The House: recensione del film horror in stop motion su Netflix
Un'antologia di fiabe surreali in stop motion sulla casa come metafora delle ossessioni
Dal 14 gennaio su Netflix c’è The House, pellicola di cui parleremo in questa recensione. Si tratta di un film d’animazione realizzato con la tecnica stop-motion. Un lungometraggio diviso in tre capitoli, accomunati dalla presenza ricorrente di una casa, che rappresenta per i diversi protagonisti un oggetto misterioso e in qualche modo persecutorio. Può una dimora diventare un’ossessione? Questa domanda è essenziale per interpretare il film. The House è un intrigante esempio di antologia stop-motion. Anche se non si tratta di una serie tv, la pellicola, della durata di 97 minuti, può essere definita come un mini compendio di fiabe surreali, alcune più dark di altre. Se la regia è a più mani (Emma de Swaef & Marc James Roels, Niki Lindroth von Bahr, Paloma Baeza), la sceneggiatura è unica e ad opera di Enda Walsh.
Per chi non conoscesse la stop-motion, si tratta di una particolare modalità di girare film d’animazione. Consiste nel riprendere passo dopo passo disegni, ma più spesso pupazzi, fotogramma dopo fotogramma, posa dopo posa per comunicare l’idea di movimento. Si tratta di una tecnica reputata affascinante dai cineasti perché permeata da un “sapore antico”. Gli effetti speciali sono, infatti, realizzati a mano e non al computer. Non a caso la stop-motion ha suggestionato molti registi, tra i quali anche Wes Anderson con l’Isola dei cani e Fantastic Mr Fox. Sono capisaldi del genere Nightmare Before Christmas e Galline in fuga. Da rivede anche il pirotecnico Kubo e la spada magica. Una delle attrattive maggiori della stop-motion sta probabilmente nell’empatia suscitata dai pupazzi e dalle marionette. Nel film essi non sono più semplice materia inanimata ma prendono vita e comunicano con lo spettatore.
Indice:
La trama dei tre capitoli – The House recensione
Come abbiamo detto, The House è un film suddiviso in tre capitoli, molto differenti tra loro come stile narrativo e di rappresentazione cinematografica. Ben più che semplici esercizi di stile, i tre cortometraggi surreali rispondono ciascuno a una visione differente della “Casa”. La Casa non è mai una casa qualsiasi, ma è una dimensione metaforica che muta visivamente col variare delle sfumature del carattere dei suoi abitanti. Nel primo capitolo di The House “E dentro di me si intesse una menzogna” si racconta di una famiglia povera, che vive in una casa umile e spoglia. Il padre, disprezzato e umiliato dagli altri parenti ricchi per la sua incapacità di elevarsi, trova inaspettatamente un‘offerta allettante da parte di un famoso e facoltoso architetto. Questi si offre di costruire una nuova casa per famiglia, a patto che vi si trasferisca immediatamente. Il padre, la madre e le due figlie lasciano la certezza per l’ignoto.
Nel secondo capitolo, “Perduta è la verità che non si può vincere“, invece, il protagonista è un topo dalle fattezze umane che di mestiere fa l’agente immobiliare. Si è preparato a lungo e con caparbia per arredare nel migliore dei modi la casa che intende vendere. C’è però un piccolo imprevisto: l’abitazione è invasa da indomiti parassiti difficili da scacciare. Nel terzo, “Ascolta di nuovo e vedi il sole“, una gatta vorrebbe ristrutturare la sua grande casa, distrutta in gran parte da un’inondazione. Non ha però strumenti adeguati per ripararla e i coinquilini rimasti non le sono di grande aiuto. L’arrivo di un eccentrico straniero su una barca stravolgerà non poco i suoi piani.
Case, ossessioni e cambiamenti – The House recensione
Come anticipato all’inizio della nostra recensione, in The House la casa è ben più di un semplice luogo fisico. Al contrario essa rappresenta simbolicamente i moti interiori dei personaggi e diventa proiezione dei loro turbamenti. Per questo le case sono sempre surreali e inverosimili, al punto da costituire un elemento di disturbo per i protagonisti. Da qui le tinte dark, grottesche o sognanti innescate dal surrealismo delle abitazioni. Nel primo capitolo ad esempio, la casa rappresenta la cupidigia. La famigliola in stop-motion viene attratta dal desiderio ossessivo di avere di più e subito passando per una scorciatoia pericolosa. Come in una classica fiaba dark fantasy la minaccia è dietro l’angolo ed è preannunciata. L’ossessione per l’ascesa sociale viene inglobata dall’ossessione architettonica del loro benefattore. Con le sue forme geometriche assurde e la sua perenne instabilità la casa si trasfigura in un surreale e persecutorio incubo.
Nel secondo capitolo la casa è ossessionante per il protagonista che ne cura ogni dettaglio in modo a dir poco eccessivo. Nonostante se ne occupi in modo maniacale, in realtà egli non ne è il vero padrone. La casa è claustrofobica e metafora della solitudine che non può essere nascosta dal sovrabbondare di mobili e oggetti inanimati. Come in Parasite di Bong Joon-ho ci sono sempre parassiti peggiori pronti ad infierire sull’impotenza altrui. Nel terzo capitolo la casa rappresenta palesemente la nostalgia del passato. È diroccata e sembra impossibile ripararla, ma la protagonista non si arrende. La sua ossessione per ciò che è stato fa passare in secondo piano tutto il resto; dalle persone che la circondano, al surreale e sconosciuto scenario d’acqua attorno. Osare o rimanere ancorati? Questo è il dilemma suggerito dai confini incerti di tutto ciò che circonda la casa.
Analisi tecnica – The House recensione
Surreali e sperimentali i tre capitoli di The House risultano accattivanti lì dove affidano l’orrido e il perturbante alla stop-motion. Come in Nightmare Before Christmas e in Coraline e la porta magica l’idea è nel complesso vincente con risultati che variano da episodio ad episodio. Il primo capitolo è senza dubbio il migliore. Già a partire dai visi gonfi e dilatati dei protagonisti si comprende che la storia sarà angosciante. Gli occhi stretti e la bocca minuscola dei pupazzi conferiscono loro fattezze umane approssimative e goffe, volutamente disturbanti. Su di loro torreggiano gli spazi enormi e in espansione della casa in un ingigantimento che crea immediatamente soggezione e smarrimento. La stop-motion è brillantemente usata dal regista per evidenziare il surrealismo degli ambienti e le contraddizioni tra essere e avere.
Nel secondo capitolo domina il grottesco. Meno entusiasmante del primo, è a tratti sovrabbondante di elementi invasivi e disturbanti, tra cui esseri viscidi e striscianti. Lo è volutamente, ma a tratti infastidisce. La stop-motion in questo caso è utilizzata per invadere gli spazi con pupazzi-parassiti persecutori. Il terzo capitolo è il più speranzoso e poetico. Più scontato narrativamente rispetto agli altri due, ha il pregio registico di “immergere” la stop-motion in un oceano affascinante e misterioso. È il più bello esteticamente e il più attento alla fotografia delle immagini, così come alla definizione dei colori e a quella dei manti sgargianti dei felini protagonisti. I pupazzi in stop-motion sono belli da vedere e le loro animazioni sono in linea con la personalità dei personaggi. Complessivamente The House, pur essendo un’antologia ad episodi mantiene un’unità coerente. La sceneggiatura segue un chiaro filo conduttore e le regie, seppur diverse, puntano tutte sul surrealismo e sul tema della casa come proiezione delle proprie ossessioni.
The House
Voto - 7
7
Lati positivi
- Un unico filo conduttore per tre fiabe surreali
- La stop motion è utilizzata con intelligenza in funzione del messaggio
Lati negativi
- Il secondo capitolo è un po' sovrabbondante
- Il terzo, sebbene bello esteticamente, ha una storia un po' prevedibile