Belfast: recensione del film di Kenneth Branagh – Roma FF16
Presentato alla Festa del Cinema di Roma, Belfast di Kenneth Branagh è un'autobiografia del regista in bianco e nero
Nel 2018 Alfonso Cuaron ci faceva rivivere le memorie della sua infanzia attraverso gli spettacolari bianchi e neri del suo premiatissimo Roma. Una storia a larghe tinte autobiografiche su uno spaccato di vita domestica in un quartiere di Città del Messico negli anni 70. Riesce a creare un qualcosa di molto simile l’irlandese Kenneth Branagh con il suo Belfast che vi racconteremo nella nostra recensione. Essenzialmente un’opera autobiografica, uno squarcio in bianco e nero sull’Irlanda del Nord del 1960, gli anni dei “troubles” tra cattolici e protestanti. Branagh si affida alla leziosità del monocromatismo per raccontarci le tinte scolorite di un periodo difficile della sua infanzia.
Attraverso gli occhi di un bambino di 9 anni di nome Buddy, il cineasta irlandese ci mostra la storia di un quartiere di Belfast minacciato dai conflitti tra cattolici e protestanti. In questa vicenda ricca di spunti autobiografici si incontrano ed intrecciano personaggi, amori, aspirazioni, paure; timori, vite e morti in un vortice di emozioni continue. Una pellicola che aspira al classico ma che allo stesso tempo colpisce per la sua cinematografia estroversa che va oltre il semplice esercizio di stile. La Belfast dipinta da Branagh è il rumore dei bambini che giocano ma anche il silenzio del coprifuoco serale; è il cielo persistentemente plumbeo e minaccioso, il rumore della guerra che bussa alle porte. Se siete curiosi di conoscere le nostre impressioni, proseguite con la nostra recensione di Belfast di Kenneth Branagh.
Indice:
Belfast, la recensione – La trama
Fine anni 60, Belfast, Irlanda del Nord. Una lotta intestina avvelena le viscere di una città fredda persistentemente sotto un cielo piovoso. Sono gli anni dei troubles, gli scontri tra protestanti e cattolici, l’odio per le minoranze, per la diversità di credo. Dio ci guarda e ci mette davanti ad un bivio come ammonisce in chiesa un prete protestante con un fare intimidatorio e minaccioso. Tutto si ripercuote su Buddy, un bambino di 9 anni che vorrebbe solo esistere per giocare, divertirsi e fidanzarsi con la compagna di scuola di cui si è innamorato. Parallelamente a questo c’è l’amore per il cinema e teatro, tutto ciò che insomma è finzione e gli consente di sradicare i piedi da terra volando con l’immaginazione e la fantasia su un oceano o in posti dove non esistono la violenza e la guerra.
Sullo sfondo di un cielo nero e sotto una pioggia insistente ed incessante, Buddy vive un’esistenza lacerata tra la voglia di fuggire e la paura di perdere tutto quello che gli è caro. Una famiglia in difficoltà economiche, un padre di sani principi ma sempre assente; una madre costretta a crescere da sola due figli. Questo lo spaccato di vita quotidiana che ci viene raccontato da Kenneth Branagh, scrittore e regista di questa sua opera essenzialmente autobiografica. Ma nonostante tutto sembri essere marcio ed andare in malora, c’è ancora un qualcosa di vitale e speranzoso in quella corsa sotto la pioggia di un bambino che continua a sentire e cantare le musiche dei film visti al cinema.
Belfast, la recensione -Breve analisi
Un po’ come accadeva in Jojo Rabbit di Taika Waititi e La vita è bella di Roberto Benigni, Belfast di Branagh ci racconta la violenza e l’odio visti dagli occhi di un bambino. Un’opera densa di significati ed emozioni; riflessioni con un occhio puntato ad eventi storici ma mantenendo sempre lo stile del racconto drammatico. Con un punto di vista strettamente personale, scevro da qualsiasi vezzo da reportage o documentaristico. É Kenneth Branagh che guarda se stesso e si racconta attraverso la sua stessa cinepresa dandoci uno squarcio di vita vissuta. Sebbene il film parta con la premessa dei troubles, la storia sviluppa in realtà le conseguenze dei conflitti sulla vita di Buddy e della sua famiglia.
Questo rende il film un lavoro estremamente personale e sentito come trapela d’altronde da ogni singolo fotogramma. I conflitti tra protestanti e cattolici vengono quindi messi in secondo piano; ci vengono mostrati inizialmente, sappiamo che esistono e che sono la causa di tutto ma non è questo quello di cui vuole parlare il film. La pellicola di Branagh infatti indugia sulle conseguenze della violenza tra gli uomini analizzando la vita di un quartiere, di una famiglia, di un bambino di 9 anni. Visioni diverse, priorità differenti, approcci diversificati. Ognuno vive a modo suo il conflitto, ma tutti soffrono ed hanno paura.
Belfast, la recensione – Aspetti tecnici
Dopo il remake di Omicidio sull’Orient Express prosegue la collaborazione tra il regista irlandese e il direttore della fotografia Haris Zambarloukos, autore di un lavoro a dir poco eccellente. La cinematografia di Belfast è forse uno degli aspetti più sorprendenti della pellicola di Branagh, che strizza l’occhio ai tecnicismi di Cuaron in Roma e di Hammerschmidt in Mank di David Fincher. Ma soprattutto è difficile non notare la forte ispirazione proveniente da Orson Welles; la composizione di scena oscilla dal classicismo di Quarto potere al surrealismo de Il processo. L’uso del grandangolo a diaframmi chiusi permette di avere una maggiore profondità di campo, utile in quelle molteplici scene con più elementi su vari livelli.
Diversi layers di racconto in una stessa inquadratura, personaggi visti contemporaneamente dentro e fuori una stanza, attraverso una finestra o una porta. Un frame dentro al frame in una ricerca e composizione geometrica degna di Henry Cartier Bresson. Un qualcosa a cui ci aveva già abituato il cinema di Welles e che ritorna frequentemente nei bianchi e neri di Belfast. Ci ha decisamente stordito la nitidezza dell’immagine, la lucentezza di quel bagliore sul volto di Buddy, la trasparenza e leggibilità delle ombre ed un contrasto visivo piacevole e mai stucchevole. Azzeccatissima anche la scelta di mischiare il colore del cinema e teatro al bianco e nero del reale, in un gioco di riflessi e montaggio che non tradisce mai lo spirito della cinematografia del film.
Belfast, la recensione – La fotografia come mezzo di espressione
Come dicevamo in apertura della nostra recensione, la cinematografia di Belfast non è solo un semplice esercizio di stile, ma diventa fondamentale soprattutto per veicolare le emozioni del protagonista. Non c’è solo il rigoroso classicismo a cui facevamo riferimento poco sopra con l’ispirazione alle lezioni di Welles e Bresson. C’è anche il dutch angle, la ripresa tilted, il punto di vista insolito dal basso e dall’alto, specie in quelle scene che cercano di comunicare drammaticità, presagio e paura. É la visione distorta che il piccolo Buddy ha del reale, quando la violenza arriva nel suo quartiere. Tutto funziona a meraviglia così come la malinconia di una soundtrack che ci racconta il ritmo della vita a Belfast.
Le nostre conclusioni
Le immagini iniziali e la sinossi ci avevano fatto sperare in un grande film conoscendo anche la bravura dietro la cinepresa di Kenneth Branagh. Dopo aver visto in anteprima Belfast alla sedicesima edizione della Festa del Cinema di Roma possiamo confermare le nostre sensazioni iniziali. Belfast di Branagh è una struggente opera autobiografica raccontata grazie ad un vividissimo monocromatismo. Un racconto di altri tempi, un salto indietro nella storia e nella memoria, la vita di una famiglia, l’infanzia di un bambino di 9 anni che vuole solo sfuggire alla violenza. Tanto da dire circa i contenuti di una storia che non ci ha mai annoiato nei circa 100 minuti di girato complessivo; il tempo giusto per un dramma come questo.
Kenneth Branagh si guarda e si racconta e lo fa splendidamente, piacendosi e facendosi piacere. Nello stile, nelle vicende, nei pensieri, nella forza vera e propria dell’immagine. Belfast funziona, diverte, stupisce, commuove. Ci mostra una storia fatta di contrasti, tra amore e odio, tra semplicità e complessità, tra vita e morte. Una storia dedicata a quelli che sono rimasti negli anni più sanguinosi, ma anche a quelli che sono partiti, e a quelli che alla fine si sono persi. Consigliamo a tutti la visione dello splendido lavoro fatto da Kenneth Branagh con Belfast, al cinema a partire dal prossimo 11 novembre.
Belfast
Voto - 8
8
Lati positivi
- Fotografia, colonne sonore e regia
- Storia
Lati negativi
- Solo qualche accenno ai troubles