Intervista a Michele Maccagno: nel cast di Snow Black

Un artista sempre camaleontico e curioso che attraversa l’arte con trasparenza e innovazione. Michele Maccagno vive il suo lavoro, sperimentando ogni genere e mettendo alla prova il suo essere attore continuamente. Dopo il successo ottenuto con il film Ero in guerra ma non lo sapevo, dove ha recitato accanto a Francesco Montanari e Laura Chiatti, Michele Maccagno è nel cast di Snow Black, la nuova serie TV mystery per ragazzi di Rai Gulp. 

Film Post incontra Michele Maccagno 

Come descriveresti il tuo personaggio in Snow Black?

Un vero poliziotto. Duro e severo nelle indagini e invece dolce e comprensivo con la moglie malata e sulla sedia a rotelle; è la prima volta che mi capita di fare un poliziotto. Di solito mi danno le parti del “cattivo”. A differenza del teatro dove hai tempo di prova, in tv tutto quello che hai studiato del personaggio lo devi infilare in tempi di montaggio strettissimi. Ma credo che si veda.

 Come descriveresti questa serie?

Snow Black è una mistery story per ragazzi. I protagonisti, infatti, sono tutti ragazzini sui 15/16 anni. All’interno puoi trovare storie intrecciate di sparizioni, storie d’amore adolescenziali e tanto altro. Io lo sto seguendo in questi giorni e devo dire che mi intriga tantissimo. Poi, ovviamente, per me il ricordo è della scorsa estate sul set: il bello di questi progetti è che alla fine si crea una grossa famiglia. Le puntate della festa, per esempio: ci trovavamo in questa stupenda villa tutti i giorni, dal mattino alla sera, tutta la troupe e quasi tutto il cast. Ripetevamo le scene, ci aiutavamo a vicenda, giravamo e ci divertivamo. Insomma, sembra il racconto della Bella Estate. Ma così è stato e credo proprio che dal risultato si veda.

Intervista a Michele Maccagno: nel cast di Snow Black

Ufficio Stampa Giuseppe Zaccaria


 

Recentemente, hai presto parte al film Ero in guerra e non lo sapevo con Laura Chiatti e Francesco Montanari. Un’intensa storia vera. Che esperienza hai vissuto?


Erano gli anni ’70. Io ero molto piccolo. Quel che ricordo sono i telegiornali che sentivo nell’altra stanza in cui si parlava di paura e rapimenti, il fumo delle sigarette dei “grandi” e “Kramer contro Kramer”. Insomma erano anni di cambiamento e di piombo. Appena mi sono recato sul set mi è tornato alla mente tutto. Sensazioni e ricordi. Le stesse ambientazioni che vedevo nei telegiornali e quel clima freddo e teso.
Avevo voglia di sperimentarmi con il cinema. Dopo anni di teatro, sentivo il bisogno di esprimermi attraverso un mezzo diverso. Poi c’è stata la chiamata di Fabio Resinaro e tutto è risultato semplice. Sarà perché il mio personaggio è milanese, sarà perché sono un amante del cinema, ma la recitazione cinematografica sento che mi consente una grossa libertà: ho sempre cercato di esprimere me stesso attraverso il personaggio e da questo punto di vista il cinema è perfetto. Come sta succedendo in tutta Europa, il concetto di attore sta cambiando: è molto più importante l’essere umano che si cela dietro all’attore . E questa è una grossa conquista. Almeno per me. Sul set, peraltro, si è creato un clima disteso tra gli attori per cui ho avuto un intesa perfetta sia con Francesco Montanari che con Laura Chiatti.
E poi c’è la mia Milano. Sono milanese d’adozione ma questa città ha sempre esercitato un fascino molto forte verso di me. Quando sono uscito dall’accademia i miei compagni sono tutti emigrati a Roma con il sogno del cinema. Io sono rimasto a Milano. Un po’ per il teatro e un po’ per affezione. E poi Milano merita di essere raccontata, soprattutto perché non è solo moda e fashion. Si nasconde nei cortili del centro, nelle nuove architetture avveniristiche che stanno nascendo e nella mentalità metropolitana che si sta alimentando.

Intervista a Michele Maccagno: nel cast di Snow Black

Ufficio stampa Giuseppe Zaccaria


 Nella tua carriera c’è tanto teatro, arrivato ad oggi quando riesci a percepire che un ruolo è quello giusto per te?


Semplice. Da come è scritto. Non mi sono mai fidato di quelli che “vendono” un personaggio o una storia. C’è sempre il filtro della loro immaginazione e della loro capacità di venderlo. Il rapporto, invece, che si crea tra me e le battute di una sceneggiatura o di una drammaturgia è mio e solo mio. Dal modo in cui il personaggio parla o si pone nelle situazioni o meglio ancora dal modo in cui la mia immaginazione e il mio corpo riescono a muoverlo nella realtà, riesco non solo a capire se è giusto, ma anche a percepirne la vita. Il rapporto tra l’attore e la scrittura deve essere necessariamente un rapporto molto stretto. Ronconi mi diceva sempre che sapevo “leggere” i testi: ecco un piccolo vanto.

Quali sono le storie che senti l’esigenza di raccontare?

Non ho storie o generi che prediligo. Mi piacciono tutte senza distinzione a patto che facciano discutere, che smuovano il pubblico. Mi piace molto stuzzicarlo, spiazzarlo, emozionarlo e farlo pensare e immaginare.
Sto ultimando un lavoro per il teatro su Joker. Figura controversa, molto controversa, è una materia che scivola dalle mani. Da un lato c’è la percezione di un personaggio positivo nell’immaginario delle persone, dall’altro lato ci troviamo di fronte ad un efferato assassino. Allora non facile da definire, non facile capire da che parte stare. Ecco questo tentativo di inserirsi nell’immaginario collettivo della gente mi intriga molto.

 Chi sono i registi con cui speri di lavorare in futuro?

Paolo Sorrentino in primis. Ha un occhio di riguardo per noi “teatranti” e poi mi emoziona sempre quello che fa, è vero che ha un suo stile ma riesce a rinnovarlo ad ogni progetto che fa.
E poi devo dire che il cinema rispetto al teatro, oggi, è molto più florido di registi: i fratelli D’Innocenzo, per esempio, sono riusciti a creare un taglio tutto nuovo nel raccontare le storie, così come Gabriele Mainetti.
 

Che spettatore sei? Quali film e serie hai visto nell’ultimo anno?

Cerco con tutte le mie forze di guardarli con un occhio “vergine”, ma poi è inevitabile che l’occhio mi cade sulla recitazione, sul montaggio, sull’idea. Anche se poi ci sono certi film o certe serie che mi fanno dimenticare chi sono e mi portano da un altra parte. Per esempio, ancora Paolo Sorrentino con È stata la mano di Dio, film che ho amato, che mi ha appassionato soprattutto diverso dai precedenti. Mi ha colpito molto anche Tre Piani di Nanni Moretti, girato con attori eccezionali. E poi per andare all’estero direi The Father perché Anthony Hopkins credo sia un attore con la A maiuscola. Recita con una leggerezza e quasi una spensieratezza che mi incanta. Per le serie sto seguendo Christian e Il Re su Sky e After Life su Netflix, girate benissimo. Insomma mi tengo occupato.

Chi sono le persone e gli artisti che ti ispirano?

Dicono che ricordo Roberto Herlitzka. Forse per la forma del mio naso…. Scherzo, naturalmente, è un paragone che mi lusinga tantissimo anche perché pur non avendo mai lavorato insieme a lui, l’ho seguito tanto e tanto ho cercato di prendere. Mi ispira molto anche Massimo Popolizio per la sua determinazione. Poi c’è Alex Rigola, regista catalano con cui ho fatto due spettacoli, Luca Ronconi che purtroppo non c’è più e sicuramente mio fratello che corre le maratone.

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