Burning – L’amore Brucia: recensione del film di Lee Chang-dong
Uno sguardo al film in uscita a settembre in Italia
Sono moltissimi i titoli di spicco in uscita nelle sale italiane nella prossima stagione. Da settembre comincerà la corsa agli Oscar e, finita la stagione dei festival, molti film saranno finalmente disponibili a tutti. Tra i titoli di maggior successo provenienti proprio dai festival ci sono le produzioni orientali, sempre più apprezzate in Occidente e protagoniste dei concorsi cinematografici. Tra esse vedremo a settembre un film passato dalla selezione ufficiale del Festival di Cannes, ma del 2018. Stiamo parlando di Burning – L’amore Brucia (버닝, Beoning), del regista coreano Lee Chang-dong, distribuito in Italia con più di un anno di ritardo rispetto al resto del mondo. In questo articolo la nostra recensione di Burning.
La sceneggiatura, scritta dallo stesso regista, è basata su un racconto dello scrittore giapponese Haruki Murakami, dal titolo Granai Incendiati (presente nella collana L’elefante scomparso e altri racconti). Il dramma, dalla forte intensità, narra la storia del racconto ma distaccandosene quando è necessario per adattarlo a prodotto cinematografico. Il film segna il ritorno alla regia di Lee Chang-dong, dopo l’esperienza in politica, ad otto anni da Poetry, vincitore del premio per la sceneggiatura a Cannes nel 2010. Burning è stato scelto dalla Corea del Sud come proprio rappresentate agli Oscar 2019 per la categoria miglior film straniero, non rientrando però – quasi scandalosamente – nella cinquina dei candidati. Di seguito la recensione di Burning – L’amore Brucia.
Indice
Sinossi – Burning recensione
Protagonista della vicenda è Lee Jong-su, giovane che sogna di diventare uno scrittore ma che si destreggia in lavoretti nella cittadina coreana di Paju. Egli vive una situazione particolare in famiglia: il padre è sotto accusa per crimini legati al suo temperamento aggressivo e la madre ha abbandonato la famiglia da sedici anni. Un giorno, durante il lavoro, incontra un’ex vicina di casa, Hae-mi, della quale Jong-su ricorda a fatica e che si atteggia in modo strano. Dopo aver trascorso un po’ di tempo insieme, i due entrano in confidenza e la ragazza gli rivela che sta per affrontare un viaggio in Africa. Hae-mi chiede a Jong-su di poter dare da mangiare al suo gatto, che non si fa mai vedere, durante il viaggio. Il rapporto tra i due diventa sempre più intenso ma arriva il giorno della partenza e i due si separano.
Una volta di ritorno, Hae-mi chiederà di esser presa in aeroporto ma quando Jong-su arriverà la troverà insieme a Ben, ragazzo coreano conosciuto a Nairobi. Jong-su comincia a uscire con la ragazza e il nuovo arrivato, cercando di capire da dove derivi la ricchezza di quest’ultimo vista la sua giovane età e la sua professione misteriosa, definendolo una sorta di “Grande Gatsby”. La situazione economica del protagonista è all’opposto e la velata invidia comincia a crescere, anche perché Hae-mi sembra legare fin troppo con Ben. Tutto cambierà quando i due faranno una visita a sorpresa a casa di Jong-su. Mentre Hae-mi sta riposando, Ben rivelerà a Jong-su un suo macabro hobby, lasciando interdetto il ragazzo e toccandolo nel profondo. Da quel momento le vite dei tre ragazzi si intrecceranno morbosamente tra misteri, crisi e avvenimenti inspiegabili, creando una spirale di ossessione che metterà a repentaglio l’incolumità mentale del protagonista.
L’enigma della vita
Sopra abbiamo accennato alla scandalosa esclusione dalla cinquina per il miglior film straniero all’edizione 2019 degli Oscar. Non esageriamo quando definiamo Burning non solo tra migliori film orientali del 2018, ma di gran lunga tra i migliori in assoluto, a livello mondiale. La scrittura intelligente di Lee Chang-dong prende l’enigmatico racconto di Murakami e lo plasma alla perfezione, calibrando con sapienza i momenti di tensione e quelli di calma apparente, in cui il racconto e la forma narrativa di distendono e lo spettatore può più agevolmente collegare i tasselli dell’intricato puzzle. Un puzzle destinato a rimanere incompleto, risolvendosi solo nella mente dello spettatore e dei singoli protagonisti. La sceneggiatura infatti riesce e generare climax ascendenti di tensione per poi strozzarli nel momento dell’esplosione finale; perché come dice Jong-su “la vita per me è enigmatica”. Ciò che viene occultato o metaforizzato, però, è più eloquente delle immagini.
Il regista, nonché scrittore del film, capisce quanto sia importante il non detto per un prodotto del genere. Alcune situazioni devono necessariamente essere spiegate ma è proprio ciò che viene accennato e ipotizzato che diviene il fulcro nodale dell’esperienza cinematografica di Burning. Il film è un dramma puro ma la storia può, per certi versi, esser vista come una crime story, più psicologica che di indagine vera e propria. L’indagine è interiore, con sé stessi e contro le proprie ossessioni, alla disperata ricerca di una riposta che non può che essere parziale ed estemporanea. Il confronto con il racconto di partenza, Granai incendiati, è inevitabile. La storia viene modificata con alcuni twist narrativi. Il racconto rendeva ancora più esplicitamente estremo quel senso di incompletezza; il film aggiunge le conseguenze logiche e quasi inevitabili che l’originale non racconta, ma alle quali si pensa una volta finita la lettura.
Luci, ombre e sentimenti
Tutti le storie secondarie, le azioni che in parte sembrano inutili, vengono attentamente analizzate e proposte in modo da poter facilitare il collegamento tra esse, la convergenza verso l’enigma che però tocca completare da soli. Noi insieme a Jong-su cresciamo e pian piano, durante la visione, prendiamo consapevolezza della storia e dei misteri, di tutti gli elementi da poter collegare per dare forma al dramma, una forma derivante da come vediamo le cose. A ciò contribuisce anche l’eccezionale prova di un cast che non sfigura ma anzi, regala performance intense e pregne di pathos. Soprattutto Yoo Ah-in, nel ruolo del protagonista, riesce a far immedesimare nella situazione e a restituire il dramma interiore che vive. Steven Yeun, nel ruolo di Ben, invece, porta in scena l’antitesi del protagonista con una presenza scenica invidiabile, anche grazie all’esperienza internazionale (The Walking Dead).
L’ottima sceneggiatura di Lee Chang-dong però non deve distogliere dalle qualità tecnico-visive e dalla capacità di impostare l’immagine del regista coreano. Burning è un film in cui cerchiamo di essere sempre più in empatia con il protagonista, che quasi mai esce dall’inquadratura, anzi, mantiene sempre un ruolo da centro equilibrante della composizione. I primi piani, il taglio delle inquadrature e le intuizioni legate al montaggio riescono a trasmettere il dramma e la confusione del mondo che circonda il protagonista/noi. Ma Burning spiazza visivamente per la dimensione coloristica nella quale si muovono i protagonisti e il paesaggio. La fotografia riesce a gestire sapientemente i toni e le temperature cromatiche in relazione a stati d’animo e tensioni narrative, portando a grandissimi risultati visivi e valorizzando paesaggio e città attraverso la luce e le ombre. Stessa cosa fanno la musica e il missaggio audio, creando un’armonia/tensione audiovisiva suggestiva.
Conclusioni – Burning recensione
Concludiamo questa recensione di Burning confermando tutte le impressioni di critica e pubblico. Il film infatti è stato accolto più che positivamente e non ci si domanda il perché. Una narrazione immersiva, ricca di mistero e dai toni drammatici proposta attraverso un uso del colore, della luce e del mezzo cinematografico di altissima qualità. Lee Chang-dong torna al cinema e lo fa con uno dei migliori titoli degli ultimi anni che in Italia arriverà il 19 settembre, dopo più di un anno di attesa. Da tempo oramai le produzioni asiatiche, in particolare coreane, trovano un mercato florido in Occidente e l’Italia sembra essere sempre più aperta al cinema orientale.
Tratto dall’ansiogeno racconto di Murakami, il film ne ripropone la trama portandola alle estreme conseguenze sottintese nel prodotto originale. Un film che merita la visione per ciò che riesce a portare nella mente dello spettatore, per la capacità di entrare in empatia e far approcciare attivamente il pubblico alla storia e alle dinamiche narrative. Un gioiello cinematografico ricco di ambiguità e provocazione, in cui non è importante risolvere il mistero ma esplorare psicologicamente l’emotività davanti al dramma. Lo conferma il premio FIPRESCI vinto all’edizione 2018 del Festival di Cannes. Se avete apprezzato la nostra recensione di Burning continuate a seguirci.