Francesco Patanè esordisce sul grande schermo come co-protagonista accanto a Sergio Castellitto ne “Il cattivo poeta”, biopic diretto da Gianluca Jodice che racconta la figura del poeta Gabriele D’Annunzio. Prodotto da Matteo Rovere e Andrea Paris, produzione Ascent Film e Bathysphere con Rai Cinema, il film approda al Cinema dal 20 maggio con 01 Distribution. La pellicola racconta gli ultimi anni di vita del poeta-vate (Sergio Castellitto), delineando il ritratto di uno dei personaggi più rilevanti della letteratura italiana e della storia del nostro Paese. Ne Il cattivo poeta, Francesco Patanè interpreta Giovanni Comini, il più giovane federale che l’Italia possa vantare.
Comini viene subito convocato a Roma per una missione delicata: dovrà sorvegliare Gabriele d’Annunzio e metterlo nella condizione di non nuocere. Già, perché il Vate, il poeta nazionale, negli ultimi tempi appare contrariato, e Mussolini teme possa danneggiare la sua imminente alleanza con la Germania di Hitler. Ma al Vittoriale, il disegno politico di cui Comini è solo un piccolo esecutore, inizierà a perdere i suoi solidi contorni e il giovane federale, diviso tra la fedeltà al Partito e la fascinazione per il poeta, finirà per mettere in serio pericolo la sua lanciata carriera.
Intervista a Francesco Patanè
Nato a Genova (ma di origini siciliane) nel 1996, Francesco Patanè inizia a recitare sin da bambino presso la scuola di recitazione per ragazzi “La Quinta Praticabile”. Frequenta, poi, la Scuola del Teatro Stabile di Genova dove, a 21 anni, ottiene il diploma di attore. L’attore è attivo sin da subito e partecipa a diverse produzioni teatrali tra Genova e Roma. Tra i numerosi spettacoli: Antigone con Massimo Venturiello al Teatro Antico di Taormina e Eracle al teatro Na Strastnom di Mosca. In tv, prende parte al progetto “Aldo Moro, Il Professore” di Francesco Miccichè. Nel luglio 2021 sarà il protagonista in “Gradiva” di Wilhelm Jensen, una produzione Lunaria Teatro per la regia di Daniela Ardini.
Benvenuto Francesco, in che modo descriveresti il tuo personaggio Giovanni Comini?
Giovanni Comini è un giovane federale fascista, inesperto e fiducioso. Si ritrova in una storia più grande di lui, che non capisce fino in fondo e che cerca di comprendere. Un ragazzo semplice in una storia complicata. Accetta le sfide con impegno e ha il coraggio di crescere e cambiare punto di vista.
Come hai costruito questo personaggio e quali sono i materiali che hai studiato per avvicinarti alla figura di Gabriele D’Annunzio, interpretato da Sergio Castellitto?
Per diventare Giovanni Comini, ho visto documentari sul periodo fascista in Italia. Per entrare in quell’atmosfera, in quel clima, in quella musica, per vedere il mondo con gli occhi di un giovane nato nel 1910, con quelle speranze e quelle paure. Su D’Annunzio non solo non ho studiato nulla, ma ho cercato di dimenticare pure quello che avevo imparato al liceo: Giovanni Comini nel film sa poco e nulla di D’Annunzio, solo le gesta più eclatanti e solo per sentito dire, non ha mai letto nulla del poeta, non lo conosce. Ho cercato di avere la sua stessa “verginità”.
Il film pone al centro la promettente carriera di un giovane federale ma anche il fascino che Giovanni prova per un poeta ed artista come Gabriele D’Annunzio. Quel fascino potrà mettere in discussione ogni scelta di Giovanni. Cosa ti affascina maggiormente di questi due aspetti della storia?
Ciò che affascina Giovanni sono le prospettive che gli promettono il fascismo prima e D’Annunzio poi, gli orizzonti che gli suggeriscono e che lui immagina. La parte più affascinante dell’interpretare Giovanni è stata proprio questa: il fatto che sia un personaggio che si lascia sedurre, e lasciarsi sedurre è sempre rischioso. Si può finire su strade che ti portano verso te stesso, ma può pure capitare il contrario. Ci si può smarrire. Chi si lascia affascinare si espone a pericoli.
Sergio Castellitto e Francesco Patanè ne “Il cattivo poeta”, Ascent Film, Bathysphere Productions, Rai Cinema
Cosa ti porti del tuo personaggio dentro di te e quali sono gli aspetti, invece, che credi di aver donato a questo giovane ragazzo? Che scambio umano c’è stato?
Di Giovanni mi porto a casa la rigidità, la costrizione in una forma che non è la sua, un tentativo di durezza che non è altro che una maschera. Di mio, ho cercato di dargli la voglia di giocare, di ballare, di essere libero, la morbidezza. Il risultato è uno scontro tra queste due forze che creano il personaggio Giovanni Comini!
Come dicevamo poco fa, Gabriele D’Annunzio è interpretato da Sergio Castellitto. Come è stato lavorare con lui e quali sono gli insegnamenti che ti ha donato?
Lavorare con Sergio è stato un grande regalo: oltre alla lezione preziosa che consiste nel vedere un grande attore all’opera, e che mi ha permesso di imparare molto di come si recita davanti alla camera (questa è la mia prima esperienza di set), mi ha insegnato, dimostrandolo sul set, che un grande attore, pur così affermato, affronta il lavoro senza risparmiarsi, con impegno, serietà e umiltà. Sergio è un vero lavoratore.
La regia del biopic è stata affidata a Gianluca Jodice. Che sguardo ha avuto il regista nei confronti della storia narrata, secondo te?
Credo che se D’Annunzio potesse vedere il lavoro di Jodice ne rimarrebbe entusiasta. Con Jodice questa storia , pur con i suoi spigoli, con le sue rigidità, diventa poesia di immagini e parole, e la poesia di questa vicenda, di questo poeta, si fa carne, cede alla gravità, diventa materica.
Che effetto fa presentare un film del genere al Cinema, dopo la chiusura di questi mesi?
Essere il primo film italiano ad uscire in sala, essere il simbolo della ripartenza, è un onore e una grande responsabilità: il pubblico avrà fame di cinema, e sapere di essere il primo piatto mi mette agitazione, è una bella emozione.
Ma Francesco, parliamo dei tuoi inizi. Quando hai capito che avresti voluto intraprendere questa carriera artistica?
Recito da quando avevo sette anni. Prima era un gioco, frequentavo la scuola di recitazione per bimbi e ragazzi “La quinta praticabile” a Genova, mi divertivo e imparavo. Poi, un giorno, Massimo Venturiello e Tosca mi videro recitare a Genova e mi dissero che avrei dovuto continuare, che il mio posto era sul palco. Da quel giorno, l’idea di essere un attore per davvero non mi ha più abbandonato, ho studiato allo Stabile di Genova ed è diventato il mio lavoro.
C’è un film che ha rafforzato la tua idea di voler diventare attore, nel corso degli anni?
La magia del teatro e del cinema mi ha sempre stimolato. Non posso vedere la performance di un attore senza chiedermi cosa potrei fare io con quel personaggio. É proprio un bisogno fisico, un istinto, di alzarmi e farlo anche io. Ed è sempre così, qualsiasi cosa guardi.
Nella tua carriera, c’è tanto teatro con opere come Antigone ed Eracle. Che significato ha per te il palcoscenico teatrale?
Il teatro è una scatola magica dentro al quale puoi essere e far accadere qualsiasi cosa. La magia sta proprio lì, nel fatto che il palcoscenico è un luogo fisico che calchi e calpesti, a cui ti appoggi, e basta. Scendere le scalette, per essere in qualche modo fuori dalla magia, di nuovo nel mondo reale. Basta salirle per tornare nella magia. É un rito che percepisci fisicamente, che senti nel corpo.
Quali sono i ruoli e le storie che vorresti raccontare, adesso?
Mi piacerebbe esplorare personaggi pieni di ombre, con tanto nero da gestire. Ma pure una commedia, qualcosa di leggero, qualcosa di divertente!
Nel tempo sospeso che abbiamo vissuto, quali sono i film e le serie tv che ti hanno tenuto compagnia?
Durante il lockdown ho cercato di colmare le lacune, di vedere film del passato che ancora mi mancavano: Tarkovskij, Welles, Hitchcock. Ma pure maratone di serie tv come Modern family!
Quali sono, invece, gli artisti che ispirano la tua arte?
Da ogni attore e ogni regista rubo sempre qualcosa, davvero! Poi, ci sono alcuni fuoriclasse che mi lasciano a bocca aperta, come Gary Oldman, Daniel Day Lewis. Attori che in un’unica vita incarnano e danno forma a così tanti esseri umani diversi da farti venire voglia di fare altrettanto, almeno provarci!