Inside Out: l’importanza di essere tristi nel film d’animazione Pixar
Uno stravagante viaggio nella mente umana per comprendere come funzionano ricordi ed emozioni
Siamo la somma di ciò che ricordiamo e di ciò che scegliamo di dimenticare. A questa e altre considerazioni porta la visione di Inside Out, quindicesimo lungometraggio della Pixar Animation Studios. Nel 2015 la casa cinematografica ha deciso di ambientare un film nella mente di una bambina di undici anni. Grazie alla rappresentazione delle emozioni primarie, che diventano protagoniste del film, viene rappresentato il funzionamento dell’apparato emozionale nell’uomo. Inside Out consente allo spettatore un viaggio nella mente umana, attraverso le vie insidiose della memoria emotiva; con l’ausilio della rappresentazione animata, diventano tangibili le esperienze che, una volta registrate, costruiscono la personalità dell’individuo mattone dopo mattone. Inside Out, miglior film d’animazione agli Oscar 2016, è stato realizzato grazie al lavoro di un team di psicologi, che ha contribuito alla creazione dei personaggi che rappresentano le varie emozioni.
Il film è diretto da Pete Docter, già regista di pilastri dell’animazione come Toy Story, WALL-E e Up. In Inside Out le emozioni risiedono in una struttura orizzontale, che non prevede al suo interno alcuna disposizione gerarchica. Non esistono emozioni buone ed emozioni cattive, v’è soltanto un uso più o meno corretto delle stesse. Il film permette, attraverso una rappresentazione semplice e insieme sofisticata, la riabilitazione di emozioni socialmente non accettate. Invita a cogliere i segnali d’allarme che si annidano in sintomi e sogni, spronandoci a non sottovalutare qualsiasi manifestazione di un conflitto interiore. Il nemico, in Inside Out, è la tendenza dell’uomo a comprimere ciò che si muove dentro di lui; l’arma per sconfiggere il nemico è la trasformazione delle abitudini, che dalla chiusura porta alla manifestazione di qualsiasi disagio.
Indice
- Nella mente di Riley
- Le insidie della gioia
- Riconoscere la tristezza
- L’attitudine delle emozioni
- A cosa servono i ricordi?
- Alterità e sogni
- Immaginazione e astrazione
Nella mente di Riley – Inside Out
Riley ha undici anni, è appassionata di hockey e vive con i genitori nel Minnesota. Dentro la sua mente coesistono, in apparente armonia, le cinque emozioni primarie: gioia, tristezza, rabbia, paura e disgusto. Grazie ai valori che la guidano, ai ricordi e ai legami affettivi, la vita della bambina procede serenamente. Un giorno, però, i genitori di Riley decidono di trasferirsi a San Francisco, sottraendo la ragazzina alla sua quotidianità e agli amici più cari. Come reagisce Riley al rivoluzionamento forzato delle proprie abitudini? Quali emozioni prendono il sopravvento dentro di lei, a contatto con un ambiente ignoto e privo di certezze? Riley dovrà fare i conti non solo con una nuova vita, ma anche con le insidie della propria età e con il passaggio dall’infanzia all’adolescenza. La bambina dovrà forgiare per sé dei nuovi occhi, attraverso i quali mutare prospettiva sulla realtà che la circonda.
Un percorso che conduce a nuove, fondamentali, consapevolezze reca con sé non pochi sussulti. Riley, in Inside Out, si ritrova immersa in un mondo che minerà alcune sue certezze, e che la farà vacillare in più di un’occasione. Il conflitto interiore innesca la sua evoluzione emotiva, dopo la quale nulla sarà uguale a prima. Il passaggio all’adolescenza è uno spartiacque doloroso, conflittuale e di difficile comprensione. Mutano le esigenze profonde dell’individuo, che deve imparare a comunicare quelle esigenze all’esterno. Corpo e mente si predispongono alla ricezione di nuovi stimoli, demolendo così alcune resistenze pregresse. E poiché solo accettando la distruzione può avere inizio la ricostruzione, le emozioni di Riley faranno non poca fatica a rinascere. Nel percorso di crescita, infatti, si frappone un ostacolo ammantato di luminosità: è Gioia, che fagocita le altre emozioni e condanna Riley a un’impenetrabile stato di inerzia.
Le insidie della gioia – Inside Out
Gioia è la voce fuori campo dei primi minuti del film, colei che guida lo spettatore attraverso la mente di Riley. Leader del gruppo delle emozioni primarie, Gioia è una giovane dal corpo slanciato e dal colorito luminoso. Agile, scattante e un po’ sopra le righe, tenta di irradiare l’ambiente circostante con la propria positività. Troppo impegnata a diffondersi, però, Gioia appare incapace di aprirsi alla realtà circostante. È refrattaria a ciò che le altre emozioni tentano di comunicarle, e talvolta appare impermeabile alla negatività che si propaga nella mente di Riley. Il fare di Gioia risulta spesso stridente, e i suoi tentativi risolutori si rivelano fallimentari. Gioia non è aperta alla ricezione degli stimoli esterni, trincerata come è nella sua prigione di positività ostentata e, talvolta, artificiosa. Gioia crede di dover contare solo su sé stessa.
Da questa fallace certezza si origina il caos, che innesca disastri cui porre rimedio. Inside Out rappresenta un viaggio di formazione per Gioia, un iter di consapevolezza per un’emozione che si stima “migliore” delle altre. Le difficoltà che incontra Gioia sono una spia, e la faranno familiarizzare con i propri limiti; e sarà lei, a sorpresa, il principale ostacolo alla maturazione di Riley. La ragazzina ha appena vissuto una condizione di sradicamento, si sente sola e smarrita; se Tristezza pare accogliere questo stato d’animo di Riley, Gioia lo rifiuta e rimuove ogni traccia di negatività. Tale negatività, inascoltata e incapace di essere trasmessa agli altri, finisce per proliferare. Incapace di fiutare il pericolo, e cieca di fronte ai sintomi di insofferenza di Riley, Gioia sarà costretta a chiedere aiuto. L’esperienza vissuta da Gioia racconta le insidie della positività, quando questa non è una reazione spontanea alle circostanze.
Riconoscere la tristezza
Abbiamo bisogno di gioia e tristezza in parti uguali. Relegare la tristezza in un angolo, quando la stessa ci pervade, non fa che ritardare lo sviluppo emotivo. Di per sé, infatti, la tristezza è benefica, ci impedisce di barricarci dietro muri di glacialità. Ma la tristezza, come tutte le emozioni che ci rendono ombrosi, è socialmente poco accettata. Spesso, al fine di accogliere questa emozione, ci chiudiamo in noi stessi e mutiliamo la nostra sensibilità. La società rifiuta la tristezza, e l’individuo si trincera dietro una positività simulata, reprimendo le emozioni autentiche. La tristezza genera vergogna, paura di essere rifiutati. In Inside Out, Gioia crede di poter gestire in autonomia gli stati d’animo di Riley; così prova a emarginare Tristezza, disinnescando tutto il suo potenziale. Ma la tristezza, quando non è ascoltata, riesce comunque a farsi sentire. Così, nel momento di maggior smarrimento di Riley, Tristezza inizia a espandersi.
Invade lo spazio destinato alle altre emozioni e monopolizza la mente della bambina, diventando la protagonista del film. Tristezza è una donna piccola, priva di energia e incapace di ottimismo, che nasconde però saggezza e lungimiranza. Prova vergogna per la propria negatività, sembra temere il giudizio altrui; nel corso del film però acquisisce consapevolezza del proprio, fondamentale, ruolo. Gioia e Tristezza sono emozioni complementari e inscindibili, e l’equilibrio di Riley dipende dalla loro cooperazione. Grazie a Tristezza, infatti, Riley è soccorsa da chi ama, e impara ad accogliere l’aiuto esterno. Attraverso questa emozione la bambina comunica con la realtà circostante, impara l’empatia, la compassione e il desiderio fusionale. Quando veniamo alla luce lo facciamo con gioia, che rimane l’unica emozione per soli 33 secondi (momento in cui sopraggiunge la tristezza). Non soffriamo perché siamo tristi, ma perché ritardiamo il momento in cui accettiamo di esserlo.
L’attitudine delle emozioni – Inside Out
Insieme a Gioia e Tristezza, nella mente di Riley abitano Paura, Rabbia e Disgusto. Ognuno di loro protegge Riley da una minaccia, rendendola permeabile agli stimoli esterni. Paura è un uomo lungo e flessibile, con gli occhi fuori dalle orbite e addosso un costante senso di precarietà. Rabbia è invece basso e tozzo, ha un’aria rigida, granitica e impenetrabile. Disgusto, infine, è una donna elegante e molto schizzinosa; verde come il cibo che Riley odia di più (i broccoli), è tanto carina quanto attenta ad apparire gradevole. Qual è la precisa funzione di queste emozioni, nella mente di una bambina che si avvicina all’adolescenza? Ogni emozione rappresenta un atto di conoscenza, un mezzo per decodificare la realtà e sperimentarne le componenti. Ma le emozioni sono anche sottili schermi protettivi, spie che segnalano il cambiamento fuori di noi.
Dall’incontro tra realtà esterna e interna si genera il sistema emozionale dell’individuo. Ogni emozione sortisce un particolare effetto sul corpo, il quale muta nella postura, nei movimenti, nel comportamento e nelle espressioni. Il linguaggio del corpo racconta, tramite segnali più o meno decodificabili, la storia emotiva di ognuno di noi. La paura ci consente di fiutare le minacce concrete, e ci mantiene vigili al fine di preservare la nostra incolumità. La rabbia è invece generatrice di un’energia potenzialmente distruttiva, ma atta anche a oltrepassare gli ostacoli che ci allontanano da un obiettivo. Infine il disgusto ci difende da ciò che, ai nostri sensi, risulta poco gradevole, orientandoci invece verso qualcosa che possa appagare i nostri gusti e bisogni.
A cosa servono i ricordi?
Siamo fatti in buona parte di ciò che riusciamo a ricordare. Al contempo, però, siamo fatti di ciò che scegliamo di dimenticare, e che minaccia di riemergere nei momenti in cui siamo meno vigili. Infine siamo il prodotto delle nostre esperienze sgradevoli, e del bisogno di vestirle di una patina che le addolcisca. La memoria emotiva si combina costantemente con la nostra essenza, diventando padrona di parte delle nostre azioni e reazioni. Il mondo circostante ha una propria natura immutabile, ma nel penetrarci passa attraverso dei filtri: quei filtri sono i ricordi, capaci di alterare la nostra percezione sensibile. L’apparato della memoria, in Inside Out, è rappresentato da due realtà tangibili: i ricordi base e le isole della personalità. I primi si presentano come sfere colorate, e in ognuna è contenuta un’esperienza associata a uno stato d’animo; le seconde somigliano a microcosmi atti a strutturare l’identità di Riley.
Le isole della personalità (onestà, famiglia, passioni etc.) sono strutturate e alimentate dai ricordi base, e dalle emozioni che li permeano. Quando un ricordo gioioso, legato al nucleo familiare, è intaccato da Tristezza, l’isola della famiglia rischia di vacillare. Da ciò si deduce che i nostri valori non sono qualcosa che ci è dato alla nascita, e che rimane immutato nel corso dell’esistenza. Ciò in cui ci riconosciamo, e a cui scegliamo di votare la nostra vita, è il prodotto di esperienze vissute e del modo in cui le abbiamo elaborate. I ricordi sono l’anello di congiunzione tra le nostre origini e la nostra direzione: accogliere il prodotto della nostra memoria è il primo passo per la costruzione di un’identità solida. La memoria ci soccorre e ci radica. Ricordare è un atto creativo: non è l’esperienza in sé a determinarci, ma piuttosto l’emozione che a quell’esperienza abbiamo associato.
Alterità e sogni – Inside Out
Benché ambientato nella mente di Riley, Inside Out consente di entrare per breve tempo anche nella mente dei suoi genitori. Grazie alla rappresentazione delle emozioni di madre e padre della ragazzina, facciamo esperienza dell’alterità emozionale. Scopriamo, per esempio, che nella mente della madre le emozioni sono tutte donne; quella del padre, viceversa, è abitata solo da emozioni al maschile. Inoltre, se in Riley l’emozione dominante è, in un primo momento, Gioia, per i genitori il discorso è diverso. Nella madre infatti prevalgono tristezza e paura, mentre nel padre abbonda la rabbia. Quando i tre sono a tavola, e Riley sembra di cattivo umore, le modalità attraverso cui i due provano a connettersi con la figlia sono molto diversi: se la madre è vigile fin da subito, il padre rimane a lungo immerso nei propri pensieri.
La madre di Riley prova a instaurare un dialogo con la ragazzina, il padre passa invece con rapidità dall’indifferenza al rimprovero. Le emozioni predominanti generano personalità diverse e che faticano a comunicare; i tre componenti della famiglia dovranno trovare il modo per confrontarsi su un terreno comune, integrando le proprie esigenze con quelle del nucleo familiare nella sua interezza. Ma nel film c’è spazio anche per i sogni di Riley, sintomi di un passato che ancora non è stato elaborato. Quando è Riley è immersa nel sonno, il suo corpo abbassa le difese; è in quel momento che si ripresenta alla sua mente l’inconscio, nella forma di riproduzione alterata del passato. I sogni della bambina sono indizi, che la porteranno ad affrontare e rielaborare un passato irrisolto, che finisce per ingolfare il suo presente.
Immaginazione e astrazione – Inside Out
Uno dei personaggi cardine di Inside Out è Bing Bong, amico immaginario di Riley. Creatura di zucchero filato alla fragola, somiglia a un elefante ma ha in sé parti di un gatto e un delfino. Quando piange, poi, Bing Bong rilascia caramelle al posto delle lacrime. Da quando Riley è cresciuta, però, questa creatura tenera e ingenua è stata spodestata dal ruolo di protagonista, che aveva ricoperto per molti anni. Bing Bong si aggira tra gli scaffali della memoria di Riley con aria mesta e fare arrendevole. Il suo personaggio racconta bene il tipo di maturazione che la ragazzina si prepara ad affrontare. Bing Bong è il sindaco di Immagilandia, un luogo che Riley ha riempito di tutto ciò che ha desiderato da piccola: patatine fritte, giocattoli, nuvole e trofei. Come cambia il rapporto con l’immaginazione durante la crescita?
Riley ha bisogno di prepararsi ad affrontare la realtà da adulta, ma non deve per questo reprimere la sua immaginazione. La capacità di fantasticare sarà ciò che le permetterà di rintracciare Gioia, anche quando sarà immersa nello sconforto. Ma, per compiere il suo processo di maturazione, la creatività di Riley deve evolversi. Bing Bong rappresenta l’astrazione dalla realtà propria dell’infanzia; tale tendenza all’astrazione, nel passaggio all’età adulta, va riconvertita ed educata. L’amico immaginario di Riley rappresenta qualcosa che la àncora a una realtà artefatta, in cui persino il dolore può assumere forma e gusto di caramella. La ragazza ha invece bisogno di svincolarsi da questa gabbia di zucchero filato e pasta colorata, per trasformare la propria immaginazione in creatività. La fantasia di Riley, d’ora in avanti, non rappresenterà il mezzo di fuga dalla realtà, ma la via creativa per sperimentare ogni aspetto della stessa.