cancello (che risente della pessima traduzione italiana) è un’opera originale che ci parla dell’amore dalla sua prospettiva più dolorosa: la fine. I personaggi sono reali e molto credibili e riescono a donare al film profondità e spessore, lasciando un sapore dolce-amaro nello spettatore. Gondry e Kaufman inoltre riescono molto bene nel narrare al rovescio una comune storia d’amore, ricomponendola in un gioco di scatole cinesi. I due trasmettono allo spettatore un continuo senso di deja-vu, portandolo a fare libere associazioni con la propria vita e facendogli ricordare che nel dolore di un amore finito, ci sono sempre preziosi ricordi che non vorremmo cancellare.
I film intrippanti più recenti
Mr. Nobody (2009, 138 minuti, Jaco Van Dormael)
Penalizzato da una limitata distribuzione nelle sale, Mr. Nobody rappresenta il ritorno al cinema di Jaco Van Dormael dopo ben 13 anni di inattività. Il regista belga affronta il tema delle scelte che ogni essere umano può compiere, ricordando un po’ lo Sliding Doors di Peter Howitt. Ma Van Dormael fa un passo in avanti e non si limita a strutturare il suo film su un semplice sistema binario, ampliando la narrazione alle infinite possibilità che ogni uomo si trova davanti ogni giorno. Per questo la trama vivrà di complessi intrecci e toni onirici.
Il film segue le vicende di Nemo Nobody (Jared Leto), ultimo essere mortale rimasto sulla Terra nel 2092. L’umanità infatti ha scoperto la telomerizzazione, una tecnica in grado di garantire eterna giovinezza. Ma laddove la vita sembra aver perso il suo fascino, Nemo è l’ultimo custode del senso di una vita vissuta con la coscienza di avere giorni e possibilità limitate da sperimentare. Ormai centenario, cercherà di ricostruire il proprio passato tra mondi alternativi e infinite possibilità. Il complicatissimo ed eccezionale montaggio (che ha richiesto un anno) si accompagna a una sceneggiatura intelligente, capace di far addentrare lo spettatore nella narrazione senza che questo perda l’orientamento. Il risultato finale è decisamente sorprendente.
Synedoche, New York (2008, 124 minuti, Charlie Kaufman)
Enigmatico e incredibilmente junghiano, Synecdoche, New York è l’esordio alla regia di Charlie Kaufman e risiede di diritto tra i migliori film intrippanti. Il protagonista è Caden Cotard (Philip Seymour Hoffman), un regista teatrale che cerca di montare un nuovo spettacolo. La moglie Adele (Catherine Keener) lo lascia e la sua analista non si cura della frustrazione del parente. Ossessionato dalla morte imminente, Caden decide di riunire un gruppo di attori che dovranno mettere in scena la sua vita ripercorrendo i luoghi da lui frequentati. Il fulcro della sua opera è ricreare la vita in maniera dura e sincera, ma l’artificio istrionico inizierà presto a confondersi con la realtà, creando una notevole complessità su più livelli.
L’idea di incentrare il lavoro su un linguaggio altamente metaforico implica per il pubblico un elemento di difficoltà, soprattutto quando il surreale si lega ad aspetti quotidiani. Attraverso un ottimo montaggio si crea ambiguità, rendendo la sfera sensibile confusa in quella psichica. Questo crea un forte senso di straniamento tipico dell’esperienza onirica. Ad accompagnare il tutto è presente una certa teatralizzazione della vita, dove emerge la figura del regista demiurgo con tutte le sue ossessioni pirandelliane. Ben realizzato e stimolante, Kaufman coinvolge lo spettatore in una densa analisi esistenziale.
Paprika (2009, 90 minuti, Satoshi Kon)
Trasposto piuttosto liberamente da un romanzo del maestro della letteratura fantascientifica giapponese Yasutaka Tsutsui, Paprika ha il merito di aver ispirato l’Inception di Nolan. Atsuko Chiba è una psicoterapeuta che cura i traumi dei suoi pazienti interagendo col loro mondo onirico grazie al DC-Mini, un dispositivo in grado di entrare nella psiche di chiunque. Il congegno però viene rubato da un misterioso nemico, deciso a interferire con i sogni degli uomini per governare sul mondo sognato e su quello reale. Il detective Konokawa indagherà sul caso insieme a Paprika, alter ego onirico della dottoressa Atsuko e il dottor Tokita, l’inventore del prototipo.
Satoshi Kon replica la magia di Perfect Blue, creando un’opera metacinematografica, un’opera onirica che confonde i piani del reale, del sogno, del fantastico e del cinematografico. Si tratta sicuramente di una pellicola accattivante, piena di sottotrame e di angolazioni che apre riflessioni sul presente e sul futuro e sul quanto sia facile perdere la propria identità quando la tecnologia spinge all’uniformità. Perdersi è facile quando immaginazione e realtà si confondono e sovrappongono, ma Kon è incredibile nel gestire i diversi piani su cui si svolge la storia. Uno psyco-thriller d’animazione davvero intrippante.
Enter the void (2009, 154 minuti, Gaspar Noé)
Se si parla dei migliori film intrippanti dobbiamo in qualche modo menzionare il folle Enter the Void dell’ancor più folle regista argentino Gaspar Noé. 154 minuti di puro delirio, accompagnato da visioni di svariata natura su questioni di importanza capitale. Oscar e Linda sono due fratelli che vivono in Giappone. Il primo passa le sue giornate tra spaccio e droga, la seconda lavora come spogliarellista in uno strip club. Il film nel giro di pochi minuti diventa più visionario che mai, assestando diversi pugni allo stomaco allo spettatore.
Stacchi di montaggio ridotti all’osso, fotografia psichedelica e allucinatoria, si tratta sicuramente di un film sperimentale ma che risente della sua stessa natura. La pellicola conferma praticamente tutto il bagaglio cinematografico già messo in mostra da Gaspar Noé: sesso e violenza senza soluzione di continuità oltre a una massiccia dose di spettacolarizzazione visiva. I virtuosismi della macchina da presa si accompagnano ai ritmi delle palpitazioni cardiache e ai battiti di ciglia in soggettiva, le sonorità sono stranianti e ipnotiche. Noé dà vita a un film psichedelico che si arrende alle sperimentazioni e alla visionarietà del regista. Ma l’esperienza sensoriale straordinaria non riesce a scindersi da una vuotezza di fondo: viene da chiedersi quale sia l’essenza di un film puramente controverso come questo.
Shutter Island (2010, 138 minuti, Martin Scorsese) – Film intrippanti
Tratto dall’omonimo di Dennis Lehane, Shutter Island scava a fondo nella psiche dei suoi personaggi, creando una fitta reti di misteri che lasciano tante domande e trovano ben poche verità inconfutabili. Ci troviamo nel 1954, i due agenti federali Teddy Daniels (Leonardo DiCaprio) e Chuck Aule (Mark Ruffalo) vengono inviati a Shutter Island, un isolotto al largo di Boston, per indagare sulla scomparsa Rachel Solando (Emily Mortimer), una paziente del manicomio Ashecliffe. La paziente è accusata di infanticidio e sembra essere scomparsa nel nulla. Teddy e Chuck si troveranno a dubitare di ogni minimo particolare ed emergeranno dettagli inquietanti dall’indagine. L’isola nasconde qualcos’altro?
Martin Scorsese eccelle nel legare il thriller al delicato argomento della sanità mentale, aiutato da un super Leonardo DiCaprio. Il suo personaggio si troverà infatti a dover fare i conti con realtà e allucinazione, verità e menzogna, all’interno di un’isola metafora della mente umana. Scorsese arriva a proporre la definitiva consacrazione dell’uomo avulso dalla realtà e della follia come unica forma di sopravvivenza, enfatizzando queste tematiche con un ottimo comparto tecnico. Il tutto culminerà nel coup de théâtre, che sarà per molti spiazzante e inatteso.
Cloud Atlas (2012, 172 minuti, Tom Tykwer e Wachowski Sisters)
Lana e Lilly Wachowski, insieme a Tom Tykwer, danno vita a un progetto molto ambizioso, adattando il romanzo L’Atlante delle Nuvole di David Mitchell. Se parliamo di film intrippanti, dobbiamo citare assolutamente Cloud Atlas. Realizzato senza l’aiuto di nessuna grande produzione è probabilmente il film indipendente più costoso di sempre. Sei storie si svolgono in parallelo, ambientate in sei epoche diverse, così lontane eppure così indissolubilmente intrecciate e tenute insieme dall’egregio montaggio di Alexander Berner. Passeremo così dalla metà dell’Ottocento dove un avvocato si adopera contro la schiavitù, agli anni ’70 dove una giornalista cerca di svelare un complotto per la creazione di un reattore nucleare, per arrivare alla Seul del 2144 con cloni ribelli e alla Terra del 2321 ridotta all’età della pietra da un’apocalisse non ben identificata.
Le sei storie sono legate da un filo immaginario e spirituale che riguarda i temi della reincarnazione, del transfer spirituale e dell’influenza di un’azione rivoluzionaria. L’idea è quella di utilizzare una rete di storie per raccontare l’unica grande storia, che è quella dell’umanità, chiedendo al pubblico di imbarcarsi per un viaggio epico dove tutto è connesso e ogni individuo è influenzato e può influenzare l’epoca successiva. L’opera è ambiziosa e maestosa.
Enemy (2013, 90 minuti, Denis Villenueve) – Film intrippanti
Tratto dal romanzo L’uomo duplicato di Josè Saramago, Denis Villenueve dà vita a un thriller ricco di suspense che gira intorno al tema del doppio. Il film, infatti, vede come protagonista Adam Bell (Jake Gyllenhaal), un professore di storia, che su consiglio di un suo collega noleggia un film. Al termine della visione farà una scoperta disturbante: nel film c’è un attore che gli assomiglia completamente. Riuscirà così a identificarlo e a scoprire dove abita. Da quel momento avrà inizio per lui un vero e proprio incubo che coinvolgerà anche le rispettive compagne.
Villenueve è in grado di comporre un’opera ancora più matura di Prisoners, portando perfettamente avanti un esperimento narrativo quasi pirandelliano. Il senso di spaesamento che accompagna lo spettatore durante la pellicola è coadiuvato da un utilizzo intelligente dei colori, che diventano veri e propri mezzi espressivi. Il regista, inoltre, riesce a rendere molto bene su schermo l’idea del perturbante freudiano, aiutato anche da un mostruoso Jake Gyllenhaal chiamato a una doppia interpretazione. La scelta di raccontare la storia attraverso inquadrature claustrofobiche e strette concorre al crescendo di ansia e angoscia, sfumando i confini razionali della verità e dell’illusione.
Predestination (2014, 97 minuti, Peter e Michael Spierig)
Tratto dal racconto Tutti voi zombie del 1959 di Robert A. Heinlein, il film segue le vicende di un agente della polizia temporale (Ethan Hawke) che indaga su un caso di terrorismo. C’è una bomba in un certo luogo e in un certo punto del tempo e il poliziotto deve compiere diversi viaggi nel tempo per incontrare e parlare con diverse persone che potrebbero aiutarlo nella missione. I continui viaggi nel tempo però creano problemi alla linea temporale, creando confusione nella testa dell’agente di polizia. QUI la spiegazione del film.
Il progetto dei fratelli Spierig nasconde un’ambizione smisurata, realizzando un’opera capace di parlare di un argomento già ampiamente trattato sotto una prospettiva decisamente nuova. Il metodo narrativo, tutto basato sull’attesa e sulla sospensione, fa dell’effetto sorpresa la sua forza, portando lo spettatore a vivere di aspettative poi sfatate. La resa cinematografica del suddetto metodo è molto buona oltre che originale, contando la complessità della trama e la cura del dettaglio di luoghi, tempi e personaggi (ottimi i costumi di Wendy Cork), dietro ai quali si nasconde l’enigma-principe del film. Gli spettatori viaggeranno nella confusione, comprendendo passo a passo solo piccoli pezzi, fino al sorprendente e incredibile finale.