Wolf Call – Minaccia in alto mare: recensione del film francese
Recensione del film francese con Omar Sy e diretto da Abel Lanzac
Wolf Call – Minaccia in alto mare: recensione. Abel Lanzac, pseudonimo dello scrittore francese Antonin Baudry, scrive e dirige Wolf Call (Le Chant du Loup), sua opera prima, distribuita da Adler Entertainment. Un esordio interamente prodotto in Francia, ambizioso e dal budget inaspettatamente alto (oltre 20 milioni) per un regista dalle credenziali interessanti. Ex Diplomatico, consigliere culturale, fumettista; nel cinema si evidenzia per la firma sulla sceneggiatura di Quai d’Orsay di Bertrand Tavernier, commedia tratta dall’omonima graphic novel ideata dallo stesso Lanzac assieme a Christophe Blain. Il suo lavoro fumettistico ha ricevuto alcuni riconoscimenti fra cui il Premio Attilio Micheluzzi per il miglior prodotto straniero al comicon di Napoli del 2013.
Questo thriller subacqueo stupisce, da subito, per due elementi fondamentali. Innanzitutto, per mezzi e messa in scena, fa dimenticare la provenienza europea e compete con la spettacolarità dei comuni prodotti hollywoodiani estivi, acquatici o meno, mostrando però un lato riflessivo non di secondaria importanza. L’altro elemento è il setting. Le pellicole di sottomarini tendono per natura a spaziare nell’orizzonte della Seconda Guerra Mondiale, eppure Lanzac dipana temerariamente gli eventi in un futuro prossimo. Ciò rende possibile interrogarsi su cose che oggi, in un mondo politicamente teso e tecnologicamente pericoloso, non fanno più parte del reame della fantascienza.
Indice
20.000 leghe sotto i mari
In un fragile contesto geo-politico in cui la Russia paventa l’invasione dell’Europa, il film catapulta lo spettatore in medias res. In Wolf Call il sottomarino nucleare delle forze militari francesi Titanum si trova in missione al largo delle coste Siriane per recuperare un manipolo di soldati durante uno scontro a fuoco. Fra l’equipaggio, il comandante Grandchamp (Reda Kateb), il suo secondo D’Orsi (Omar Sy) e il sottufficiale Chanteraide (François Civil). Quest’ultimo è l’orecchio d’oro, ovvero un’analista di guerra acustica. Grazie alle sue capacità si pone come occhi del mezzo: capta i suoni attraverso il sonar e tenta di classificarne l’origine, biologica o meccanica, allo scopo di identificarla con precisione.
Durante l’operazione, Chanteraide capta uno strano suono non appartenente a veicoli subacquei conosciuti, e lo attribuisce erroneamente al rumore di un capodoglio malato. Scampato il pericolo, in una delle sequenze più spettacolari della pellicola, il Titanum ritorna al porto di Brest (luogo di gran parte delle riprese). Qui il sottufficiale, colpito dal rimorso e interrogato dai suoi superiori, viene spinto dal caso in un vortice di eventi che minacciano la sicurezza globale e che si fanno ponte per un’interessante disamina sul ruolo del militare e della disciplina fra tensioni, paure e torbidi segreti.
Un concerto velato – Wolf Call Minaccia in alto mare recensione
Fra i punti più lodevoli di Wolf Call vi è il comparto sonoro che dimostra, anche per necessità narrativa, di essere di ottima fattura. La fusione tra forti tratti da kammerspiel, sequenze prevalentemente in interni e un protagonista con una caratteristica rara, l’orecchio assoluto, porta la pellicola a costruire brillantemente legami fra mente, occhio e udito. Attraverso numerosi primissimi piani e una suggestiva illuminazione all’interno del sottomarino, viene messa in risalto la fatica, il sudore, la responsabilità. In questo modo la qualità del suono permette alla pellicola di non rallentare nei passaggi scevri di dialoghi ma anzi di costruirvi sopra il proprio apogeo di ansia e pericolo. Un’atmosfera asfissiante che non nasconde richiami a classici del genere come Caccia a Ottobre Rosso di John McTiernan e U-Boot 96 di Wolfgang Petersen.
È magistrale l’abilità con cui il film francese riesce a rendere concettualmente fondamentale il rapporto fra visibile e invisibile. Il processo di modellazione del non visto, di concretizzazione in immagini del suono, che avviene nella mente di Cantheraide, prigioniero in una massa oscura, e dello spettatore si sovrappongono. La costruzione del livello di tensione è dunque sempre crescente. Un pericolo che non si vede preoccupa, fa tremare, ma al contempo incuriosisce, attanagliando gli animi in emozioni contrastanti. Questa necessità di dover prevedere l’ignoto non ha implicazioni solo in uno scontro militare, ma, nel prosieguo del racconto, viene posto come obbligo fondamentale anche a livello governativo e politico.
La ballata dell’eroe
Il canto del lupo indica il suono di un sonar nemico, ed è un’eco sublime: terribile ma indimenticabile che cambia chi lo ode. Quello di Wolf Call è un eroe non convenzionale quello che viene tratteggiato, lontano dal pensiero comune e dalle rappresentazioni del cinema di massa odierno. Non imbraccia armi, non combatte a mani nude, non indossa costumi né ha super-poteri; è un guerriero silenzioso, preparato, intelligente e fondamentalmente statico, non fondato sul classico moto, carismatico e carico di testosterone, volto all’azione spoglia di qualunque riflessione o implicazione morale. Ed è proprio sul piano etico e deontologico che si svolge parte della vicenda, sopratutto quando entra in gioco l’ammiraglio comandante, denominato ALFOST, interpretato da un ottimo Mathieu Kassovitz.
Questo personaggio conduce le redini, fa scelte scomode e si interroga sulla sua integrità. Nel momento in cui una catastrofe globale è alle porte, sia per una dichiarazione di guerra o per un errore di valutazione di un singolo individuo, è giustificato infrangere le regole? Il soldato forte, competente ma sensibile al dramma umano, combatte costantemente con il dualismo fra il sistema e il proprio cuore. Burocrazia e istituzioni sono la base di una società, eppure queste, eccessivamente meccanizzate e generalizzanti, non tengono conto di situazioni differenti. Spesso, la storia insegna, l’anima del valoroso ha percezioni superiori rispetto alla rigidità e disumanità dell’ordine costituito. Deve prendere decisioni pesanti, anche a costo di ritrovarsi a combattere contro i propri fratelli.
Considerazioni finali – Wolf Call Minaccia in alto mare recensione
Wolf Call – Minaccia in alto mare è, senza dubbio, una delle poche sorprese di questa calda stagione. Non tutto il suo complesso funziona però a dovere. A livello di narrazione taluni passaggi sono poco credibili e alcune coincidenze, per quanto utili a favor di trama, non convincono. Allo stesso modo, le sequenze a terra stonano con la potenza visiva dei momenti a bordo del Titanum. Nonostante un cast d’eccezione ben diretto, molti personaggi risultano semplice contorno, soldati per fare numero, e non vengono mai approfonditi adeguatamente. In particolare, vuota e trascurabile è la storia d’amore, inserita a forza come immancabile cliché ma senza i giusti tempi e spazi.
Le Chant du Loup si concretizza dunque come un oggetto imperfetto, ma che sorprende per la forbice fra provenienza e risultati. Ponendosi come risposta ai blockbuster americani estivi, riesce a mantenere una giusta dose di equilibrio fra spettacolo e approfondimento di tematiche quanto mai attuali e care ad un uomo che prima che cineasta è stato politico internazionale. L’impianto scenico non è solo bello ma anche credibile, parte delle sequenze sono girate in veri sottomarini francesi e le riprese subacquee lasciano spazio ad alcuni scorci mozzafiato. Lì l’uomo e la macchina si toccano, si sfiorano, si guidano, come fossero animali diversi nello stesso mare.
Wolf Call - Minaccia in alto mare
Voto - 7
7
Lati positivi
- Ottima prova di forza del cinema europeo
- Visivamente sorprendente
- Divertimento e riflessioni sono ben bilanciati
- Lavoro tecnico e concettuale sull'acustica di rilievo
Lati negativi
- Trama non sempre credibile o ben costruita
- Parte dei personaggi senza spessore
- Storia d'amore scarna e inutilmente forzata