“Borg McEnroe” di Janus Metz – Recensione
Il 9 novembre uscirà nelle sale italiane Borg McEnroe, il nuovo film del regista danese Janus Metz. Vi proponiamo in anteprima la recensione dell’opera che si è aggiudicata il Premio del Pubblico BNL alla Festa del Cinema di Roma 2017.
Le vicende reali
Innanzitutto Borg McEnroe nasce come produzione svedese, infatti il vero protagonista è Björn Borg: in Svezia il titolo della pellicola è semplicemente Borg. Il film narra della rivalità tra il campione svedese, freddo come il ghiaccio e macchina da guerra, ed il talento puro, l’estro e la sregolatezza di John McEnroe. Una delle più grandi rivalità del tennis. Borg e McEnroe si sono incontrati per la prima volta nel 1978, in un torneo di Stoccolma. Da lì in poi, nell’arco di pochi anni, i due hanno giocato l’uno contro l’altro ben 14 volte, vincendo esattamente 7 match a testa. Tra gli incontri che hanno disputato, alcuni sono entrati nella storia dello sport in generale: uno su tutti la finale di Wimbledon del 1980, quella raccontata dall’opera in questione.
Per diversi amanti del tennis e non, si trattò di uno dei massimi livelli di spettacolo sportivo a cui si potesse assistere. Quello che fece appassionare della loro rivalità, non fu tanto il talento o semplicemente l’essere numero 1 e 2 del mondo in classifica: da una parte vi era un carattere estremamente gelido, concentrato solo ed esclusivamente sull’evitare il fallimento, dall’altra l’estremo talento, ancor più giovane, che rischiava di scontrarsi con un carattere molto irascibile. E Borg McEnroe di Janus Metz fa di queste differenze le tematiche principali della pellicola.
Un grande cast
Per un’opera del genere, in cui raccontare una vicenda deve avere necessariamente dei forti punti di contatto con quella che è stata la realtà storica, le scelte in sede di casting sono fondamentali. Janus Metz seleziona due attori estremamente in linea con l’aspetto di Borg e McEnroe. Lo svedese Sverrir Gudnason – alias Borg – restituisce tutte quelle tendenze maniacali di un campione che fu tra i primi nella storia del tennis ad essere una vera e propria macchina da guerra. Sia mentalmente che fisicamente. La somiglianza è pazzesca. Lo è sicuramente meno quella di Shia LaBeouf con John McEnroe, data l’altezza notevolmente più bassa dell’attore. Ma anche questa scelta sembra allinearsi in toto con la direzione presa dal racconto: in questo modo, McEnroe assume dei tratti ancor più accostabili ad un carattere così estroverso per via dell’età. Messo nello stesso fotogramma con Borg, infatti, sembra ancora più piccolo.
Dietro la figura pubblica
Borg McEnroe è una pellicola pazzesca, per la maestria con cui Janus Metz racconta le fragilità, le insicurezze, le divergenze col mondo che si trova attorno ad un campione visto da tutti come l’uomo perfetto. Tutto quello che si insidia dietro la figura pubblica. Se si arriva ad un certo livello, a maggior ragione in sport di singola persona come il tennis, non è per caso. Il talento, nel tennis come nelle altre attività, non basta. Nel film vediamo a più riprese un Borg palesemente diverso nella fase adolescenziale: assai più impetuoso ed iracondo durante i match, proprio come McEnroe. «Tutto è qui, nella testa» gli dice diverse volte il coach. Eppure, col tempo, egli ha assunto una compostezza ed una dedizione verso la pratica dell’imbattibilità, che lo hanno portato ad essere per cinque volte consecutive il vincitore di Wimbledon.
Una regia “sportiva”
Janus Metz ricrea magnificamente quest’introspezione, di cui appena discusso, a livello di messa in scena, godendo dell’ottima sceneggiatura scritta da Ronnie Sandahl. Ma non è l’unica nota positiva in fase di regia. Partendo da sequenze mirate a sviscerare i dettagli degli attori, si arriva al grande sviluppo finale della pellicola: lo scontro tra Borg e McEnroe. In tutti i prodotti filmici volti a rappresentare storie sportive – che siano di finzione o basate su eventi realmente accaduti – bisogna saper cogliere le capacità specifiche degli attori di svolgere quella pratica, di essere coordinati. Altrimenti si perde di credibilità.
Metz è splendido nell’inquadrare per lo più Sverrir Gudnason, che effettivamente con la racchetta non se la cava male. Mentre per Shia LaBeouf, probabilmente meno bravo a destreggiarsi, o semplicemente destro invece che mancino, ricorre in aiuto un montaggio mozzafiato. Sono prerogative che un regista, alle prese col narrare vicende di questo genere, deve mettere in conto. E Metz è sinuoso in questo senso.
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Borg McEnroe, di Janus Metz: la Recensione - 9
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The Good
- In linea con gli eventi reali
- Regia "sportiva"
- Dietro la figura pubblica
- Un grande cast