Rebel Moon – Parte Uno: Zack Snyder e la sua epica postmoderna
Snyder è soltanto un fan a caso che si è ritrovato una macchina da presa in mano e tanti milioni di budget, o ha davvero una sua (strana) idea di cinema?
È dal 2017 che sul web non si finisce di parlare di Zack Snyder. Dalla catastrofica realizzazione di Justice League a quella trionfante (e subdola) della Snyder’s Cut, passando per gli innumerevoli universi narrativi che ha annunciato di voler creare e gli strani accordi presi con Netflix. Rebel Moon – Parte Uno: Figlia del fuoco, di cui vi proponiamo un approfondimento in questo articolo, è infatti il secondo figlio nato dalla stretta collaborazione con la grande N e così come l’heist-zombie movie Army of the Dead, dovrebbe dare il via ad un universo espanso transmediale fatto di spin-off animati, fumetti e videogiochi. Si parla così tanto di quanto li circonda che a volte ci si dimentica dei film di Zack Snyder, capaci ogni volta di scatenare dibattiti sul web tra chi ne tesse le lodi e chi si sente addirittura insultato dal lavoro del regista.
Il fatto è che anche questa volta parlando di Rebel Moon (qui il trailer) non potremo fare a meno di discutere tutto ciò che lo circonda. Perché che sia un illusionista o un buffone, Snyder tira fuori sempre qualcosa di nuovo dal suo cilindro magico e questa volta se ne è uscito con un film in due parti che però è una visione specifica della storia adatta a tutte le fasce di pubblico, mentre la vera prima parte del vero film, con un’ora di montato in più ed un tono ed un approccio diverso uscirà più avanti. Se poi si pensa che Rebel Moon si pone come uno Star Wars, quindi Kurosawa, contaminato con Il Signore degli Anelli, Il Gladiatore e tanta altra roba, allora di che parliamo… No sul serio, di che stiamo parlando?
Indice
- In una galassia lontana ma non troppo
- Han Solo, il Gladiatore e Jake Sully entrano in un bar
- Epica postmoderna, si può dire?
- Quel pazzo scriteriato di Zack Snyder
In una galassia lontana ma non troppo – Rebel Moon Parte Uno analisi
Il film si apre con una ambigua “fessura” spaziale da cui fuoriesce un’enorme astronave ed un narratore con la voce di Anthony Hopkins inizia a spiegare la storia di questa galassia lontana. Una galassia in cui per millenni l’Impero, o meglio, il Mondo Madre ha dominato incontrastato fin quando in seguito ad un non meglio specificato colpo di stato il potere passa in mano ad un generale spietato e guerrafondaio. Nel frattempo gruppi di ribelli si oppongono alla dittatura ed in cerca di questi ultimi il generale Atticus Noble atterra su una piccola luna popolata da contadini.
Tra questi si nasconde Kora, una guerriera ritiratasi a vita privata che dinanzi alle prepotenze dei soldati non può restare ferma e decide quindi di massacrarli tutti. Parte così la ribellione del proletariato che, per prepararsi al ritorno del perfido generale, incarica Kora di formare una squadra di guerrieri. Accompagnata da Gunnar, un giovane del posto, i due iniziano un viaggio per la galassia alla ricerca di micidiali combattenti pronti a morire pur di ribellarsi al Mondo Madre.
Han Solo, il Gladiatore e Jake Sully entrano in un bar
L’incipit di base non è affatto originale, anzi Rebel Moon, come detto nell’introduzione, è dichiaratamente ispirato a Star Wars e una serie di altri film e opere da cui prende a piene mani. Ma volendo anche accettare la rielaborazione del tutto, visto dalla prospettiva di Zack Snyder, ciò che ne emerge è estremamente povero. Non basta infatti il multiverso di citazioni o riferimenti a rendere Rebel Moon un film originale. Difatti ciò che abbiamo davanti è un’insalata (per dirla in parole povere) così tanto piena di roba da non avere un gusto definito. Soffermandosi unicamente sulle due ore e un quarto di girato e ignorando quindi il circondario di cui parlavamo prima, Rebel Moon è un caos. Un mucchio di figure decadenti con design accattivanti ed estremamente curati, caratterizzati didascalicamente da ciò che hanno fatto in passato. La squadra di guerrieri è composta da personaggi mitici, proprio perché è il mito delle loro gesta passate a caratterizzarli, non ciò che fanno nel film. A dirla tutta in Rebel Moon non c’è narrazione ma solo mitologia, o lore per usare un inglesismo.
A partire dal narratore che ci introduce al mondo, il film è un susseguirsi di racconti su ciò che è stato, in preparazione di un presente imminente non pervenuto. Durante la fase di reclutamento ogni guerriero è infatti introdotto dalla storia del suo passato e posto dinanzi ad un’ardua sfida, che se superata dimostrerà il valore di quest’ultimo. C’è quindi Fierobecco di Harry Potter da domare come fosse Turuk Makto di Avatar, c’è Massimo Decimo Meridio ormai Gladiatore in declino che dovrà rompere le catene che lo ancorano al suo fallimento, un novello Han Solo pronto a redimersi da una vita di inganni e sotterfugi e così via. Ogni guerriero (reduce da un altro film) supera la sua sfida, dimostra il proprio valore e poi scompare nelle retrovie. Non c’è sviluppo, approfondimento o un minimo legame tra i membri della squadra, ma vengono presentati come eroi e a quanto pare dobbiamo farcelo bastare. È infatti solo il riferimento di turno a costituirne la caratterizzazione, perciò parliamo di Massimo Decimo Meridio e non del Generale Titus (vero nome del personaggio) o della prova di Jake Sully in Avatar e non di quella del Tarak Decimus di questo Rebel Moon.
Epica postmoderna, si può dire? – Rebel Moon Parte Uno analisi
Snyder cerca di creare una vicenda epica in cui impavide figure protettrici del bene si scontrano con il male assoluto in una guerra che vedrà un solo vincitore. Il racconto è puramente archetipico e si muove unicamente sulla superficie. Sembra di leggere le leggendarie gesta dei combattenti greci sui vasi antichi: figure bidimensionali, immobili e che vivono appunto del mito che li circonda. Ma probabilmente il regista non è interessato alla narrazione per come siamo soliti intenderla, probabilmente è davvero l’epica ciò che cerca, un’epica postmoderna i cui miti e leggende derivano direttamente dalla cultura pop. Gli spiegoni che introducono gli eroi sono forse un rimando al passato in cui le storie venivano trasmesse oralmente? Il ralenti, emblema della sua “poetica”, è forse un modo per cristallizzare l’immagine e avvicinarla agli affreschi e i quadri che un tempo illustravano le grandi battaglie?
Non credo, ma in fondo cercava di essere epica anche la sua Justice League, che ignorava la caratterizzazione e la storia dei personaggi per presentare divinità rese tali solo dallo stemma che portavano sul petto. Ed è un cinema di simboli quello di Snyder (a partire dalla fessura con cui si apre il film), infatti è il solo costume da gladiatore a fare il guerriero e il superamento di una prova, appunto simbolica, a dimostrarne il valore universale. È quindi davvero difficile farsi coinvolgere da Rebel Moon, perche i personaggi che abbiamo davanti non hanno nessun percorso da seguire, nessun arco da compiere, sono già eroi anche se non lo abbiamo visto e il massimo a cui possiamo ambire è di assistere almeno alla loro disfatta. Chiaramente nel prossimo film.
Quel pazzo scriteriato di Zack Snyder
Questo modo arcaico di creare storie deriva quindi da una visione ben precisa che il regista ha del cinema e pur restando ancorato al passato c’è comunque tanta sperimentazione (lo so, sono parole forti). Rebel Moon è infatti la prima parte di un unico film, primo tassello di una trilogia. E ancora, una visione della storia non limitata ma (a detta del regista) differente da quella originale, che vedremo nella Director’s Cut di circa un’ora più lunga. È il primo tassello di un nuovo universo che si espanderà in tutti i modi, addirittura in un podcast narrativo e un videogioco e che, sempre secondo le dichiarazioni del regista, si ricollegherebbe ad ancora un altro universo narrativo che è quello di Army of the Dead. E se poi ogni film di questa saga verrà diviso in due parti ed ipoteticamente ognuno di essi sarà accompagnato da una Director’s Cut con un approccio differente, avremo potenzialmente 12 film che compongono due versioni diverse della stessa trilogia. Ritornando all’inizio, ma di che stiamo parlando?! Considerando poi che tutto ciò avviene in casa della stessa Netflix che fino a qualche anno fa si diceva avrebbe ucciso il cinema, il tutto sembra distopico.
Se ai tempi Lucas che aggiornava Star Wars con nuovi effetti visivi sembrava una follia, allora addirittura programmare due approcci e toni differenti dello stesso film è una bestemmia? Magari no, ma come dicevamo c’è qualcosa di sperimentale in questo modo di fare. È un cinema che non finisce ai titoli di coda, che accresce la propria forma (non il proprio valore) continuamente a furia di dichiarazioni esterne, rimandi ad altre opere, montaggi diversi e prodotti appartenenti ad altri media che ne modificano il senso ed il significato. Non è la Marvel con la sua, seppur confusa, stringente continuità narrativa, da cui comunque prende spunto ma per fare qualcosa che veda nel Cinematic Universe il solo punto di partenza. Snyder non ha inventato niente, non a caso sempre Star Wars con l’universo espanso aveva tracciato la rotta e a quanto pare il regista sembra aver preso ispirazione dal franchise in tutti i sensi, cercando di spingere ancora più in avanti l’idea di cinema serializzato, mutevole e potenzialmente infinito. Come giudicare quindi questo Rebel Moon? Una delle due versioni della storia, la metà di un film, il primo capitolo di una trilogia, un racconto epico estremamente superficiale che cerca la sua profondità nei rimandi ad altre opere eccetera eccetera. Mi ci sono divertito.