Bardo: recensione del nuovo film di Alejandro Inarritu – Venezia 79
Dopo 7 anni da The Revenant, Alejandro Gonzalez Inarritu presenta a Venezia il suo nuovo film "autobiografico"
Bardo: la cronaca falsa di alcune verità o semplicemente Bardo, di cui vi proponiamo la recensione, è il nuovo progetto di Alejandro Gonzalez Inarritu presentato alla 79 mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Prodotto da Netflix, il film è uscito a 7 anni di distanza dal suo ultimo lavoro, The Revenant con Leonardo di Caprio, che gli valse l’Oscar alla miglior regia. L’anno prima inoltre aveva vinto lo stesso premio per Birdman diventando quindi uno dei pochi registi ad ottenere due Oscar consecutivi. Arrivato ad un punto importante della sua carriera e, raggiunti quasi i 60 anni, anche della sua vita, il regista ha deciso di fare una sorta di punto della situazione con una pellicola estremamente complessa e atipica all’interno della sua filmografia.
Bardo è infatti un racconto autobiografico che lo stesso Inarritu ha preferito definire auto-fiction. Secondo il regista infatti i ricordi conservati nella mente sono sempre diversi dalla realtà e non esiste verità nella memoria. Tutto è reale e tutto è finzione, non a caso il film è definito come una falsa cronaca e ogni evento raccontato è messo in scena attraverso sequenze oniriche e sognanti. Non c’è quasi nulla di plausibile in Bardo eppure ciò che vediamo è la vita del regista, così come lui ha deciso di interpretarla. Gli uomini cercano da sempre di dare un senso alle cose e nel farlo cambiano la realtà, forse proprio perchè nulla ha un senso e tutto è frutto di interpretazione.
Indice
Il regista, l’uomo, l’ipocrita – Bardo recensione
Il protagonista del film è Silverio Gama, giornalista e regista documentaristico messicano che vive da anni negli Stati Uniti e quando stanno per conferirgli la più alta onorificenza per il suo lavoro decide di tornare in Messico e riscoprire tutto ciò che si era lasciato alle spalle. Sin dalla scelta dell’attore è chiaro il riferimento ad Inarritu, che fisicamente assomiglia a Silverio, stesso discorso per il premio (Oscar) e la vita passata in America. Fin dalle prime fasi del film si capisce quindi che per quanto il tutto sia surreale e grottesco ciò che stiamo guardando è la vita del regista, una vita costellata di successi su cui grava però un forte senso di colpa. È il figlio di Silverio infatti a far notare la forte ipocrisia del padre, che cerca in tutti i modi di fargli apprezzare il Messico nonostante sia stato il primo ad abbandonarlo. È questa stessa ipocrisia che lo spaventa prima di fare le interviste, per paura che qualcuno possa rivelare al mondo ciò che è realmente.
Un immigrato di prima classe (così viene definito), un uomo che non ha dovuto attraversare il deserto per arrivare in America e che una volta arrivato ha trovato il successo. Un documentarista che fa luce sulle infinite traversate dei migranti, senza mai aver provato sulla propria pelle la sofferenza ed il dolore sperimentato da quelle persone. Un messicano che vive negli Stati Uniti e critica gli Stati Uniti per lo sfruttamento della stessa terra che lui è stato incapace di apprezzare e da cui è fuggito. È Inarritu in primis a condannarsi e fare luce sulle sue stesse contraddizioni mettendo in scena un uomo brillante, ma dilaniato dal senso di colpa e dal successo che lo ha reso una star agli occhi del mondo, un ipocrita per la sua patria e assente per la sua famiglia.
Un sogno lungo 3 ore – Bardo recensione
Bardo è un’unico flusso di coscienza, un continuo ragionare sulle scelte e gli errori commessi durante la propria vita passando da un momento all’altro senza interruzioni di sorta. Tutti gli eventi sono infatti rappresentati in maniera surreale, come fosse tutto un grande sogno e questo permette quindi di spaziare da un argomento all’altro con grande facilità. Si affronta la carriera, la vita personale, il cinema, la società messicana e quella americana volgendo anche numerose critiche, sempre però mettendo le mani avanti. Inarritu critica l’America ma non nega il successo e la fama che lo stesso paese gli ha regalato; fa luce sui problemi del Messico e ricorda allo spettatore che è stato lui stesso il primo a fregarsene. Persino la somiglianza con 8½ di Fellini è ravvisata in un dialogo in cui un personaggio parlando del documentario di Silverio lo definisce un plagio, pieno di scene oniriche senza senso e decisamente lungo.
L’ambizione di Bardo è quindi smorzata da una consapevolezza dei limiti che lo stesso regista evidenzia a metà della pellicola. Inarritu sembra quasi chiedere allo spettatore il permesso per fare un film del genere, un sunto di quello che è stato fino ad adesso attraverso uno stile insolito e difficile da digerire. Come già accennato in questa recensione, Bardo dura ben 3 ore e non è per nulla facile seguire tutto il discorso considerando il modo caotico in cui è messo in scena. Sono tante le sequenze di difficile comprensione, per non parlare di quando il tutto sembra non avere senso se non attraverso un’interpretazione estremamente soggettiva; ma nonostante questo viene difficile criticare la scelta di Inarritu che sembra abbia fatto un film più per sé stesso che per il pubblico.
Perso nel limbo – Bardo recensione
Il Bardo nella tradizione buddista è un limbo tra la morte e la reincarnazione, una sorta di dimensione sogno che è appunto lo spazio in cui Silverio si muove per tutto il film. Inarritu vuole fare un’autobiografia senza essere biografico, un documentario di finzione. La falsa cronaca di alcune verità è il suo modo per raccontare la vita senza raccontarla, o meglio raccontare eventi che altrimenti avrebbero tutt’altro significato. L’ennesima contraddizione di un film che racconta una realtà contraddittoria, un uomo contraddittorio, ipocrita e vittima della sua stessa ipocrisia. L’onirismo del film è poi messo in scena con una regia magniloquente, ricca di soluzioni creative e dimostrazione del livello raggiunto dal regista. Inarritu è ormai padrone del mezzo cinematografico e creatore di sequenze mozzafiato, con una cura maniacale di tutto l’impianto tecnico.
Nonostante i limiti del racconto, il lato meramente estetico e visivo è incredibile e da solo dona grande valore alla pellicola. Bardo è quindi un film lunghissimo, lento, a tratti senza senso, un film che parla del suo regista e dello stesso film che stiamo guardando elencandoci i difetti ed i pregi ancor prima che li si possa notare. È la summa della carriera e della vita del regista che (paradossalmente) con umiltà mette in scena un’opera ambiziosissima, consapevole del possibile ostacolo che potrebbe rappresentare per il pubblico. Nonostante tutto non possiamo fare a meno di commuoverci dinanzi alla dolcezza e alla magniloquenza di Bardo, che nel bene o nel male farà discutere e resterà un unicum nella filmografia del regista.
Bardo
Voto - 8
8
Lati positivi
- Impianto tecnico stupefacente
Lati negativi
- La durata e l'onirismo potrebbero rappresentare un limite per alcuni