Blonde: recensione del film di Andrew Dominik con Ana de Armas – Venezia 79
In Concorso a Venezia 79 e dal 28 settembre su Netflix, Blonde di Andrew Dominik è un biopic tragico e morboso con protagonista una Ana de Armas straordinaria e intensa
Blonde, biopic scritto e diretto da Andrew Dominik basato sull’omonimo romanzo di Joyce Carol Oates, di cui vi proponiamo la nostra recensione, è stato senza ombra di dubbio uno dei film più attesi della 79ª Mostra del Cinema di Venezia. Ana de Armas, astro sempre più luminoso nel panorama hollywoodiano, è Marilyn Monroe in un film disturbante, rischioso, viscerale. Sono 22 i milioni di dollari investiti da Netflix per un progetto che ha richiesto a Dominik 5 anni di tempo spesi alla ricerca dell’interprete perfetta. Con escluse eccellenti, attrici del calibro di Jessica Chastain e Naomi Watts. Nel 2019 il ruolo – e il confronto con la diva per eccellenza – arriva nelle mani dell’attrice cubana che, in una parabola decisamente crescente, si è fatta notare in film come Blade Runner 2049 di Denis Villeneuve, Cena con delitto di Rian Johnson e No Time To Die di Cary Fukunaga. È una performance totale quella di Ana de Armas, che ha ricevuto 14 minuti di applausi alla prima del film a Venezia e che continuerà a far parlare di sé nella lunga strada che porterà agli Oscar 2023.
Andrew Dominik traspone per il grande schermo il corposo romanzo di Joyce Carol Oates e confeziona un film che sfida chi guarda, un film brutale e doloroso, che parla della dualità fra Marilyn e Norma Jeane e racconta la donna e l’attrice dal 1933 fino al 1962. Si parla di padri assenti e di madri folli, di industria cinematografica carnivora, di amore e di disperazione in Blonde, un film volutamente eccessivo, iper-ricercato e sovrabbondante. Un film brutale e morboso, che rimaneggia la definizione di biopic e che – nel bene e nel male – stupisce, provoca, quasi stordisce. Blonde (qui il trailer) arriverà su Netflix il prossimo 28 settembre, di seguito la sinossi ufficiale. Tratto dal romanzo di successo di Joyce Carol Oates, Blonde ripercorre audacemente la vita di una delle icone intramontabili di Hollywood, Marilyn Monroe. Dalla sua infanzia precaria come Norma Jeane, fino alla sua ascesa alla fama e agli intrecci sentimentali, Blonde confonde i confini tra realtà e finzione per esplorare la crescente divisione tra il suo io pubblico e quello privato.
Indice:
Daddy – Blonde recensione
Avviando questa recensione di Blonde occorre sottolineare e specificare come il film di Andrew Dominik – esattamente come il romanzo di Joyce Carol Oates da cui è tratto – non sia in alcun modo la biografia ufficiale di Marilyn Monroe. Dominik ci racconta il personaggio e la persona, la star e la donna, Marilyn e Norma Jeane. Ma soprattutto Norma Jeane, fin dall’infanzia. Un’infanzia segnata da mancanza, traumi e abbandono, con una figura paterna misteriosa, mitizzata e assente e una madre per cui la maternità è stata una condanna, un punto di non ritorno, con tutto un portato di pene da far scontare a colei che ha convissuto per tutta la vita con la colpa di essere stata messa al mondo, non voluta. Ed è per queste ragioni che Norma Jeane, per tutta la vita, ha cercato in ogni uomo la figura paterna. In tutti quegli uomini cui lei si rivolgeva chiamandoli affettuosamente e disperatamente “Daddy” e che, chi più chi meno e sia sul fronte privato che sul versante professionale, l’hanno sempre consumata, umiliata, sfruttata, abusata.
Andrew Dominik ce li mostra nella loro natura di mostri, figure terribili la cui minaccia è accentuata visivamente dalla scelta in determinato momenti di un formato in 4:3. Dominik percorre altresì la via dell’estremizzazione muovendosi continuamente in un binario fra sogno e realtà, in una dimensione sospesa e straniante che diventa particolarmente accentuata e insistita in quella fase della vita di Marilyn segnata dalla dipendenza da farmaci. Il (non) rapporto con il padre segna la vita di Norma Jeane e dà una delle impronte narrative fondamentali del film sin dall’inizio. È proprio questa, infatti, una delle tematiche principali di Blonde, portata avanti come un tragico fil rouge fino ad arrivare a quello che è uno dei passaggi più intensi e struggenti del film, che coincide con uno dei picchi più alti della già straordinaria prova di Ana de Armas.
Come carnefici – Blonde recensione
Non vi è riguardo nello sguardo di Andrew Dominik, in un film in cui nulla è risparmiato e in cui noi che guardiamo proviamo una costante sensazione di disagio dall’inizio alla fine. Perché se non vi è riguardo nello sguardo di Dominik, non c’è nemmeno nel nostro. Il disagio scaturisce dalla posizione in cui Dominik ci costringe a stare: avidi osservatori, indiscreti e crudeli, come carnefici. Come quelli stessi carnefici – che siano pezzi grossi dell’industria cinematografica o compagni di un tratto di vita di Norma Jeane – che divorano Marilyn e di lei si appropriano come predatori famelici davanti a un pezzo di carne. Dominik, oggettivamente esagerando in alcune scelte, ci colloca alla stregua di coloro che hanno banchettato avidamente su Marilyn Monroe. Lo sguardo del regista non è viziato dal maschilismo e la condanna è chiara, in un film che è un durissimo atto di accusa nei confronti dell’industria cinematografica e di un certo universo maschile, per non dire degli uomini in generale.
Blonde ci sfida, costringendoci a guardare da vicino, a violare, ad essere partecipi di momenti intimi e dolorosi, con la macchina da presa che letteralmente entra dentro Marilyn. E questa è una delle ragioni che, sicuramente, faranno di Blonde un film divisivo, fra chi riuscirà ad andare oltre il naturale senso di orrore provando a comprendere la ragione profonda di certe scelte e chi, altrettanto legittimamente, vedrà in queste stesse scelte una profanazione non necessaria. Uno dei punti più problematici del film si riscontra proprio in uno di questi momenti di violazione ed ha a che fare con le gravidanze di Norma Jean. Dominik sente il bisogno di dar voce a un feto, in maniera eccessivamente morbosa, prestando il fianco a interpretazioni anche piuttosto problematiche e senza che questa soluzione visiva e narrativa abbia un vero e proprio scopo.
Ana de Armas – Blonde recensione
Ana de Armas, che nella conferenza stampa di presentazione di Blonde al Lido ha parlato di come abbia sempre sentito forte la presenza di Marilyn mentre girava, è artefice di una prova totale, talmente intensa da lasciare attoniti. Al di là della ricerca della somiglianza fisica – particolarmente difficile nel caso di specie, dato il marchio fortissimo di Marilyn – la prima cosa che colpisce è il lavoro straordinario svolto dall’attrice cubana su voce e accento. Sono diversi i momenti in cui si fa fatica a guardare de Armas negli occhi, a sostenere l’intensità dello sguardo della sua Norma Jeane, un po’ come è successo – almeno per chi scrive – con Brendan Fraser in The Whale.
Impressionante la capacità di de Armas nel restituire il passaggio repentino da Norma Jeane a Marilyn, come una maschera fulmineamente indossata, davanti a uno specchio poco prima di entrare in scena. Norma Jeane viene confinata in un angolo di dolore per lasciare spazio a Marilyn e Ana de Armas rende il tutto reale sullo schermo con maestria. Se Blonde ha oggettivamente alcuni problemi, de Armas da sola riesce a “compensare” tutto quello che manca al film, laddove è carente di delicatezza e persino, in certi passaggi, di sostanza. Si arriva a dimenticare addirittura che vi sono altri interpreti, in Blonde. Indicativo, quando fra questi altri interpreti ci sono Adrien Brody, impegnato nel ruolo di Arthur Miller, e Bobby Cannavale in quello di Joe DiMaggio.
In conclusione – Blonde recensione
Andrew Dominik scompone il suo biopic anche sul versante registico, stilistico e visivo. Taglia bruscamente, gioca coi filtri, passa frequentemente da un formato 4:3 al panoramico, alterna il bianco e nero al colore, per restituire la fotografia dell’epoca e soprattutto per rendere la dualità nella percezione di Norma Jeane/Marilyn. Indulge a tratti nell’esibizione dell’artificio, dando l’impressione di voler dare più spazio alla forma che alla sostanza e – come già accennato – la scena del feto che parla alla madre non è particolarmente riuscita, anzi. Perfette invece le musiche, curate da Nick Cave e Warren Ellis, che contribuiscono a ricreare quella dimensione sfumata tra sogno (o incubo) e realtà. Avviandoci verso la conclusione della nostra recensione di Blonde, riprendiamo una riflessione tratta dalle note di regia di Andrew Dominik, che sintetizza in qualche modo il sentimento di disprezzo che traspare nell’atto di accusa rivolto all’industria cinematografica e punta il dito anche contro chi guarda.
A partire, probabilmente, dallo sguardo dello stesso Dominik. “Come si pone una bambina indesiderata di fronte all’essere diventata la donna più desiderata del mondo? Deve dividersi a metà? Proporre un’immagine sfolgorante al mondo, mentre l’io indesiderato soffoca all’interno. E non è forse il cinema stesso una macchina del desiderio? L’abbiamo in qualche modo uccisa noi con il nostro sguardo?“. Blonde non mancherà di continuare a far parlare di sé, dividendo giustamente chi guarda. Quel che è certo è che, in qualunque modo lo si vivrà e qualunque cosa si proverà e penserà alla fine della visione, il film di Andrew Dominik non è di quelli con cui si fa pace facilmente, nel bene e nel male. È piuttosto di quelli che non si fanno dimenticare, da lasciar sedimentare e con cui imparare a fare i conti.
Blonde
Voto - 8
8
Lati positivi
- Ana de Armas è incredibile in una prova totale, straordinaria nel restituire con intensità e fragilità ogni singola sfumatura della sua Norma Jeane/Marilyn L'uso del bianco e nero alternato al colore per restituisce la fotografia dell'epoca e per mimare la dualità del personaggio di Norma Jeane/Marilyn
- Blonde è un film che sfida e turba, provoca chi guarda mettendolo in una posizione scomoda e disturbante
- Le musiche curate da Nick Cave e Warren Ellis contribuiscono ad accentuare la dimensione sfumata tra sogno e realtà in cui si muove il film
Lati negativi
- La morbosità dello sguardo che viene fatta propria dallo spettatore potrebbe risultare eccessiva per qualcuno e alcune trovate sono oggettivamente problematiche