I 10 jumpscare più terrificanti nei film horror
Espediente classico nel linguaggio del genere horror, il jumpscare è spesso abusato, ma quando è ben costruito lo spavento è assicurato: ecco 10 esempi da brividi
I jumpscare sono uno degli elementi fondanti nella grammatica del genere horror. Si tratta di una tecnica tanto semplice quanto efficace e immediata per spaventare lo spettatore con un evento inaspettato, improvviso. Lo scopo è quello di cogliere impreparato chi guarda sfruttando una combinazione di elementi quali un’atmosfera di tensione crescente, la colonna sonora (o la totale assenza di suono) e immagini scioccanti. Un vero e proprio gioco di prestigio che, quando riesce, ci fa fare letteralmente un salto sulla poltrona del cinema o sul divano di casa, a seconda delle situazioni. Soprattutto a partire dagli anni Ottanta, col fiorire del sottogenere slasher, si è cominciato a fare un utilizzo così insistito di questa tecnica che i jumpscare sono diventati un vero e proprio cliché. Al punto che, in certi casi, chi guarda non è più impreparato, si aspetta lo spavento, e anzi si diverte a individuare il momento preciso in cui esso avverrà.
Ancora oggi quella del jumpscare è una tecnica ampiamente popolare nel genere, tra film e serie tv che ne fanno largo uso, quando addirittura non fondano tutto o quasi il loro linguaggio su di essa. Ma quando è ben congegnato e davvero spiazzante, riesce ampiamente nel suo intento di farci prendere un colpo. Prima di passare a una carrellata di 10 tra i jumpscare più terrificanti nei film horror (e non!), analizziamo brevemente l’anatomia di questa tecnica.
Presentazione, Colpo di scena, Prestigio
Per analizzare l’anatomia del jumpscare prendiamo in prestito, proprio come fa lo scrittore e conduttore radiofonico Bryan Bishop in un bell’articolo su The Verge, la descrizione dell’illusione in un numero di magia che fa il personaggio di Michael Caine in The Prestige di Christopher Nolan. Ogni grande numero di magia si articola in 3 fasi: Presentazione, Colpo di scena e Prestigio. Applichiamole e adattiamole al jumpscare. Presentazione: un personaggio si trova in una situazione di pericolo. Si trova in casa da solo, sente dei rumori insoliti provenire da una stanza, è in tensione e si spaventa (e noi con lui). Colpo di scena: il personaggio va a controllare e trova una spiegazione razionale per quei rumori. Controlla, magari un paio di volte, scopre che non c’è niente che non va, si tranquillizza (e così facciamo anche noi). Ed ecco che il regista, come il mago, cala l’asso del Prestigio e sorprende lo spettatore (così come il personaggio) con il vero spavento.
Non tutti i jumpscare seguono questa formula, ma sono in molti ad avere questa struttura, con le dovute variazioni sul tema. Uno schema essenziale che spesso e volentieri porta a risultati davvero spaventosi e che quando dà il meglio di sé lascia una sensazione di pericolo e smarrimento anche dopo il Prestigio (uno degli esempi più significativi in questo senso – lo vedrete nella nostra top – proviene da un vero e proprio maestro e non si trova in un film horror). Alcune volte la struttura è ancora più essenziale – manca, per esempio, il sollievo del colpo di scena – ma non per questo l’effetto su chi guarda è meno efficace.
“… Rose!” – Smile (2022)
L’horror psicologico scritto e diretto da Parker Finn è pieno zeppo di jumpscare, alcuni decisamente riusciti altri un po’ meno. Questo in particolare è uno dei migliori, nonché una bella variazione sul tema della struttura tripartita di cui sopra. La protagonista, Rose, sta ascoltando con le cuffie al computer la registrazione audio degli ultimi momenti di vita di Laura, la paziente che all’inizio del film si è tagliata la gola di fronte a lei. Rose è alla ricerca di una voce che provi la presenza di qualcun altro nella stanza dove si è consumata quella morte orribile.
A un certo punto l’espressione sul suo volto concentrato si fa ancora più attenta: le sembra di aver sentito la voce che sta cercando, alza il volume. Proprio come Rose, anche noi ci concentriamo in attesa di sentire qualcosa e di vedere sullo schermo del computer una fluttuazione nelle onde sonore. E proprio quando sembra che il mistero di quell’ipotetica voce stia per essere risolto, lo spirito di Laura appare all’improvviso gridando “Rose!”. Parker Finn ci ha distratto col colpo di scena, facendoci credere che avremmo sentito qualcosa dall’audio che Rose stava ascoltando. Un jumpscare decisamente riuscito.
Terrore nel buio – Lights Out (2016)
Lights Out è un film che gioca con la paura atavica del buio, uno degli elementi fondanti nel meccanismo di creazione della tensione e della paura nel cinema horror. La spaventosa creatura malvagia in Lights Out, Diana, si manifesta nell’oscurità completa ed è sostanzialmente “vulnerabile” alla luce. Il film è ricchissimo di jumpscare: sono la struttura narrativa e la tipologia di storia a richiederlo, ma c’è una sequenza in particolare in cui il regista David F. Sandberg gioca al meglio le sue carte.
Rebecca (Teresa Palmer) e Martin (Gabriel Bateman) sono bloccati nel seminterrato della casa. Il compagno di Rebecca, Bret (Alexander DiPersia) si ritrova a dover combattere contro l’entità “armato” solo della fonte di luce proveniente dal suo telefono cellulare. Diana ha letteralmente il controllo della casa, in cui un cortocircuito ha causato un blackout, e per quanto ne sappia Bret potrebbe trovarsi ovunque e in qualunque momento. L’intera sequenza è un susseguirsi di tensione continua e jumpscare uno dopo l’altro. Lights Out è adattamento dell’omonimo cortometraggio del 2013 diretto dallo stesso Sandberg, un piccolo gioiello di terrore che potete recuperare su YouTube.
C’è qualcuno dietro la porta – It Follows (2014)
It Follows è uno dei film horror più interessanti e meno convenzionali degli ultimi anni. Una struttura onirica, letture metaforiche, una minaccia che può assumere l’aspetto di chiunque, una semplice camminata che diventa correlativo oggettivo di terrore e morte. Acclamatissimo dalla critica, il film scritto e diretto da David Robert Mitchell è un vero e proprio incubo di angoscia e paura e contiene uno dei jumpscare migliori nella storia dell’horror contemporaneo.
Nella scena in questione Jay è in fuga dall’entità che la perseguita. Si rifugia chiudendosi a chiave in una stanza e quando sua sorella Kelly e il suo amico Paul la raggiungono e bussano alla porta, è restia a farli entrare. Jay si alza per aprire la porta, la musica dissonante si intensifica e quando lì fuori vediamo effettivamente solo Kelly e Paul tiriamo un sospiro di sollievo. Nuovi colpi alla porta, questa volta è Yara e di nuovo Jay non vorrebbe aprire. Kelly va alla porta, la musica si interrompe e dietro Yara compare un uomo alto e inquietante come pochi, fatto della stessa sostanza di cui sono fatti gli incubi.
Clap clap – The Conjuring, L’evocazione (2013)
Cosa c’è di più innocente e innocuo di un gioco per bambini? Il primo capitolo della saga di The Conjuring parte dallo spunto semplicissimo di una specie di gioco a mosca cieca in cui il giocatore bendato deve trovare le altre persone seguendo il suono prodotto dal battere delle mani per costruire un altro dei jumpscare meglio riusciti della storia del cinema horror recente. Nel film vediamo Carolyn giocare a “battimani” con sua figlia ma quando il gioco si sposta nel buio scantinato della casa un passatempo innocuo e innocente si trasforma in qualcosa di terrificante.
È proprio seguendo il suono prodotto da un battito di mani che Carolyn decide di scendere nello scantinato per vedere cosa sta succedendo. Una forza misteriosa la spinge giù per le scale e finisce rinchiusa nel sotterraneo, la porta che sbatte violentemente dietro di lei. Da un angolo buio vediamo una palla rimbalzare senza apparente motivo e poco dopo una voce infantile sussurra “vuoi giocare a battimani?”. Neanche il tempo di realizzare cosa stia succedendo che Carolyn cerca di fuggire dallo scantinato: con sé ha una scatola di fiammiferi. In cima alle scale Carolyn sente di nuovo la voce: “vuoi giocare a battimani?”. La poveretta accende un fiammifero e dopo un tempo che sembra infinito, proprio quando ci stiamo abituando al pensiero che lì sotto non ci sia effettivamente nessuno, due mani le compaiono alle spalle. Clap clap. Il salto sulla poltrona è assicurato.
Occhio alle spalle – Insidious (2010)
Secondo la scienza (trovate i dati qui, in un report davvero interessante) Insidious ha la reputazione di essere uno dei film horror con i jumpscare più spaventosi e imprevedibili nella storia del genere horror. Misurazioni alla mano, nella scena che stiamo per descrivere, la frequenza cardiaca degli spettatori arrivava a toccare punte di 133 battiti al minuto. Nel film il piccolo Dalton è perseguitato da un’entità mostruosa.
Nella sequenza in questione Lorraine, nonna di Dalton e madre di Josh (il personaggio interpretato da Patrick Wilson) sta raccontando al figlio di un incubo agghiacciante con protagonista il demone assolutamente terrificante che un secondo dopo vediamo comparire dietro le spalle dello stesso Josh. Josh è inconsapevole di tutto, mentre Lorraine (esattamente come noi) resta paralizzata dalla paura.
Sotto le coperte – Ju-on: Rancore (2002)
Ju-on: Rancore di Takashi Shimizu è un film in cui i jumpscare non mancano, tutt’altro. Tuttavia ce n’è uno particolarmente disturbante, magari non proprio sofisticatissimo ma comunque più che efficace. Hitomi, già reduce da un incontro piuttosto inquietante con una misteriosa figura femminile, corre a casa per trovare rifugio e conforto nel proprio appartamento.
Quando qualcuno suona il campanello è sollevata nel vedere dallo spioncino che si tratta di suo fratello. Peccato che una volta aperta la porta non ci sia più nessuno. Il panico è totale e Hitomi si infila nel letto e accende la televisione per distrarsi un po’. Niente da fare, il segnale sullo schermo è disturbato e la voce che ne proviene è distorta. A quel punto Hitomi, istintivamente, cerca rifugio sotto le coperte, un po’ come fanno i bambini quando hanno paura. Ma sotto le coperte, ad attenderla, c’è il viso livido e spettrale di una donna con gli occhi spalancati.
“Ho visto il suo volto” – The Ring (2002)
Siamo di fronte a un jumpscare tutto di pancia, che non segue schemi particolari, ma comunque perfettamente riuscito, inserito in un momento particolarmente drammatico all’inizio della storia. Siamo in casa di Katie, c’è appena stato il suo funerale. La ragazza, nipote di Rachel (Naomi Watts) è morta per quelle che per la famiglia sono ancora cause “naturali”. Sappiamo, dal prologo, dell’esistenza di una misteriosa videocassetta che trasmette immagini raggelanti e spaventose e che uccide chiunque l’abbia guardata nel giro di sette giorni.
Rachel sta parlando con sua sorella Ruth, la madre di Katie. Ruth le sta raccontando di come non riesca a capacitarsi che la figlia sia morta per cause naturali. Non vi è musica in sottofondo, l’atmosfera è drammatica e carica di dolore. Rachel non riesce a spiegarsi come mai la sorella abbia tutti quei dubbi e come mai sembri così spaventata. Ed è a quel punto che Ruth, riferendosi alla figlia che lei stessa ha ritrovato morta dentro un armadio, dice: “Ho visto il suo volto”. Un suono distorto, acuto e improvviso ci fa trasalire mentre sullo schermo vediamo anche noi il volto di Katie, trasfigurato in una maschera deforme di puro terrore.
Proprio quando tutto sembrava essere finito… – Venerdì 13 (1980)
Spazio a un vero e proprio classico, con un jumpscare che ha fatto la storia del cinema horror. Stiamo parlando di Venerdì 13, indiscusso cult slasher del 1980 diretto da Sean S. Cunningham. Alice (Adrienne King) è riuscita a sfuggire alla morte dopo una lotta strenua, decapitando armata di machete Pamela, la madre di Jason Vorhees, responsabile di una serie di omicidi. La ragazza si trova a bordo di una canoa in un lago, si è addormentata e al suo risveglio la vista di un’auto della polizia in lontananza per lei significa una sola cosa: la fine di un incubo.
Peccato che quando Alice sta iniziando a pensare che tutto sia davvero finito, Jason riemerge dalle acque del lago più raccapricciante che mai per trascinare la ragazza verso la morte. Jumpscare, spavento, fine. Non proprio, dal momento che scopriamo che tutta la sequenza è frutto di un sogno di Alice (un Prestigio dopo il Prestigio!). È davvero finita. O forse no?
Incontri ravvicinati in fondo al mare – Lo squalo (1975)
Diretto dalla leggenda Steven Spielberg, Lo squalo è uno dei cult più indiscutibili nella storia del cinema (horror e non). La tranquillità della cittadina balneare dell’isola di Amity viene sconvolta dalla presenza di un enorme squalo bianco che terrorizza e dilania i poveri malcapitati. Le scene spaventose non mancano di certo, ma una delle più terrificanti, con relativo jumpscare dall’essenziale terrore, ha per protagonista Matt Hooper (Richard Dreyfuss). Durante la notte, Hooper esce in motoscafo con Martin Brody (Roy Scheider) per andare alla ricerca di tracce dello squalo bianco.
Trovano un’imbarcazione affondata e, immerso nelle profondità marine, Hooper recupera un dente di squalo conficcato nel relitto. Esamina brevemente il reperto e prosegue nella sua esplorazione quando dall’imbarcazione affiora il cadavere del pescatore Ben Gardner. La visione del volto gonfio e deformato lascia Hooper atterrito, preso di sorpresa esattamente come noi che stiamo guardando.
David Lynch e il jumpscare perfetto – Mulholland Drive (2001)
All’inizio della nostra top abbiamo preso in prestito, per analizzare l’anatomia del jumpscare, le tre fasi in cui si articola un perfetto gioco di magia: Presentazione, Colpo di scena, Prestigio. E uno degli esempi più calzanti di jumpscare costruiti su questa tripartizione arriva da una pellicola che non è un film horror e da un cineasta che è un vero e proprio maestro. L’esempio in questione è tratto da Mulholland Drive di David Lynch. Sono passati poco più di 10 minuti dall’inizio del film, ancora non abbiamo avuto il tempo di entrare appieno nell’atmosfera della narrazione e i personaggi protagonisti della sequenza che andiamo a descrivere non hanno niente a che fare con quanto mostrato poco prima. Non sappiamo chi siano i due sullo schermo, né in che modo la scena possa avere senso nell’andamento generale del film. Ci sono due uomini, seduti in una tavola calda, il Winkie’s. Il primo racconta al secondo di aver avuto un sogno ambientato proprio lì. Non è la prima volta che gli capita di sognare quel posto e quel sogno, ogni volta, è sempre stato lo stesso. Nel sogno il primo uomo si trova lì col secondo e la situazione è esattamente quella che hanno davanti in quel preciso momento.
Come il secondo uomo, anche noi ci sentiamo confusi, ma sufficientemente incuriositi dal racconto del primo. Il primo rivela al secondo che nel sogno, nel retro di quella tavola calda, c’è un uomo dalle fattezze terrificanti e che entrambi si trovano lì per verificare se quella spaventosa presenza sia in effetti reale. La tensione sale, anche se la scena si svolge in pieno giorno, in un luogo affollato, apparentemente innocuo e sicuro. Quando il secondo uomo si alza per pagare il conto e fa cenno al primo di seguirlo fuori, questi è terrorizzato: gli eventi del sogno si stanno avverando nella realtà. I due escono e in un tempo che sembra infinito si avviano verso il retro del Winkie’s. Col procedere della sequenza assumiamo il punto di vista dei due ed ecco che da dietro l’angolo, accompagnato da un suono distorto compare quell’uomo. Il volto occupa l’intero spazio dell’inquadratura, per un lasso di tempo tanto breve quanto agghiacciante, prima di scomparire nuovamente. Il primo uomo si accascia a terra privo di sensi: è morto o ha solo avuto un malore? Non è dato sapere. E prima di passare oltre Lynch inquadra nuovamente l’angolo, lasciandoci preda di un senso di incertezza, disagio e paura che si protraggono ben oltre la fine della sequenza.