Clint Eastwood colpisce ancora con Sully!
Chi di noi non ha mai desiderato di avere tutto sotto controllo, come un vero pilota di aerei? Di sicuro, la maggior parte di noi, pur sapendo di non poter nulla contro le imperscrutabili forze del fato, ha covato nel proprio intimo questa bramosia di influenza sulle cose che è il tratto distintivo del carattere di Chesley “Sully” Sullenberger, il nuovo personaggio portato in scena da Clint Eastwood nel suo 35esimo film da regista. Sully entra a far parte della cerchia degli eroi moderni eastwoodiani, unendosi al Nelson Mandela di Morgan Freeman in “Invictus”, al J. Edgar Hoover di Leonardo Di Caprio in “J. Edgar” e infine, ultimo solo cronologicamente, al Chris Kyle di Bradley Cooper nel controverso “American Sniper”. A riempire questa casella è uno degli attori che non hai mai lavorato con Eastwood, un gigante del cinema come Tom Hanks, reduce dall’esperienza più che positiva de “Il ponte delle spie” e quella decisamente negativa in “Inferno”. Serviva un ruolo importante per rialzarsi, serviva il ruolo di Sully, pilota di aerei con 42 anni di esperienza alle spalle che, sulle soglie della pensione, diventa protagonista del celebre “miracolo dell’Hudson”, espressione con cui è passato alla storia l’atterraggio di fortuna sulle acque dell’omonimo fiume che attraversa New York del volo US Airways 1549 diretto a Charlotte. Detto così, sembra inevitabile che il film acquisti un approccio prettamente documentaristico, e questa è la paura principale che attanaglia chi non conosce la cinematografia di Eastwood. Ma il film non manifesta questa intenzione alquanto scontata sin dall’inizio del film, dove viene chiaramente espressa la volontà di studiare dettagliatamente la psicologia del personaggio prima, durante e soprattutto dopo l’ammaraggio attraverso il continuo ricorso di flashback ed epifanie, che danno umanità ad un personaggio che per il resto sembra assomigliare più ad un automa che ad un essere umano in carne, ossa ed emozioni. Ed è proprio il “fattore umano” a giocare un ruolo importante nella seconda parte del film: Eastwood assume una veste inedita, va al di là dei temi che contraddistinguono le sue pellicole, giocando molto sui 208 secondi che sono stati necessari a Sully per prendere la fatidica necessaria. E qui viene fuori l’umanità del suo personaggio, un aspetto che un documentario, con i suoi mezzi, non sarebbe mai riuscito ad esprimere adeguatamente: e se le sue azioni fossero state le più sbagliate da compiersi? E se non avesse fatto altro che mettere in pericolo le vite di 155 passeggeri a bordo di quell’aeromobile? Il personaggio perde la perfezione che noi credevamo intoccabile, compie una discesa negli inferi per poi risalire con maggiore consapevolezza che ha fatto tutto quello che gli era umanamente possibile per salvare delle vite. La true story a lieto fine diventa il pretesto per raccontare un dramma fatto di incubi, visioni ed incertezze.
A ciò si aggiunge l’effetto “alta quota”, che ci fa provare l’ebbrezza di trovarci a bordo del velivolo, in mezzo a quei passeggeri, sentire la loro paura, viverla a pieno, tastarla, e all’interno della cabina di pilotaggio, seguendo passo dopo passo le dinamiche che ha portato ad uno degli eventi che hanno fatto la storia dell’aviazione. Sì perché Sully, come i personaggi dei cinecomics, ha dei superpoteri nascosti in sè, che aspettavano di essere celati, potenza che attendeva di essere trasformata in atto; ma, allo stesso tempo, è un buon padre di famiglia, un marito amorevole e un professionista serio e preparato, per il quale la sicurezza dei passeggeri andava messa in cima alla lista delle priorità, al di sopra della burocrazia, del profitto e della tecnologia, che egli osa sfidare fino alla fine, senza mai mollare la presa di un millimetro, alla ricerca di giustizia in un’apnea di emozioni che non si arresta fino alla battuta finale del Primo Ufficiale Jeff Skiles, braccio destro di Sully interpretato da un ottimo Aaron Eckhart (”Il cavaliere oscuro”, ”Attacco al potere – Olympus Has Fallen”), comprimario che per la sua dinamicità ed il suo brio in qualche modo controbilancia la personalità sempre pacata e compassata da Sully, riuscendo a spezzare l’equilibrio del film in alcuni punti in cui rischia di acquistare un’eccessiva pesantezza. La sceneggiatura, nata dalla penna di Todd Komarnicki, offre un punto di vista sulla vicenda da diverse angolature, cosicché anche lo spettatore possa formarsi una propria opinione sugli accadimenti e giudicare se le azioni di Sully fossero state arbitrarie o meno (per dirla con le parole di Peter Debruge, critico del celebre magazine statunitense Variety, il film offre ”sei incidenti aerei al prezzo di uno”). Insomma, Clint Eastwood, nonostante la veneranda età di 86 anni e le recenti dichiarazioni rilasciate in un’intervista concessa alla rivista di spettacolo Esquire (nella quale, affermando che alle elezioni presidenziali americane avrebbe votato per il candidato repubblicano Donald Trump, si è schierato contro il politicamente corretto e quella che lui definisce la ”pussy generation”, la ”generazione di fighette” di cui fanno parte i giovani di oggi), suscitando non poche polemiche per il suo atteggiamento fortemente reazionario (che tra l’altro caratterizza una buona parte della sua filmografia), fa di nuovo centro, a dimostrazione del fatto che quello che viene definito dai più ”il più classico dei registi americani” è riuscito nuovamente ad innovarsi, dimostrando un’ottima dimestichezza con il digitale (il film è stato interamente girato con cineprese Imax). Le barriere sono fatte per essere abbattute, dicono alcuni, ed il buon vecchio Clint, il cowboy senza macchia e senza paura dei western di Sergio Leone, non si lascia certo intimorire dalle critiche e prosegue dritto per la sua strada. Percorso che, conoscendolo, lo porterà verso nuove sfide, che si chiamano ”Impossible Odds”, film tratto dall’omonimo libro di Jessica Buchanan, dove la stessa racconta del suo rapimento, sceneggiato da Brian Helgeland (”L.A. Confidential”, ”Legend”), e ”The Ballad of Richard Jewell”, scritto da Billy Ray (”Captain Phillips”, ”Hunger Games”) e con protagonisti il duo di attori dell’osannato ”The Wolf of Wall Street”, Leonardo DiCaprio e Jonah Hill, altre storie vere, altri personaggi le cue vite vanno raccontate, con la solita schiettezza che da sempre ha contraddistinto la vita ed il cinema di Clint Eastwood. E, se il risultato si traduce in pellicole che mantengono alto il livello delle aspettative e quantomeno pareggiano il livello di Sully e di altri capolavori del cineasta di San Francisco, allora non ci resta che attendere fiduciosi.