All Day and a Night: recensione del film disponibile su Netflix
Eredità, violenza e rap in una storia ambientata nell'America moderna
Libero arbitrio e destino. Joe Robert Cole, scrittore e produttore di Black Panther, alla sua seconda regia dopo Amber Lake del 2011, dirige All Day and a Night di cui vi presentiamo la recensione. Il film parla del tentativo di un giovane californiano neo detenuto, di sgrovigliare un’annodata matassa che non è altro che la propria vita. Costruito sul voiceover, i flashback e la tripartizione temporale, in All Day and a Night riecheggiano le onde di Moonlight e quelle di Waves.
Jahkor Abraham Lincoln (Ashton Sanders) ci viene mostrato per la prima volta con due pistole in mano. È un intruso in una casa di una coppia che va eliminata ed è un intruso ai nostri occhi. Due corpi, due pistole, due spari ma la conseguenza è una e univoca, quella del carcere. Per Jahkor si aprono le porte ad una condanna per duplice omicidio e quelle verso un viaggio a ritroso che diventa necessario per capire (e farci capire) le condizioni di vita di uomini e donne nell’America di oggi. Persone che popolano le periferie dove la schiavitù sembra essere il fardello storico di una comunità che ha imparato a sopravvivere ma non ancora a vivere.
Indice
Black boys look blue – All Day and a Night: la recensione
Se nel Moonlight di Jenkins il blu era il riflesso che la luna creava sulla pelle dei ragazzi di colore rendendoli figure a tratti misteriose e impercettibili, nel film di Cole il blu è il colore delle divise indossate dai detenuti del carcere di Oakland in California. Stessi colori, stessa sorte, lì dentro Jahkor ritroverà il padre JD (interpretato da un Jeoffrey Wright di Westworld in splendida forma), uomo affetto da dipendenze e disturbi mentali, estremamente violento sulla prole e sulla moglie Delanda (Kelly Jenrette). Tassello umano e sociale di un sistema basato sulla lealtà e legato ad un territorio edificato tra le gang e lo spaccio.
Un ritrovo che sembra piuttosto un primo incontro tra i due, che ricorda quello tra Ben Mendelsohn e e Jack O’Connell in Starred Up del 2013 e a tratti quello tra Pete Postlethwaite e Daniel Day-Lewis in Nel Nome del Padre del 1993. La parabola paterna tra le sbarre ritorna come un’eredità che sta per compiersi anche tra Jakhor e il figlio di pochi mesi. Salvarsi per salvare una nuova vita, nonostante un destino apparentemente già scritto. “La risposta facile”, quella che vogliamo come spiegazione alla vita in carcere non è mai così scontata o assolutoria; il film tenta coraggiosamente di mettere in scena destino e libero arbitrio, catene sociali e fato mediatore.
This is America – All Day and a Night: la recensione
Una sola vita svelata appare dunque sufficiente per capire un sistema oppresso e opprimente che punisce e non rieduca. Bullismo e razzismo capostipiti di un’America del motto “black lives don’t matter”, le botte a scuola e a casa, la donna bianca chiede dov’è il commesso, ma ce l’ha di fronte. È Jakhor che silenzioso aggiunge un altro piccolo tassello apparentemente invisibile ma che si riesce comunque a percepire.
Cole non denuncia ma racconta. Questa è l’America dell’amico Lamark reduce dalla guerra e costretto sulla sedia a rotelle, è l’America del revenge-porn scagliato contro la fidanzata Shantaye e quella del sistema scolastico inefficiente. Siamo ad Oakland ma siamo anche a Chicago, a New York ad Atlanta. Spostare il punto di vista per vedere ciò che è celato. Jahkor è estremamente silenzioso ma vede tutto. Al suo sguardo corrispondono i nostri occhi che si aprono ad una realtà storica e geografica messa ai margini. Il naturalismo e il verismo che si percepiscono attraverso una regia costruita su longtakes e macchina a mano contribuiscono allo svelamento di una brutalità cruda ma incessante. Cole vuole umanizzare, vuole far emergere le vite dei neri che rimangono incastrati in un sistema inceppato su sé stesso. Si prende il suo tempo, indaga, misura il dialogo.
Regia e messa in scena
Lo sceneggiatore di Black Panther e di American Crime Story torna a raccontare le rivendicazioni sociali e identitarie della comunità afroamericana attraverso gli occhi del protagonista. Occhi che sembrano aprirsi per la prima volta a fatto già compiuto. Cole richiama visivamente lo stile e il lirismo di Jenkins e le trovate registiche di Tray Edward Shults, la camera a mano, non risparmia allo spettatore momenti di violenza mai pruriginosa o gratuita. Sfrutta al massimo i primi piani sul volto di Sanders che recita servendosi di una potenza emotiva implosiva ma divampante. L’attore classe ’95 sembra a tratti tornare allo Chiron di Moonlight riscoprendo punti in comune con la sua precedente interpretazione.
Non mancano i guizzi visivi (la lunga sequenza della parata notturna sulla strada), i colori naturali dell’esterno e le luci al neon degli interni della fotografia curata da Jessica Lee Gagné. Nonostate la modernità della messa in scena che risulta estremamente accattivante e convincente, la storia a tratti fatica a proseguire perché spalmata in un lasso di tempo troppo lungo (oltre due ore). Il tempo tripatito, quello diegetico: Jahkor bambino, i mesi antecedenti al duplice omicidio e il presente in carcere. Ma il tempo è anche quello delle decisioni prese in fretta, della riflessione biografica, della pena da scontare.
Boys don’t cry – All Day and a Night: la recensione
Essere americani, essere neri, essere uomini. Tre componenti identitarie che s’intersecano in un linguaggio corporeo, verbale e comportamentale che già abbiamo conosciuto in altre storie. Sin da piccolo il protagonista e l’amico, poi nemico, TQ (Isaiah John), devono imparare la convivenza con l’unica modalità possibile di esistere. La vita dei quartieri non lascia scampo, si comunica la propria mascolinità tossica con i jeans tenuti a vita bassa, i gioielli rubati, le mani che toccano la bocca. La testa alta nonostante la paura, i bassi che risuonano potenti delle canzoni rap e hip-hop ascoltate in macchina.
Bisogna uniformarsi ai codici delle gang, usare le pistole, imparare a convivere con le botte del padre e le lacrime della madre. Ma la riscoperta fragilità maschile (e black) sembra essere un altro punto in comune con il già citato Moonlight e soprattutto con il Waves di Shults (2019), dramma familiare che coraggiosamente mostra il dolore dal punto di vista maschile. “Everybody got choices”. Le parole contenute nel brano dei titoli di coda fanno da sottofondo finale a un film che punta ad un racconto personale rappresentato come un flusso di coscienza amaro ma sentito.
All Day and a Night
Voto - 6.5
6.5
Lati positivi
- Stile visivo del regista
- La recitazione di Ashton Sanders
Lati negativi
- Durata del racconto
- Manca una componente emotiva forte che lega personaggio e spettatore