Intervista a Maurizio Matteo Merli, regista de Il Tempo è ancora nostro
Intervista a Maurizio Matteo Merli, attore, sceneggiatore e regista che ha presentato a Venezia il suo Il Tempo è ancora nostro
Maurizio Matteo Merli – romano classe 1981, di formazione teatrale e figlio dell’attore Maurizio Merli, celebre per il film di genere poliziesco anni Settanta – ha presentato a Venezia il suo Il Tempo è ancora nostro. Patrocinato dalla FIG (Federazione Italiana Golf Terre dei Consoli), PGA (The Professional Golfers Association of Italy) e dal Coni (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), racconta la storia di amicizia tra Tancredi e Stefano, interpretati rispettivamente da Ascanio Pacelli e Mirko Frezza. 1989: Stefano ha 12 anni, vive nelle case popolari ed è orfano di madre, mentre Tancredi, suo coetaneo, è di estrazione borghese e orfano di padre. Pur essendo ai poli opposti, ad unirli vi è la passione per il golf e il sogno di giocare sui campi più importanti. Passano gli anni e arriviamo ai giorni nostri e mentre Tancredi è un uomo di successo ma solo apparentemente realizzato, soprattutto dal punto di vista personale, Stefano conduce un’esistenza sempre più al limite. Sarà ancora una volta il golf a determinare le fila del loro destino.
FilmPost ha incontrato Maurizio Matteo Merli in un’intervista alla scoperta de Il Tempo è ancora nostro, della sua passione per il cinema, la scrittura e la recitazione, della sua formazione e del rapporto con il padre. Il Tempo è ancora nostro, di cui Maurizio Matteo Merli firma anche soggetto e sceneggiatura, arriverà in sala nel 2023. Nel cast, insieme a Pacelli e Frezza, anche Antonello Fassari, Miguel Gobbo Diaz, Simone Sabani e Viktorie Ignoto.
Intervista a Maurizio Matteo Merli, regista e sceneggiatore de Il Tempo è ancora nostro
Il Tempo è ancora nostro, film di cui sei regista e la cui uscita è prevista per il 2023, è una storia sull’amicizia e sul golf. Da dove è nata l’idea per il soggetto?
Il Tempo è ancora nostro ha una genesi antica. Ho scoperto il golf in maniera del tutto casuale. Avevo dei pregiudizi anche io, capirai, passavo dalla boxe, al calcio, alle motociclette, poi ho scoperto uno sport fantastico. Uno sport che mette alla prova fisicamente e mentalmente. Tanto che in un percorso di 18 buche succedono talmente tante cose che, metaforicamente, si possono applicare alla vita. Poi nel 2023 Roma ospiterà l’evento di golf più importante al mondo, la Ryder Cup, e mancando un prodotto audiovisivo che accompagnasse l’evento ho pensato di farlo io. Siamo il primo film sul golf in Italia e ringrazio la Federazione Italiana Golf ed il presidente Chimenti che ci accompagnerà in quest’avventura con il patrocinio anche del Coni.
I due protagonisti del film, Tancredi (Ascanio Pacelli) e Stefano (Mirko Frezza), provengono da mondi apparentemente molto distanti. Il primo ricco, borghese, frivolo e infelice. Il secondo povero, trasandato, dipendente. Cosa permette a questi due poli opposti di incontrarsi? Cosa li accomuna?
Il Tempo è ancora nostro ha il pretesto del golf ma racconta una storia dove l’aspetto sociale e dei valori ha il sopravvento, così la scelta del cast è divenuta non più un nome da mettere in cartellone ma attori che raccontassero quei personaggi anche fuori dallo schermo. Ascanio Pacelli e Mirko Frezza, anche fuori dal set, sono due pianeti distanti anni luce ma che hanno nella pancia alcuni punti in comune che abbinati allo sport, il più grande aggregatore sociale che esista, diventano quasi complementari.
Come la scelta di Antonello Fassari e Miguel Gobbo Diaz, che racchiudono un po’ ambedue i mondi, dando un valore aggiunto clamoroso. Ho un cast che è una bomba! Già nel tempo passato a Venezia per la presentazione al Festival del Cinema sembravamo una famiglia strampalata.
Oltre ad essere regista e sceneggiatore, hai all’attivo numerosi ruoli come interprete fra teatro, televisione e cinema. Cosa significa passare dietro la macchina da presa?
Ho fatto l’attore per vent’anni e magari continuerò a farlo, ma in realtà mi sentivo incompleto. Passare dietro la macchina da presa e scrivere è stata un’urgenza. Ho 41 anni e una vita complessa alle spalle. Esperienze dure che ho tenuto dentro di me senza condividerle con nessuno. Poi ho trovato il modo per esorcizzare la vita e tramutarla in storie. Stare dietro la macchina da presa è una grande responsabilità ma anche un grande privilegio. Un regista piò ragionare in cinque dimensioni, addirittura piegare lo spazio ed il tempo. Per questo ho ricominciato la gavetta dall’inizio, per formarmi. Registi non ci si improvvisa.
Maurizio Matteo Merli: “Sono stato attore prima che regista, con ogni attore il processo cambia”
Qual è il tuo rapporto con gli attori da te diretti ed in particolare con gli interpreti de Il Tempo è ancora nostro?
Ho un rapporto molto stretto con i miei attori. L’aspetto umano è al primo posto. Sono stato attore prima che regista, conosco i processi e so come portare i miei attori alla meta senza togliere loro l’orientamento naturale. Ogni attore è diverso e con ogni attore il processo cambia. C’è chi è più istintivo e chi arriva seguendo altri percorsi, io devo solo accompagnarli e rendere più comprensibili quei passaggi senza retorica. Mirko Frezza è meravigliosamente istintivo, Ascanio più riflessivo, Fassari un maestro e Miguel Gobbo Diaz un talento che dopo anni si conferma. Con ognuno di loro percorsi diversi che portano alla stessa meta.
Qual è il tuo rapporto con Roma?
Roma è la mia città ed è la più bella del mondo, con tutte le sue contraddizioni. Ho un rapporto troppo profondo con lei, non potrei mai vivere da un’altra parte. Amo salire sulla mia moto e girarla di notte con il rombo del motore come colonna sonora.
Cosa puoi dirci del corto Piazza Marconi?
Piazza Marconi è una meravigliosa anomalia che porta un corto girato con attori non professionisti o alle prime armi fino al Festival di Cannes con tante recensioni lusinghiere. Racconta uno spaccato di vita vera, una notte romana, un sogno lucido all’interno di una realtà divenuta incubo. Da Piazza Marconi nasce Il Primo degli Ultimi, che gireremo dopo Il Tempo è ancora nostro. Sono molto legato a questo cortometraggio, è stato il mio esame di maturità da regista.
Qual è la cosa più importante che pensi ti abbia trasmesso professionalmente tuo padre Maurizio?
Purtroppo ho vissuto gli anni difficili di mio padre, quelli dell’attore “incastrato” nel ruolo di commissario. Un peccato per lui e per il cinema “catalogatore”. Mi ha insegnato che questo mestiere ti porta alle stelle e con quella stessa facilità ti manda nell’oblio. Bisogna rimanere con i piedi ben piantati a terra e lavorare sodo con tanta professionalità e rispetto.