Copenhagen Cowboy: recensione della serie tv di Nicolas Winding Refn
Il nuovo lavoro di Refn è una fiaba dark dai tratti mitologici e folkloristici che indaga il potere femminile.
Dopo Too Old to Die Young, il formato seriale si riconferma essere la perfetta tela per la visione poetica e simbolica di Nicolas Winding Refn. In questo caso, però, Copenhagen Cowboy – presentata al Festival del Cinema di Venezia e ora disponibile su Netflix – riprende una delle tematiche presentate dal regista in The Neon Demon, ossia il potere femminile associato alla magia. Una tematica affascinante a cui il regista si approccia grazie ad uno stile autoriale altamente riconoscibile sia da un punto di vista estetico che simbolico.
Indice
- La trama
- Tra mitologia e folklore
- Miu e il manifesto femminile
- Il tocco inconfondibile di Refn
- Lo stile e la forma
La trama – Copenhagen Cowboy, la recensione
Miu (Angela Bundalovic), una giovane donna minuta e silenziosa, viene acquistata da una famiglia che si occupa di traffico umano e di prostituzione per la sua nomea di portafortuna. Il suo compito iniziale è quello di far rimanere incinta la matriarca della casa Rossella, una donna di mezza età fiera della sua stramba quanto malsana famiglia.
Quando il primo tentativo – alla quale Miu è costretta ad assistere – non va a buon fine, Rosella la costringe a seguire il destino delle altre ragazze prigioniere nel seminterrato. La stretta vicinanza con il circolo di prostituzione e una serie di strambi quanto ingloriosi eventi, porterà Miu a conoscere tre diversi clan criminali.
Tra mitologia e folklore – Copenhagen Cowboy, la recensione
Il noir e il thriller sono i principali generi di riferimento con cui il regista danese gioca e sperimenta, non facendosi per questo limitare, dando vita a una favola nera. Miu è il personaggio che più riprende i tratti della tradizione fiabesca, dalla magia che la ragazza sembra scaturire all’immediata certezza che lo spettatore ha che la ragazza è realmente un portafortuna dall’aspetto da folletto, alla mitologia folkloristica che si espande da quella europea per abbracciare anche quella, più famosa, greca.
Non a caso ci sono continui paragoni tra uomini e maiali che richiamano alla mente la leggenda di Circe, ma che funziona da simbolismo potente quanto immediato. Come una moderna ragazza in cerca di vendetta, Miu si aggira negli scenari con una grazia silenziosa che è facilmente fraintendibile. La minuta Miu viene creduta sottomessa, ma è lei a dettare le regole del gioco: se si è gentile con lei, Miu ricambierà il favore; se le si sbarra la strada non ci pensa due volte prima di scatenare la sua vendetta.
Miu e il manifesto femminile – Copenhagen Cowboy, la recensione
Refn si diverte a giocare con i suoi personaggi, utilizzando elementi narrativi tra i più classici portati all’estremo. Come accennavamo, Copenhagen Cowboy è una storia di vendetta, ma soprattutto di potere femminile che si snoda in due antipodi tra la protagonista e la sua antagonista. Miu e Rakel (Lola Corfixen), la crudele sorella del perisoloco Nicklas (Andreas Lykke Jørgensen).
Miu e Rakel costituiscono i lati più esoterici ed emblematici di Copenhagen Cowboy. La prima è un’anima vendicativa, una guerriera che non ha paura di affrontare i suoi nemici; la seconda è un essere mitologico nella sua forma più pura. Torna nuovamente un ossessione per il regista danese, quella per il potere femminile descritto nella sua forma più primordiale e antica, indissolubilmente legata all’immaginario del sangue e ai suoi molteplici simbolismi che non si fermano alla mera violenza o gore, ma che anzi abbraccia – dopo il thriller e il noir – anche il genere gotico in tutte le sue sfaccettature.
Il tocco inconfondibile di Refn – Copenhagen Cowboy, la recensione
Perché si, Copenhagen Cowboy è un’aspra storia di vendetta e di potere femminile. Come il regista aveva già fatto in The Neon Demon – mettendoci dentro di tutto: horror, i potenti rituali legati al ciclo mestruale, il piacere femminile, i rapporti saffici – , Refn torna a parlare del mondo femminile in modo del tutto nuovo. Lo stile è il medesimo che contraddistingue tutta la sua filmografia.
Un simbolismo mirato e continuo, quasi ossessivo, e uno stile visivo e narrativo che riportano alla mente tutti i suoi lavori precedenti. Miu si muove in un sottobosco criminale popolato da personaggi bizzarri e inquietanti, da incubi deliranti e altri nettamente più realistici.
Uno sporco quanto evocativo labirinto che scava non solamente nella mafia danese, ma nella cultura di genere. Nicolas Winding Refn riesce in questa complicata operazione grazie al suo modo di ripensare e reinventare la forma. Se è vero che la serialità – grazie ai suoi tempi dilatati che permettono al regista e al suo pubblico di andare un po’ più con calma – è il perfetto formato per un progetto di questo tipo, è anche vero che l’uscita in blocco dell’intera stagione penalizza un po’ l’effetto finale che sarebbe meglio godersi lentamente, puntata per puntata in modalità opposta al binge watching.
Lo stile e la forma – Copenhagen Cowboy, la recensione
Segno distintivo di Copenaghen Cowboy, così come in tutto il lavoro del regista danese, è l’unione tra stile e forma. Una forma che prende ispirazione da storie lontane, da archetipi indimenticabili che si uniscono allo stile inconfondibile di Refn. La Danimarca è un sotterraneo dai colori neon pop che va a ridefinire la classica atmosfera scura e oscura dei sobborghi e delle periferie, di tutti quei buchi bui all’interno dei quali succede l’indicibile.
Questo capovolgimento dell’atmosfera è necessario per creare una storia dai tratti ovattati, una fiaba che riprende le caratteristiche più dark e cruente delle favole e delle leggende folkloristiche dei paesi nordici. È in questo che sta la magnificenza di Copenhagen Cowboy. Questo riuscire ad unire tratti e mitologie così lontani tra di loro, quasi opposti – le fiabe e il realismo magico con una narrazione più contemporanea che mai – in una perfetta quanto esaltante fusione.
Copenhagen Cowboy
Voto - 8.5
8.5
Lati positivi
- L'unione perfetta tra simbolismo, forma e stile
- L'utilizzo della mitologia e del folklore per delineare e mettere in scena il potere femminile
Lati negativi
- L'uscita in blocco penalizza un po' la visione, che andrebbe vista con i giusti tempi