Cuori Puri: tedioso scontro di civiltà tra fanatismo borghese e delinquenza di borgata.
L’opera prima di Roberto De Paolis è un’interminabile predica anticapitalista, travestita da storia d’amore e fiera della propria sfacciata demagogia.
Agnese è una diciottenne ignara della vita e succube delle attenzioni morbose della madre, fanatica religiosa incallita e decisa a preservare ad ogni costo la verginità della figlia. Stefano è un ragazzo della periferia capitolina che arrotonda con rapine facili lo stipendio di custode in un parcheggio sempre semi-deserto. Nonostante le differenti estrazioni sociali e impalcature mentali, per una serie di impreviste coincidenze i due fortuitamente si incontrano, probabilmente si piacciono, forse si amano.
Presentata alla Quinzaine des Réalisateurs di un Festival di Cannes ormai agli sgoccioli e inaspettatamente fiacco rispetto alle ottime premesse, l’opera prima di Roberto De Paolis, fotografo apprezzato a livello nazionale e non solo, è stato accolto da palmi ben percossi e da recensioni entusiastiche. Tuttavia, al di là di dovute eccezioni (ad esempio è assolutamente condivisibile il caloroso apprezzamento riservato a Sicilian Ghost Story!), gli applausi della sala stampa al rinomato festival francese sono quasi sempre un campanello d’allarme per l’incauto pubblico, se ancora esiste qualcuno che orienti davvero le proprie scelte in base al parere della critica. D’altro conto, in casi come questi, val bene il detto ‘Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio’. Infatti, sembra giusto chiedersi se il giubilo collettivo sia stato dovuto ad un’effettiva soddisfazione a visione ultimata, o se piuttosto sia da intendere come un grido di sollievo di fronte ai titoli di coda, miraggio divenuto finalmente (e ormai insperatamente) realtà.
È da un paio di anni che al cinema italiano si riconoscono i dovuti meriti, non solo grazie ad opere notevoli di registi dalle qualità ben rodate, ma anche grazie a folgoranti esordi; basti ricordare Banana di Andrea Jublin, L’Attesa di Piero Messina o il fortunatissimo Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti. Tuttavia, non tutte le ciambelle vengono col buco. Ecco che arriviamo così a Cuori Puri, film che si inserisce chiaramente nel fin troppo prolifico filone nostrano delle storie d’amore con tormento, da Cosimo e Nicole di Francesco Amato ad Alaska di Claudio Cupellini, fino a Fiore di Claudio Giovannesi e La ragazza del mondo di Marco Danieli. Dunque, nulla di nuovo dal fronte, ma non è certo la mancanza di originalità a dover essere imputata al film in questione. Né tantomeno lo si può demolire dal punto di vista tecnico, essendo anzi un’operazione molto rischiosa e senz’altro coraggiosa la realizzazione di un film a bassissimo budget, cosa evidente sia nelle riprese ballerine con telecamera a mano sia nella qualità dell’immagine, purtroppo degna di un film-tv.
Tuttavia, ad un prodotto palesemente carente sul piano formale, per ragioni produttive non sindacabili, si richiede almeno una sceneggiatura robusta, della quale invece la suddetta pellicola è priva. Il soggetto in sé, almeno sulla carta, poteva offrire spunti interessanti, ma la stesura a ben quattro mani non riesce a sviluppare a dovere il potenziale della storia, che, pur incorniciata tra due corse (alla maniera di Baaria, per intenderci) arranca stancamente per ben 120 minuti. Ridondante e goffa nelle sue quasi assenti evoluzioni, la narrazione ruota eternamente immobile intorno al problema di partenza: capire se la purezza dell’animo dipenda anche dalla verginità del corpo e se l’amore possa essere il giusto medicamento per le anime ferite dei due protagonisti.
L’esito è uno sfiancante e interminabile stillicidio, che diventa anche irritante quando esplicita il proprio populismo, navigando a vele spiegate tra i flutti di dialoghi imbarazzanti; uno per tutti il predicozzo simil-leghista affidato al protagonista, che, di fronte alla possibilità di sfratto per i genitori, che (manco a dirsi!) abitano vicino ad un campo Rom, esclama indispettito <E ‘sti zingari vengono mantenuti dallo Stato, mentre a noi Italiani non ci calcolano nemmeno. Ve converebbe ésse Rom, almeno manterrebbero anche a voi!> (sic!). Ancor più indisponente la caratterizzazione macchiettistica dei due protagonisti, per i quali non si capisce perché mai si dovrebbe provare una qualche forma di simpatia, nel senso più letterale del termine: lei deficiente patentata con idee da Medioevo; lui delinquentello da strapazzo, con un passato difficile e un padre ubriacone e violento (giusto per essere innovativi…).
Inoltre, se l’interpretazione verace del giovane Simone Liberati risulta abbastanza convincente, al contrario non giova quella sussurrata, quando non sbiascicata, di Selene Caramazza, che non ha nulla da invidiare alla mitica Corinna di Boris, ma che, se volessimo cogliere il lato positivo, dopo una prova del genere potrà solo migliorare. Buona, al contrario, la prova di Barbora Bobulova, nel ruolo di madre glaciale e protettiva fino all’ossessione; ottima, e di molte misure superiore a quella degli attori che lo circondano, l’interpretazione di Edoardo Pesce, dotato di un talento naturale e ormai meritevole di ruoli di maggior spessore.
E, mentre qualcuno inneggia al capolavoro esaltando la straordinaria asciuttezza della dura realtà, qui si rimane dell’idea che la verità debba essere un punto di partenza che al cinema non può e non deve prescindere dall’anarchia creativa che ha fatto grandi registi come Sorrentino, Garrone, Bellocchio, Moretti e molti altri ancora. Credo fermamente che il futuro delle produzioni nostrane sia in mani nuove e menti antiche e moderne al tempo stesso, che non mancano e vanno sostenute in ogni modo; se l’immondo realismo diventerà un’attenuante per la morte dell’immaginazione, allora per il destino del cinema italiano non resta che dire: campa cavallo, che l’erba (forse) cresce.
P.S. Mentre ultimo questa recensione, Roman Polanski, intervistato in occasione della presentazione a Cannes del suo ultimo film ‘D’apres un’histoire vrai ‘, ha dichiarato : <Oggi il pubblico è bombardato da milioni di immagini e informazioni e non sembra più interessato alla finzione. Come se fosse vero solo quello che è reale!>. Ai posteri l’ardua sentenza…
Cuori Puri: tedioso scontro di civiltà tra fanatismo borghese e delinquenza di borgata.
L’opera prima di Roberto De Paolis è un’interminabile predica anticapitalista, travestita da storia d’amore e fiera della propria sfacciata demagogia. - 2
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The Good
- L'interpretazione di Edoardo Pesce; l'algida Barbora Bobulova; Simone Liberati, sul quale si può lavorare.
The Bad
- Sceneggiatura; reparto tecnico; Selene Caramazza.