Intervista a Vincenzo Zampa tra i protagonisti del film “Comedians” di Gabriele Salvatores
Comedians è il nuovo film scritto e diretto dal premio Oscar Gabriele Salvatores che sarà distribuito nei cinema dal 10 giugno. Nel cast troveremo Ale e Franz, Christian De Sica e Giulio Pranno. Tra i protagonisti c’è anche Vincenzo Zampa, attore di teatro, cinema e televisione. Il giovane artista si è diplomato nel 2008 alla Scuola del Teatro Stabile di Genova e ha continuato la sua formazione in diversi laboratori teatrali con nomi del calibro di Toni Servillo, Antonio Rezza , Danio Manfredini, Giuliana Musso.
Vincenzo Zampa è stato diretto in teatro tra gli altri da Anna Laura Messeri, Paolo Rossi, Francesco Carofiglio mentre al cinema da registi come Daniele Vicari, Terrence Malick e Gabriele Salvatores. In televisione, ha preso parte alle serie televisive di Ivan Silvestrini e Luca Manfredi. Nel 2011, vince il Premio Ubu come nuovo attore under 30 per The History Boys per la regia di Ferdinando Bruni e Elio De Capitani. Collabora ad oggi con il teatro Elfo Puccini di Milano curando allestimenti e regie, dedicandosi spesso alla scrittura. Infatti, è uno dei soci fondatori del collettivo IL MENU DELLA POESIA.
La nostra intervista a Vincenzo Zampa
Benvenuto, Vincenzo. Sarai nel cast di Comedians, in che modo ci presenteresti il tuo personaggio?
Il mio personaggio è un’anima pura, un semplice con aspirazioni da grande perché ha un grande cuore. Un uomo comune. Un lavoratore instancabile che vuole elevarsi rispetto alla sua situazione lavorativa, dato che si è già elevato geograficamente (dal Sud si trasferisce al Nord, ma resta legato al Sud per cultura, tradizioni e indole).
Il mio Michele Cacace, nella storica versione teatrale del testo, portata in scena da Salvatores al teatro dell’Elfo di Milano negli anni 80, era interpretato da Silvio Orlando, con il nome di Michele Cozzolino.
La sua versione era napoletana, la mia pugliese. Silvio Orlando è un gigante come attore. Quindi, per lavorare su questo personaggio mi sono avvicinato con profondo rispetto alla sua figura.
Che esperienza hai vissuto sul set, accanto ad un grande regista come Salvatores?
Ho lavorato con Gabriele Salvatores la prima volta ne Il ragazzo invisibile dove interpretavo l’assistente di Valeria Golino. Salvatores sul set è un fantastico Demiurgo, un pittore che tesse amabilmente la sua tela con l’ascolto e l’umiltà tipica delle grandi persone. Una grandezza tipica di chi ha fatto tanto teatro e sa cosa vuol dire stare su un palco ad esempio. Ha profondo rispetto per i suoi attori. Ti ascolta. Ruba sapientemente da te ma sempre con rispetto. Lui non lo sa ma se faccio questo mestiere è anche grazie ad un suo film che adoro: Turnè del 1990. Una volta, sul set de Il ragazzo invisibile ho detto questa cosa a Fabrizio Bentivoglio (protagonista di Turnè) che mi ha risposto: “Caspita che responsabilità”. Devo dire anche un particolare grazie a Indiana Production che è riuscita a creare questo piccolo miracolo in un clima di emergenza sanitaria.
Al centro della pellicola, c’è una riflessione sul senso stesso della comicità del nostro tempo. Cosa ne pensi di questa tematica?
Se posso permettermi un gioco di parole è “comico” che questo film esca a ridosso di una polemica fresca proprio sul significato della comicità e delle parole. Molti hanno in mente lo sketch di Pio e Amedeo, che mi son trovato a guardare proprio in seguito alle polemiche che ne sono scaturite. Uno dei temi del film è questo: “cosa è comico?”. Se pensiamo ad Aristofane sino ad arrivare a uno stand up comedian popolare come Lenny Bruce notiamo come la comicità è per forza di cose radicata con il presente.
Ho fatto per tanto tempo cabaret, soprattutto a Genova, città dove sono cresciuto artisticamente. Facevo parte di un trio con tre colleghi meravigliosamente matti e bravissimi (Margherita Romeo e Michele Di Siena), ci chiamavamo “I Tre Terrones” (superfluo spiegarne il significato) so quanto è difficile “far ridere”. Far ridere è un’arte e va trattata con rispetto. E per quanto possa essere un paradosso anche dissacrare deve essere fatto con rispetto. Il comico è un mestiere difficile ma per fortuna qualcuno deve pur farlo.
Che effetto fa presentare un film al cinema, dopo la chiusura di questi mesi?
Per me, è come tuffarsi da uno scoglio alto. Fa paura. Sai che sotto c’è l’acqua. Tu sai nuotare perché te lo hanno insegnato da bambino. Ma il minuto dal salto al toccare l’acqua è infinito ma bellissimo.
Quando hai capito che avresti voluto intraprendere questa carriera artistica?
Da ragazzo avrei voluto fare il cuoco. Ma poi, ho studiato al Liceo Classico. Ho il ricordo della sensazione fisica della prima volta che ho assistito ad uno spettacolo di miei compagni di classe al liceo, i quali frequentavano un laboratorio teatrale. Vedendoli in scena non riuscivo a star fermo sulla sedia e avrei voluto salire sul palco. Lì ho capito che volevo far quello. Un’attrazione fisica. Questo è stato per me. Non una scelta mentale. Adesso metto nei personaggi che interpreto tutti gli ingredienti che posso per renderli veri. Ogni personaggio è una ricetta speciale che va servita bene.
C’è un film che ha rafforzato la tua idea di volerti avvicinare all’arte, nel corso degli anni?
Oltre a Turnè che citavo prima penso a Being John Malkovich di Charlie Kaufman per la grandissima prova di attore di Malkovich. Mi affascina vedere di solito la trasformazione da attore a personaggio. Credo che sia bellissimo cambiare per vestire i panni degli altri. Cerco di farlo anche io per quanto posso. Dare spazio al personaggio. Alla sua storia che inevitabilmente avrà anche qualcosa del mio vissuto.
Nella tua carriera, c’è tanto teatro. Che significato ha per Vincenzo Zampa il palcoscenico?
Per me, il palcoscenico è catarsi. Di solito dico che è la mia psicoterapia, scherzando. Adoro vedere il pubblico sorridere a una mia battuta o sentirlo partecipe rispetto ad un’emozione di un mio personaggio. Spero davvero che lo stesso accada con il mio Michele di Comedians. Ho un profondo affetto per il mio personaggio. Per recitare si deve iniziare dal teatro. Almeno per imparare la disciplina e il rispetto. Tutto parte da lì. La nostra professione è partita da lì. Favino ai David di Donatello ha divulgato l’importanza di introdurre il teatro nelle scuole come materia. L’importante comunque è partire e poi non darsi un limite.
All’interno della tua vita, c’è grande spazio anche per la scrittura. Sei, per esempio, tra i soci fondatori del collettivo Il Menu della Poesia. Ce ne parli?
Il Menu della Poesia è un format che è riuscito a farsi strada, proprio perché per strada è nato.
Attualmente il collettivo è formato da 21 attrici e attori professioniste e professionisti.
Portare la poesia in luoghi non convenzionalmente culturali è un’emozione unica. Vestiti da camerieri serviamo un menù a base di componimenti poetici. Cerchiamo di diffondere la bellezza del verso e delle parole in luoghi diversi come ad esempio un ristorante.
Tra i soci fondatori c’è con me Marco Bonadei, un mio amico fraterno ed un compagno di arte e di vita. Mio collega già al teatro dell’Elfo di Milano con cui collaboriamo e con cui a Gennaio 2022 debutteremo assieme nel Moby Dick di Orson Welles per la regia di Elio De Capitani. Con Marco, inoltre, siamo in procinto di creare una nostra realtà teatrale culturale. Per caso ci siamo ritrovati assieme a far parte di questo straordinario cast. Nel film lui interpreta Sam Verona. Ed è stata una meravigliosa coincidenza.
La passione per la poesia nasce dalla mia passione di scrivere e improvvisare versi spesso in rima. Da poco tempo mi cimento anche in sfide di Poetry Slam con dei pezzi scritti da me.
Quali sono i ruoli e le storie che vorresti raccontare, adesso?
Adesso, vorrei fare la parte del cattivo. Mi piacerebbe molto. E perché no, girare anche un bel film horror, altra mia passione. Il mio aspetto potrebbe ingannare, ma il bello è anche sfidarsi e diventare altro da quello che si è. Altrimenti che senso ha il nostro lavoro?
Nel tempo sospeso che abbiamo vissuto, quali sono i film e le serie tv che ti hanno tenuto compagnia?
Devo dire che ho letto moltissimo. Il silenzio e l’isolamento son stati dolorosi ma hanno favorito la concentrazione.
Ho scoperto una serie che ahimè ho letto poi essere stata cancellata come Dirk Gently su Netflix. Ho continuato a guardare The Walking Dead, purtroppo in quel periodo sospesa anche essa per il Covid. Poi, ho guardato un capolavoro tratto da un manga giapponese come Death Note che era tempo che volevo recuperare e finalmente son riuscito a finire.
Quali sono, invece, gli artisti (attori, registi) che ispirano la tua arte?
Come attori Tim Roth, Steve Buscemi e spesso anche Paolo Rossi ( con cui ho lavorato e faceva parte anche lui dei primi Comedians). Come registi (Salvatores a parte) mi ispirano Sorrentino, Matteo Garrone, Milos Forman, Kim Ki-Duk, ma davvero ce ne sarebbero troppi da nominare. Sicuramente come registi teatrali devo tanto a Ferdinando Bruni e Elio De Capitani con cui tanto è iniziato da quando vivo qui al Nord.