Blonde, Adrien Brody difende il film dalle critiche: “È coraggioso, dev’essere metabolizzato”
Adrien Brody difende Blonde dalle critiche e parla della visione di Andrew Dominik come di "un modo impavido di fare cinema"
In Blonde Adrien Brody interpreta il ruolo di quello che è stato il terzo marito di Marilyn Monroe, il celebre drammaturgo Arthur Miller. Dopo aver esaltato la performance di Ana de Armas ora l’attore prende posizione contro le numerose critiche di cui, in queste ore, è stato oggetto il film di Andrew Dominik. Basato sul romanzo omonimo di Joyce Carol Oates, Blonde è in testa alla classifica dei film più visti su Netflix già dal primo giorno di programmazione. Critica e spettatori si stanno dividendo tra chi ha apprezzato il film, la sua visione e il suo intento e chi, per contro, lo ha etichettato come sessista, maschilista, addirittura offensivo nei confronti della memoria della diva per eccellenza. A Venezia Blonde (qui la nostra recensione) è stato accolto dopo la premiere con una standing ovation e 14 minuti di applausi per Ana de Armas, davvero eccezionale nei panni di Marilyn Monroe.
Dopo il debutto in streaming, in particolare su Twitter, si sono susseguiti commenti piuttosto adirati scritti da chi ha visto in Blonde l’ennesimo sfruttamento di una figura già tragica. Per il modo in cui viene rappresentata Marilyn Monroe, per lo sguardo del regista ritenuto da molti maschilista e per lo stile con cui sono affrontati passaggi difficilissimi della vita della diva, le gravidanze e gli aborti in primis. Tra realtà e finzione (occorre non dimenticare che il romanzo di Oates di cui il film di Dominik è adattamento non è una biografia ufficiale) le relazioni di Monroe con gli uomini sono descritte come caratterizzate da violenze e abusi. L’unico uomo che nel film sembra non trattare Marilyn come un oggetto è proprio Arthur Miller. Nel corso di un’intervista al The Hollywood Reporter, Adrien Brody ha voluto dire la sua sulle molte critiche che il film sta ricevendo, sottolineando in particolar modo come gli spettatori – a suo dire – non stiano cogliendo il punto di vista adottato da Andrew Dominik.
Adrien Brody difende Blonde dalle critiche e parla della visione di Andrew Dominik come di “un modo impavido di fare cinema”
“Credo che Andrew sia un regista coraggioso e ho desiderato lavorare con lui per molti anni. Amo ciò che ha fatto. Credo sia un risultato notevole e lo ha ottenuto con la massima fedeltà al lavoro di Joyce Carol Oates, onorando il romanzo con questo magnifico adattamento”. Brody va poi più a fondo parlando delle tematiche e dell’approccio utilizzato dal regista. “Sia il romanzo che il film abbondano di temi come lo sfruttamento e il trauma. E la vita di Marilyn, purtroppo, ne è stata piena. Credo che dal momento che [il film] è raccontato in prima persona, funzioni perché diventa un’esperienza traumatica. Sei dentro di lei – nel suo viaggio, nei suoi desideri e nel suo isolamento – in mezzo a tutta questa adulazione“.
Adrien Brody continua soffermandosi su quanto sia importante interiorizzare il film, metabolizzarlo. “È coraggioso e ci vuole un po’ per metabolizzarlo. Credo che entri in conflitto con quella che è la percezione che il pubblico ha di lei. E credo che sia proprio qui che il film trionfa perché – che sia una rappresentazione estrema o meno – rende giustizia alla distanza tra la percezione del pubblico della fama e della gloria dell’attrice più famosa di Hollywood e la realtà della persona. La solitudine, il vuoto, il tormento e l’abuso di quella persona… È un modo impavido di fare cinema“.