Spiegazione di Midnight in Paris: tre lezioni di vita imparate dal film di Allen
Midnight in Paris, film del 2011 diretto da Woody Allen, ci porta un quadro veritiero e non della Parigi anni ’20. La splendida cornice storico-culturale scelta è un mezzo che serve a mettere il protagonista -e lo spettatore- a faccia a faccia con se stesso. Per questo possono esserne tratte (almeno) tre lezioni di vita che dovete assolutamente tenere a mente. Ecco la nostra spiegazione di Midnight in Paris.
Midnight in Paris: una Parigi a metà tra il presente e il passato
La pellicola trasporta lo spettatore nel fervore culturale della capitale francese durante gli anni ’20 attraverso gli occhi affascinati di Gil, sceneggiatore insoddisfatto del XXI secolo. Il film sembra quasi che vada a completare “Festa Mobile”, libro di memorie incompiuto composto da Hemingway durante il suo periodo parigino. Grazie a queste due opere si può avere una visione a tuttotondo di quell’epoca, sia quella idealizzata, immaginata da Gil, che quella concreta e reale, vissuta da Hemingway.
“If you are lucky enough to have lived in Paris as a young man, then wherever you go for the rest of your life, it stays with you, for Paris is a movable feast”
-Ernest Hemingway, Festa Mobile
Oltre alla storia unica nel suo genere, “Midnight in Paris” regala un’immagine di Parigi quasi da cartolina: dai luoghi più semplici e quotidiani, i tavolini dei bistrot e dei café all’aria aperta, i maestosi ed eleganti palazzi, il fascino della carta da “Shakespeare and Company”; a quelli più maestosi e turistici come le ninfee di Monet, il ponte Alessandro III e la bohémien Montmartre.
Abbiamo estrapolato 3 piccole grandi lezioni di vita che quest’esperienza parigina nel passato ha insegnato al protagonista e a noi.
1. Uno sguardo rivolto al passato non permette di vivere il presente
Il tema portante del film è la nostalgia. Gil è uno sceneggiatore stufo dei successi facili ottenuti per Hollywood che vorrebbe cimentarsi nella stesura di un romanzo. La stesura è in realtà quasi completa, ma gli manca l’ispirazione finale per portarlo a termine. Dove trovare questa vena artistica se non tra i Boulevard parigini? Gil, romantico idealizzatore dei ruggenti anni ’20, riversa anche nel suo romanzo tutta la nostalgia che caratterizza la sua esistenza.
Questa tensione verso un passato che non ha vissuto (e che non potrà mai vivere) gli impedisce di capire tutte le fratture ormai inaggiustabili della sua vita sentimentale e non solo. Perdendosi in quelle fughe notturne in compagnia (tra gli altri) di Hemingway, Fitzgerald, Picasso e -specialmente- Adriana; pensa di aver trovato rifugio in un’epoca a suo dire perfetta. Tuttavia, rimarrà stupito quando Adriana -ragazza francese affascinante e musa di Picasso e Modigliani- condividerà con lui il suo stesso sentimento di insoddisfazione del presente compensato da un’incontrollabile nostalgia per un passato idealmente bello e perfetto.
“La nostalgia è negazione, negazione di un presente infelice. E il nome di questo falso pensiero è sindrome epoca d’oro, cioè l’idea errata che un diverso periodo storico sia migliore di quello in cui viviamo. Vedete, è un difetto dell’immaginario romantico di certe persone che trovano difficile cavarsela nel presente”
È proprio nel momento in cui Adriana mette in luce la sua ammirazione verso la Belle Epoque che Gil si rende conto dell’importanza di vivere e capire il presente, perché è solo questa l’epoca in cui potremo mai esistere. Ciò che conta è farla propria, imparare a conviverci e, con un piccolo sforzo, a viverla appieno. Questo apprezzamento puro e semplice del presente è palese nella camminata finale sul ponte, con una Parigi uggiosa ma ugualmente splendida. Ed è proprio lì, in quel preciso momento, che sta avendo luogo il presente. E non bisognerebbe perderlo per nessuna ragione.