Intervista a Domenico Croce, regista di Vetro e Anne

FilmPost incontra Domenico Croce, regista di Vetro e del cortometraggio Anne premiato ai David di Donatello 2021

Domenico Croce ha esordito alla regia di un lungometraggio con Vetro, recentemente visto al cinema e accolto con pareri favorevoli da parte della critica. Thriller psicologico coinvolgente e sorprendente nel panorama nostrano, Vetro vince il confronto con un genere poco praticato in Italia e con risultati spesso altalenanti. Solido nella sceneggiatura – firmata da Luca Mastrogiovanni e Ciro Zecca – è un film con una forte personalità e un’impronta estremamente personale. Domenico Croce ci ha raccontato di Vetro, del suo cortometraggio Anne premiato ai David di Donatello 2021 e in generale della sua formazione, della sua visione come regista, delle influenze mutuate dal Cinema orientale svelandoci anche i suoi progetti futuri e le sue passioni da spettatore.

domenico croce

Foto di Giorgio Amato

Intervista a Domenico Croce

Ciao Domenico, grazie per questa intervista. Sei autore di Anne e dell’ottimo esordio al lungometraggio con Vetro, recentemente visto al cinema e che è stato ben accolto dalla critica. Vorrei partire innanzitutto dal primo, Anne: un corto raffinato, permeato da nostalgia e dall’attrazione verso il sogno, che sfrutta l’elemento onirico per raccontarci di come la potenza di un sentimento possa attraversare il tempo, i corpi, lo spazio per raggiungere la sua destinazione. “Tutto ciò che vedrai  è accaduto realmente”: ti andrebbe di commentare questa frase che apre il cortometraggio e di raccontarci come è nata l’idea?

 

La frase ha in realtà una doppia valenza. Innanzitutto introduce il fatto che la storia sia ispirata a fatti realmente accaduti o quantomeno documentati. È la storia di James Leininger, un bambino che aveva dei sogni ricorrenti riguardanti episodi di guerra del secondo conflitto mondiale. I suoi genitori si sono interessati non riuscendo a trovare risposte tramite psichiatri e psicologi e autonomamente hanno fatto delle ricerche e hanno scoperto che, da quanto loro riportato, si trattasse di sogni collegati a ricordi veri, vissuti da un soldato morto durante la guerra nel Pacifico. La frase Tutto ciò che vedrai è accaduto realmente” da una parte sta a significare “tratto da una storia vera”, dall’altra l’abbiamo scelta perché il corto è in parte animato, in parte usa materiale di repertorio. L’animazione tramite rotoscopia si basa su immagini girate dal vivo. Faceva un po’ d’apertura e da spoiler su quello che da lì a pochi minuti lo spettatore sarebbe andato a vedere.

Domenico Croce

Anne. 10D Film, Anemone Film

La tecnica di realizzazione di Anne è molto interessante: un mix tra film e animazione. Mi ha ricordato Un oscuro scrutare di Linklater, ed è in linea con ciò che racconti, perché i personaggi sembrano disegnati, ma anche reali, come le visioni del bambino protagonista. In cosa consiste?

Domenico Croce

Anne. 10D Film, Anemone Film

La tecnica è la rotoscopia. È una tecnica d’animazione tra le più utilizzate, almeno nell’animazione classica. Se non una delle prime ad essere sperimentata. Si basa su immagini girate dal vivo e poi ridisegnate in post produzione. Noi abbiamo in parte usufruito di un filtro fotografico che però è stato applicato su ogni singolo fotogramma del corto. Non siamo partiti dal disegno a mano, c’è un piccolo input digitale. Il concetto di base era ribaltare la realtà con il sogno. Abbiamo utilizzato l’animazione per rappresentare gli eventi che accadono nello storia del bambino e immagini di repertorio per raccontare invece i sogni, quindi, materiale dal realismo totalizzante. Il bambino stesso disegna. È stato proprio il disegno nella storia di James Leininger a far emergere i ricordi di una possibile vita precedente. Nel corto anche la realtà che vive il bambino stesso è filtrata attraverso il suo sguardo e la sua sensibilità. All’inizio lo spettatore ne viene destabilizzato. Poi comprende la connessione.

Cosa ha rappresentato per te la premiazione ai David di Donatello 2021?

È stato fantastico. Una coronazione e in realtà anche una sorpresa [ride], perché in realtà Anne non ha avuto all’inizio un successo tale che ci facesse sospettare un traguardo del genere. Siamo partiti bene perché siamo riusciti ad esordire al Giffoni, siamo stati ad un festival in Toscana. Poi altri tre mesi di silenzio e durante il lockdown abbiamo partecipato a Cortinametraggio, versione on-line, in cui è andato benissimo e siamo stati stati premiati con i premi miglior corto assoluto, corto più web (premio Rai Cinema Channel/RaiPlay) e il premio ANEC-FICE. È passato quasi un anno in cui non siamo riusciti a farlo partecipare ad altri festival, anche perché ci siamo impuntati e volevamo essere solo noi a distribuirlo. Lo abbiamo iscritto ai David e poi… Beh c’è stato questo premio che è davvero piovuto dal cielo [ride] e ci siamo sentiti investiti di un onore immane. Tra l’altro tutti coloro che hanno partecipato sono davvero giovani – venivamo dal Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma – un’età che oscillava per tutti dai 25 ai 35. È stata veramente una cosa figa!

Prima di passare a Vetro, vorrei chiederti di più sulla tua formazione come regista. Da dove è nata questa passione e questa esigenza e quali sono stati i tuoi studi?

Vetro recensione

Vetro. Fidelio, Vision Distribution

La passione per il cinema è nata a poco a poco, come per tutti immagino. Io ho fatto il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma dal 2015 al 2017. Precedentemente avevo fatto tre anni di Ingegneria Edile – Architettura alla Sapienza di Roma. Già con la scelta dell’Università – io venivo dallo Scientifico – cercavo un po’ una fuga verso qualcosa di artistico, più creativo. Prima del CSC, in realtà non avevo fatto altre scuole. È stato un percorso che è cresciuto intimamente, che se vogliamo è nato da ragazzino, quando non mi staccavo mai dal foglio, dalla matita o dalla penna per disegnare, per scrivere fumetti. Ero partito prima col “pallino” del fumettista.

Poi c’era sempre la connessione col cinema. Tramite i making of dei film, quando sono usciti i primi DVD, ho cominciato ad interessarmi ai backstage dei film e ho avuto un po’ un’illuminazione e ho compreso che i fumetti che disegnavo non erano tanto dei fumetti, ma erano più degli storyboard [ride]. E contemporaneamente ho preso le prime videocamere digitali o a cassetta e all’inizio è stato tutto molto amatoriale. Al secondo anno di Università ho pensato che dovevo provarci a coltivare questa passione. Il terzo anno di Università l’ho diviso tra lo studio e l’informarmi su scuole di cinema e poi scoperto il Bando del CSC e da lì è partito tutto.

Vetro è a mio parere un ottimo thriller: originale, potente, con una forte originalità d’intreccio e scenica, atipico per il nostro cinema (ed è un pregio), di ampio respiro, seppure sia ambientato quasi in un’unica location. Mi ha ricordato alcuni film del cinema orientale. Da dove è nata l’idea e come sei riuscito a realizzarlo? 

L’idea non è mia. Il soggetto e la sceneggiatura sono di Ciro Zecca e Luca Mastrogiovanni, i due sceneggiatori di Vetro. Loro sono i padri dell’opera e sono come me anche grandi appassionati di thriller. Sospetto che l’esperienza del lockdown li abbia ispirati. Durante il lockdown sono entrato in contatto con Fidelio. Durante l’ultimo Solinas anche i due sceneggiatori erano entrati in contatto con questa casa di produzione e sono rimasti in rapporti. Verso la fine dell’estate Luca e Ciro hanno proposto questo soggetto a Fidelio. I produttori mi hanno chiesto di leggere il soggetto e mi hanno domandato cosa ne pensassi, dicendomi che probabilmente sarebbe stato anche il loro esordio – sono una neonata casa di produzione. Da lì tutto è venuto di conseguenza.

La componente musicale, assieme a quella scenografica alimentano con coerenza ed eleganza la forza narrativa di Vetro. Qual è il tuo rapporto con la musica? Come pensi che essa interagisca con il cinema?

Vetro la recensione

Vetro. Fidelio, Vision Distribution

Rispetto all’aspetto musicale ci sono grandi retroscena in Vetro. Dal mio personale punto di vista il rapporto con la musica è fondamentale. Anche su Anne c’è il discorso della canzone che fa da ponte e ritorna e quello è un elemento chiave del corto. L’aspetto musicale è veramente fondamentale. La ritengo veramente la quarta scrittura di un film. Per quanto riguarda Vetro il discorso musicale è stato molto challenging. È stato laborioso e anche divertente in realtà. La musica che ascoltava Lei era fortemente presente già in sceneggiatura. Luca e Ciro avevano messo proprio dei titoli che secondo loro dovevano essere nella colonna sonora e che comunque sia davano un’idea di ciò che lei avrebbe ascoltato.

Poi di queste canzoni in realtà abbiamo mantenuto solo “Three O’Clock Blues”, il brano in loop che si ripete. Il resto è tutto un lavoro che è stato fatto con Giovanni Guardi, il music supervisor. Incontri su incontri, chiamate su chiamate per capire veramente quale fosse il mood giusto. Poi siamo arrivati in montaggio e siamo riusciti a scegliere esattamente i brani giusti da mettere nel film. Quindi i brani che sentiamo nel film in realtà sono arrivati dopo. C’è stata una fase in cui pensavamo che lei dovesse ascoltare più musica classica rivisitata, con un embrione di musica elettronica al suo interno e poi mano a mano l’intervento di Lui la portasse su altri livelli di sonorità. Poi invece l’abbiamo portata su un’atmosfera più pop e quando entra in scena Lui la musica si trasforma in qualcosa di più strumentale. 

Sia in Anne che in Vetro ciò che salta subito all’occhio è l’attenzione che dedichi allo sguardo e alle emozioni dei personaggi. Infatti hai scelto sempre interni per i tuoi film con cui puoi descrivere con attenzione i loro movimenti nello spazio e le loro interazioni con persone e oggetti. Come dirigi gli attori?  Qual è secondo te la più grande dote di un attore?

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Vetro. Fidelio, Vision Distribution

Bella domanda [ride]. Quello che dicevo spesso sul set, ad esempio a Carolina, che mi diceva spesso: “Io mi rivolgo a te, tu mi dirigi, tu mi dirai cosa è meglio fare…” era “Guarda che io non sto a fa’ niente, ti do qualche indicazione, ma poi il resto lo stai facendo tutto quanto te!”. In un certo senso è quando si crea questo equivoco che si raggiunge la resa migliore che ci può essere tra quel regista e quell’attore su quel set. Cioè quando l’attore è diretto, ma ormai è talmente nel flow del film. Sono importantissime le prove a monte prima di girare, per settare il personaggio che ancora deve essere definito. Su Vetro questo è stato importantissimo, una volta indicata Carolina con il casting, per capire bene il personaggio. Sapere cioè quanto far trapelare, cosa trattenere del suo subconscio e sapere esattamente cosa mostrare.

Una volta capita bene questa cosa, poi sono partite le prove anche con tutti gli altri attori e, per quanto da un lato fosse complicato il fatto che ci fosse solo lei in scena, dall’altro ho potuto concentrarmi su di lei, oppure metterla completamente in disparte: lavorare con gli altri e far sì che lei recitasse di reazione. Sul set io sono per essere il più asciutto e il più stringato possibile. Il lavoro più importante lo si fa prima con le prove, discutendo con gli attori. Sul set cerco di dire loro ciò che devono fare, non tanto ciò che devono sentire.

La sceneggiatura di Vetro è coraggiosa, soprattutto per il nostro cinema ed è anche attuale perché racconta una storia di alienazione in un mondo sempre più alienato e alienante. Cosa pensi di questo tema, quello dell’alienazione al cinema?

Sicuramente il lockdown ci ha dato una bella botta a tutti quanti. Io sinceramente anche camminando per strada la separazione l’avverto molto tra le persone, rispetto a come era prima. Non che la cosa debba essere peggiore o migliore. È una situazione diversa comunque e penso che l’alienazione, farsi un po’ i fatti propri, sia un elemento totalmente umano. Se vogliamo diventare antropologici, per quanto l’uomo sia un essere sociale, però l’altra faccia della medaglia esiste ed è anche rappresentata da questa volontà di stare in disparte. Il lockdown non ha fatto altro che mettere più in luce questi aspetti e per forza di cose molta gente è stata costretta a farci i conti, magari con degli aspetti di sé che prima non considerava minimamente. Se ci pensiamo adesso si parla molto della crisi della sala, anche se forse vi è una ripresa; ma la crisi era già iniziata prima del lockdown. Già ci si interrogava (magari non abbastanza) su tutto questo.

È un tema sociale. Anche gli hikikomori stessi, che decidono di vivere rinchiusi in casa in camera loro e vivono la propria vita chiusi con quello che hanno in camera, o magari trafugando qualcosa di notte dal resto della casa, ora principalmente stanno molto on line. Si tratta però di un fenomeno nato molto prima, in Giappone negli anni 80, che si è riconosciuto essere come una sorta di ribellione contro la società stessa che li voleva inquadrare e formare, con i genitori che li vedevano come sabbia da plasmare. Sono entrati in un cortocircuito. Loro hanno cominciato a chiudersi in casa perché non si sentivano più adatti alla vita sociale, come difesa, una sorta di ribellione inconscia verso la società: una ribellione che all’inizio non è percepita come tale da chi la attua, ma che solo dopo si accorge di far parte di un fenomeno.

Quali sono i tuoi film preferiti come spettatore?

Guarda… Una marea [ride]. Se vogliamo essere più semplici ci tocca andare sul sentimentale: la trilogia del Signore degli Anelli è imprescindibile. I backstage sono stati fondamentali per me… Da lì in poi tantissima altra roba. Spiderman di Raimi e il suo Cinema. Sono molto appassionato del cinema della New Hollywood in generale: Spielberg in particolare per me è un’altra pietra miliare, ad esempio con Lo Squalo. Poi Hitchcock… Sto guardando i Blu-ray che ho a casa. Fellini… Sono più lato De Sica che Rossellini e poi… il cinema orientale, ce n’è parecchio in Vetro

Con il direttore della fotografia abbiamo puntato molto nel ricreare accostamenti cromatici affini alla cinematografia orientale. Lui ad esempio ha utilizzato un libro sulle regole degli accostamenti cromatici care al Giappone. Ci siamo ispirati al cinema orientale anche per il ribaltamento percettivo, che secondo me loro sanno fare davvero bene.

Quali sono i tuoi prossimi progetti? 

Al momento sto lavorando su un nuovo soggetto sempre in collaborazione con Fidelio: sempre un thriller, stavolta un po’ più drammatico.

 
 
 
 
 
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