BlacKkKlansman: recensione del film di Spike Lee

Le nostre considerazioni sul film vincitore del Gran Prix Speciale della Giuria a Cannes 2018

Il cinema ormai da sempre racconta la società. In particolare l’arte cinematografica fotografa il presente, che viene poi filtrato dall’occhio dell’autore, nel bene e nel male. Questo assunto, tanto semplice quanto fondamentale, rappresenta il punto di partenza di BlacKkKlansman, film di cui vi presentiamo la recensione. L’opera di Spike Lee, vincitore del Gran Prix Speciale della Giuria a Cannes 2018, è un film politco che riflette a sua volta sul ruolo propagandistico e politico della Settima Arte. Il secondo punto da cui passare per capire il prodotto nella sua interezza è poi il percorso artistico, lungo trent’anni, dello stesso Lee. Se con Roma Alfonso Cuaron si è aggiudicato il Leone d’oro a Venezia 75 con la sua personale Amarcord, Spike Lee, legandosi con un filo per certi versi invisibile al regista messicano, dà vita ad un’opera che racconta tutta la sua persona. Pur non realizzando un’opera su sé stesso.

BlacKkKlansman racconta, e citiamo testualmente,una “f*ttuta storia vera”. La storia di Ron Stallworth un giovane afroamericano che desidera diventare un poliziotto per servire il suo paese. Nella cittadina rurale di Colorado Springs negli anni ’70 essere un uomo di colore è già abbastanza difficile di per sé, figuriamoci se l’aspirazione è quella di essere un detective della polizia. Nonostante gli ostacoli iniziali, complice la presenza di superiori progressisti, Ron riesce ad ottenere un incarico come detective. Così fortemente motivato, il detective Stallworth, decide un giorno di fare qualcosa di impensabile, infiltrarsi nel Ku Klux Klan. Con l’aiuto del collega Flip Zimmerman (di origini ebraiche), Ron ammalia il Klan con le sue telefonate cariche di odio razziale. Flip invece presenzia agli incontri del gruppo locale dell’Organizzazione impersonando Stallworth stesso. Da questa indagine emergerà un folle piano.

Indice

Il ruolo del cinema nella società

Spike Lee affronta sin dalla scena iniziale il discorso relativo al ruolo del cinema nella società. Un uomo, intento a girare una sorta di spot pubblicitario, incita alla necessità di agire per “ripulire” la società americana dalla presenza degli afroamericani. Impedire che la “razza” americana venga “contaminata” dai matrimoni misti. Qui il regista riflette sul discorso metafilmico su due piani distinti ma sovrapposti nell’immagine. Il primo vinee ritratto “sullo sfondo”. Dietro l’uomo vengono proiettate alcune scene di Nascita di una Nazione di D. W. Griffith. Pioniere del cinema agli inizi del ‘900 che ha contribuito in massima parte allo sviluppo del linguaggio cinematografico. Eppure Griffith, sudista convinto, era uno strenuo sostenitore dell’inferiorità degli uomini di colore, ubriaconi e stupratori. Una minaccia da cui gli USA dovevano assolutamente liberarsi. Nel suo film la patria assediata da questo morbo nero è liberata da un “eroico” Ku Klux Klan.

Quella di Griffith fu un’opera tanto fondamentale quanto agghiacciante per il messaggio che veicolava. Si vede poi un altro film scorrere, è Via col vento. Altra opera di grandissima importanza per la storia del cinema-mezzo. Nelle immagini Rossella O’Hara cerca in uno sterminato campo pieno di soldati feriti il suo amato mentre una bandiera sudista sventola con fierezza in primo piano. Spike Lee riflette su come queste opere cinematografiche, che ebbero un grandissimo successo alla loro uscita, possano aver condizionato l’immaginario collettivo, creando falsi miti, anzi mostri. Il secondo piano mostratoci nella scena iniziale riflette ancora sul cinema-mezzo. L’uomo che pronuncia quelle parole cariche d’odio per lo spot, ci viene mostrato mentre nei “fuori onda” impreca perché non ricorda le battute dà recitare. Lee insomma ci fa capire, con un abile gioco di montaggio, che l’uomo è nient’altro che un buffone intento spesso ad interpretare una parte.

L’odio razziale – BlacKkKlansman, la recensione

Molte volte nel corso del film i due piani metafilmici si rincontreranno dopo la prima scena, in un continuo processo di approfondimento e sviluppo. Con l’espediente del “fuori onda” Spike Lee mette subito in chiaro una cosa, non c’è persona più ridicola del razzista. Svariati membri del KKK in BlaKkKlansman ci vengono presentati come sciocchi bifolchi senza cultura. Così fiero quanto demenziale appare il leader nazionale del Klan, David Duke. Le sue parole non sono feroci, ma l’odio per il diverso è insito in lui e lo ha instupidito. Il regista infatti lo inquadra e lo fa muovere sempre sul filo di una demenzialità, certo trattenuta, ma che ne sottolinea l’idiozia.

Il film ragiona sul razzismo in maniera molto matura. Lee è sempre stato passionale e irruento nella difesa del popolo afroamericano ma qui, complice la saggezza che i suoi sessanta anni passati gli hanno donato, riflette maggiormente. Ne esce fuori una critica ponderata che non lesina nel mostrare anche l’estremismo opposto alla supremazia bianca. I personaggi di colore, anzi i “suprematisti neri”, sono resi in maniera assai caricaturale e stereotipata. Movenze, abiti e pettinature dei figli dei black panther risultano molte volte soggetti ad un’omologazione estrema. Un vero e proprio teatro dell’assurdo quello che vediamo in BlacKkKlansman, ma una sapiente regia e messa in scena ci calano perfettamente in questo mondo fatto di estremi. Ne vieni fuori una pellicola, più che comica, ironica dove Spike Lee cerca di farci capire che non esistono risposte semplici a domande tanto complesse.

Blackkklansman recensione

BlacKkKlansman, Blumhouse Productions, Monkeypaw Productions, Perfect World Pictures, QC Entertainment

I personaggi – BlacKkKlansman, la recensione

John David Washington interpreta il protagonista Ron Stallworth. Un personaggio indubbiamente forte che riempie lo schermo con quella suo pettinatura afro, le sue parole pronunciate in modo deciso e la sua voglia di essere diverso, giusto. Giusto perché desidera fare il detective di polizia, per difendere la legge, indagando sui suoi “fratelli”, oltre che sul Ku Klux Klan. Eppure sembra essere un personaggio riuscito a metà. L’intento iniziale di Spike Lee sembra quello di dire che le persone migliori non sono bianche, nere o gialle, sono quelle che usano il cervello. E il detective Stallworth usa bene il suo cervello, ma prevale il cuore, il suo cuore afro che lo riporta a divenire una figura caricaturale, perdendo così di spessore.

Più interessante appare il suo socio Flip Zimmerman (uno strepitoso Adam Driver). Flip ha origini ebraiche, ma non sembra essersene mai reso conto. Solo quando inizia a partecipare alle riunioni del Klan inizia a prendere coscienza delle sue vere origini. Di quanto sia fortunato, di quanto il suo popolo abbia sofferto per la ferocia di individui avidi e stupidi. Ne viene fuori un personaggio, che lungi dal bramare vendetta incondizionata, dà veramente valore alle persone per quelle che sono. È lui, un po’ inaspettatamente, il vero fulcro del Lee-pensiero in BlacKkKlansman.

Adam Driver

BlacKkKlansman, Blumhouse Productions, Monkeypaw Productions, Perfect World Pictures, QC Entertainment

BlacKkKlansman e Spike Lee – BlacKkKlansman, la recensione

Impossibile non sottolineare in questa recensione come BlacKkKlansman rappresenti anche un sunto dell’artista Spike Lee, a partire dalla regia. Sono presenti le inquadrature sghembe che aveva utilizzato sapientemente in uno dei suoi migliori film, Fa la cosa giusta del 1989; inquadrature che si rifanno a sua volta ad uno dei suoi film preferiti, il capolavoro del genere noir Il terzo uomo di Carol Reed. C’è poi la tensione derivante dall’utilizzo di lunghe carrellate già sperimentate nel suo grande action Inside Man.

E ancora ci sono quei discorsi ricchi di pathos riprese dal basso, come in un altro suo film che parlava dell’America nera, Malcom X. Discorsi alla folla reinventati qui in una chiave più disillusa ed inquietante. Inoltre Lee parla all’America degli afro-americani riappacificandosi con il cinema blaxploitation. Quel cinema di “serie-b” fatto da neri per gente nera che gli stessi intellettuali di colore odiavano. Spike Lee stesso ripudiava quel genere di cinema in gioventù e recriminò a Tarantino di averlo utilizzato come base per Jackie Brown, accusandolo di razzismo. Insomma in questo film il regista guarda indietro alla sua carriera, sembra far pace con i suoi demoni, sembra tornare alle radici e al cinema classico che lo aveva ispirato.

Blackkklansman recensione

BlacKkKlansman, Blumhouse Productions, Monkeypaw Productions, Perfect World Pictures, QC Entertainment

Considerazioni finali – BlacKkKlansman, la recensione

BlackKklansman di Spike Lee è sicuramente un film da vedere, perché è un’opera atipica, di quelle che raramente si possono vedere. Sapiente regia, dialoghi coinvolgenti ma con una sceneggiatura non chiarissima. Le premesse iniziali del film si perdono man mano per poi arrivare ad un finale troppo sbrigativo che sembra smentirle tutte. Se la parte iniziale doveva essere un “riassunto” della visione di Lee del mondo filtrata con intelligenza e logica, il finale torna ad essere quello che non sembrava dover essere. Le cose non sono cambiate da quando negli anni ’70 Ron Stallworth combatteva il KKK. Ma allora chi ha ragione? Il popolo afro-americano deve combattere con le armi questa battaglia? A prescindere dal colore della pelle l’importante non è essere persone di buon senso? Queste sono domande che si aprono nel finale e a cui è lo spettatore a dover dare risposta.

Allora torna il cinema di protesta? Torna il ripudio per la blaxploitation? Si ha l’impressione che nel momento decisivo il film non dia una risposta e torni ad essere un film di emozioni. Pensato e realizzato anche per arrivare ad un più vasto pubblico. Non che questo sia in nessun modo un male, anzi, ma contraddice l’assunto di partenza. Autore che dà risposte o popolare cineasta di protesta? Un’impostazione dicotomica che potrà piacere ad alcuni e ad altri no, si chiude così la nostra recensione di BlacKkKlansman, che con tutte le sue contraddizioni rimane un ottimo film.

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BlacKkKlansman

Voto - 7.5

7.5

Voto

Lati positivi

  • Regia, Fotografia e dialoghi
  • Originalità

Lati negativi

  • Finale troppo sbrigativo

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