Agent Elvis: la recensione della nuova, folle serie animata Netflix
Dopo il film di Baz Luhrmann, Elvis Presley torna sotto i riflettori nella veste inedita e irriverente di una spia dal grilletto facile. Su Netflix dal 17 marzo
Creata da Priscilla Presley e John Eddie e prodotta da Sony Pictures Animation (Spider-Man – un nuovo universo), con le voci, tra gli altri, di Matthew McConaughey e Don Cheadle, Agent Elvis è la nuova serie animata di Netflix, disponibile dal 17 marzo sulla piattaforma. Un trionfo dell’assurdo irriverente ed esilarante che cavalca l’onda lunga del successo dell’Elvis di Baz Luhrmann inventandosi un lato del leggendario cantante di Memphis inedito e a dir poco improbabile.
Ambientata a cavallo tra gli anni sessanta e settanta – all’inizio, cioè, della seconda parte della carriera del Re del rock ‘n roll – Agent Elvis segue infatti le avventure da spia del suo protagonista, tra festival hippy, guerra del Vietnam e complotti internazionali. Un viaggio colorato e psichedelico attraverso un’epoca e i suoi infiniti riferimenti pop che, senza essere eccessivamente dissacrante (almeno nei confronti del protagonista), guarda all’icona di Elvis con sguardo esilarante e originale.
Indice:
Trama – Agent Elvis recensione
1968. A poche ore dal suo celebre ritorno sulle scene nello speciale televisivo che ne rilancerà la carriera, Elvis Presley (Matthew McConaughey), assieme alla sua svampita controfigura Bobby Ray (Johnny Knoxville) e allo scimpanzé cocainomane Scatter, finisce per trovarsi coinvolto nei piani malvagi di Charles Manson e della sua Family. Niente più che un fastidio per il Re del rock n’roll, abituato com’è – scopriremo – a tirarsi fuori da impicci ben più grandi nella sua doppia vita da vigilante. Ma le cose si complicano con l’entrata in scena della spia CeCe Ryder (Kaitlin Olson) e del Comandante (Don Cheadle).
Membri del fantomatico TCB (The Central Bureau), un organo di intelligence segretissimo che da secoli muove da dietro le quinte i fili della storia americana e che conta tra i suoi agenti molte celebrità, i due chiedono infatti a Elvis di unirsi a loro. Sarà l’inizio di un viaggio che vedrà il cantante – ben determinato a salvare il paese “da hippy, caos e crimine” – al centro di un’oscura minaccia globale, forse misteriosamente collegata al suo passato. Tra Las Vegas, l’Africa, le Hawaii e lo spazio, in mezzo a pantere nere, complotti, inseguimenti e droghe psichedeliche, riuscirà l’agente Elvis a salvare il mondo e a tornare a Graceland dalla sua Priscilla?
Un Elvis di menare
Prendete un personaggio leggendario come Elvis Presley e infilatelo in un prodotto di genere a metà strada tra il “Bubba Ho-Tep” di Joe R. Lansdale e la serie animata Archer (il cui Mark Arnold, non a caso, figura anche qui tra gli autori). Aggiungete qualche calcio rotante, un tocco di psichedelia e una marea di cultura pop e avrete su per giù qualcosa come Agent Elvis. Una serie che gioca esplicitamente attorno all’icona del celebre cantante scaraventandola dentro una spy story apparentemente convenzionale ma con un certo gusto per l’assurdo e il politicamente scorretto capace di fare la differenza.
In dieci episodi dal ritmo incalzante prende così vita un vero e proprio tour de force fatto di volti e riferimenti pop, eventi storici e protagonisti di un’epoca entrata nell’immaginario tanto quanto Elvis stesso. Da James Bond alla controcultura, dall’allunaggio alla guerra del Vietnam, passando per incontri ravvicinati con Nixon, Howard Hawks, Timothy Leary e Paul McCartney, Agent Elvis punta così a farsi affresco irriverente, iper-violento e sopra le righe di un’intera epoca.
Il cult di cui avevamo bisogno
Arricchito da un cast di voci celebri e cammei inaspettati (Priscilla e George Clinton che doppiano se stessi), supportato da un’animazione che strizza l’occhio alla colorata e fumettistica bidimensionalità tipica dei prodotti del periodo, e, ovviamente, attraversato da una colonna sonora che spazia dalle canzoni di Elvis ad altri grandi successi del tempo, Agent Elvis ha l’immediatezza e l’irriverenza dei migliori titoli d’animazione della piattaforma e, insieme, quel pizzico di bizzarria che può fare di un prodotto di questo tipo un piccolo cult.
Una serie che parla a tutti, appassionati e non. Ricca di in jokes per i fan (il tiro al piattello coi televisori, le mosse di karate durante i concerti, i sosia…) ma anche di tutti i luoghi comuni del genere. Quello che ne esce è un mix che racchiude in sé Storia e parodia, azione e senso dell’assurdo. Con un Elvis dai molti pregi e i pochi difetti (le tendenze conservatrici, l’egocentrismo), in tutto e per tutto simile a un supereroe dei fumetti. Un omaggio non all’uomo ma all’icona inarrivabile e infallibile, capace di mischiarsi, proprio per questa sua natura, con i generi e gli immaginari più disparati.
Tra divertissement e biopic impossibile
Mentre gli episodi si susseguono in un crescendo di follia, dimostrandosi anche una bizzarra occasione per ripercorrere tappe fondamentali della vita del cantante (l’addestramento militare, il comeback televisivo, i film scadenti, Las Vegas, il concerto in mondovisione alle Hawaii), diventa così chiaro come la serie non sia solo un semplice divertissement idiota ma anche, in un certo senso, un biopic sui generis.
Una storia impossibile eppure capace di giocare col mito senza ribaltarlo o snaturarlo, riuscendo a essere omaggio anche in mezzo all’irriverenza e alla dissacrazione. È così che la serie si dimostra essere un prodotto solo all’apparenza lontano anni luce dall’opera di Luhrmann (che non a caso, nel cartoon, presta la voce al personaggio di un regista). Perché, in realtà, con il film con protagonista Austin Butler Agent Elvis condivide paradossalmente l’approccio. Quell’abilità nell’accostarsi a una materia fatta della stessa sostanza di cui sono fatti i miti e i sogni. Anche quelli a base di cazzotti e LSD.
Agent Elvis
Voto - 7
7
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Lati positivi
- Il tono dissacrante e parodico dell'operazione si dimostra più che coinvolgente
- I personaggi, i dialoghi e un azzeccato cast di doppiatori originali sono spesso divertenti e memorabili
Lati negativi
- La struttura convenzionale del racconto a volte cozza con lo spirito anarchico delle singole scene