Da 5 Bloods: recensione del film diretto da Spike Lee
Spike Lee torna alla ribalta con un'opera complessa e dal forte carattere politico
Dopo il grandissimo successo di pubblico e di critica di Blackkklansman, Spike Lee ritorna con un film complicato e sofisticato come Da 5 Bloods, lavoro di cui vi presentiamo la recensione. L’opera continua il percorso cinematografico che il regista newyorkese ha intrapreso negli ultimi anni, raccontando nuovamente l’America da un punto di vista politico e sociale. I temi sono molti e tanti di questi sono dei veri e propri marchi di fabbrica dell’autore statunitense: dal razzismo alla fratellanza, dall’analisi storica alla vivisezione del presente. Tuttavia la fruizione digitale del film non è delle migliori, soprattutto perché pensata per il cinema con una distribuzione parziale -stile The Irishman – da parte di Netflix. Il colosso statunitense ha quindi reso disponibile il lungometraggio sulla sua piattaforma streaming a partire dal 12 giugno 2020.
Produzione targata 40 Acres & a Mule Filmworks, storica compagnia di Lee, la pellicola è stata girata tra il Vietnam e la Thailandia. A fronte di un budget di 35 milioni di dollari, essa presenta un cast eccellente, tra cui spiccano Delroy Lindo (Malcolm X), Paul Walter Hauser (Richard Jewell) e Chadwick Boseman (Black Panther). Il contenuto è fondamentalmente un film drammatico, che non disprezza assolutamente molte caratteristiche del war movie; inoltre spicca per il virtuosismo delle situazioni narrativo-cinematografiche utilizzate. Il risultato è una “joint” di Lee molto interessante, non esente da difetti, ma comunque capace di rivelarsi ancora una volta profetica sotto certi aspetti.
Indice
- La trama
- Il loro Malcolm e il loro Martin
- La guerra unisce, la guerra divide
- Il lato tecnico
- Considerazioni finali
La trama – Da 5 Bloods, la recensione
Ho Chi Minh City, 2020. Paul (Delroy Lindo), Otis (Clark Peters), Eddie (Norm Lewis) e Melvin (Isiah Whitlock Jr.) sono quattro veterani della guerra del Vietnam uniti da una forte amicizia. Negli anni Settanta infatti, sotto la guida del caposquadra Stormin’ Norman (Chadwick Boseman), sono riusciti ad instaurare una rapporto indissolubile a seguito dei combattimenti. Un rapporto che rasenta il legame famigliare, una connessione sanguigna da cui deriva il loro soprannome: Da 5 Bloods. Tutti e quattro sono ora ritornati, ancora legatissimi, nella terra dell’ex nemico per portare a termine una missione suddivisa in due tappe: trovare i resti del vecchio Norman e rintracciare una cassa d’oro trovata durante la guerra. In tutto questo però riaffioreranno le tensioni personali e le frustrazioni di ciascuno dei membri, dove alcuni scopriranno nuovi aspetti di loro stessi.
È il caso ad esempio di Otis, che scoprirà di aver lasciato gli affetti più importanti della sua vita dopo l’incontro con l’adorata Tien (Le Y Lan). Tuttavia alla fine si presenterà un grosso problema, ovvero la possibilità di riuscire a portare clandestinamente il tesoro fuori dal paese del sud-est asiatico. Ecco quindi che entrerà in gioco Desroche (Jean Reno), uomo d’affari francese, che li aiuterà a trasformare i dobloni in denaro da depositare su conti offshore. Ma non tutto andrà come previsto e, dopo numerosi litigi, incomprensioni, riavvicinamenti e ricordi, si giungerà alla resa dei conti. Le domande fondamentali sono quindi: riusciranno i veterani a riportare a casa le spoglie del loro amico? Che ne faranno dell’oro? Desroche è veramente quello che sembra?
Il loro Malcolm e il loro Martin – Da 5 Bloods recensione
Tema portante del film e di tutta la cinematografia di Lee è indubbiamente il discorso politico-sociale. Anche in questa ultima fatica il regista afroamericano non viene meno a questo assunto e decide nuovamente di analizzare gli strascichi razziali di un fenomeno come la guerra del Vietnam. Partendo dunque da immagini di repertorio, raffiguranti dichiarazioni di Malcom X, Muhammad Ali e Angela Davis, l’autore definisce lo scontro armato dalla prospettiva afroamericana. Essa non solo è stata una guerra fallimentare, ma anche socialmente ingiusta; un conflitto combattuto in maggior parte dalla comunità nera, rappresentante all’epoca solo l’11% della popolazione americana, ma il 32% delle truppe sul campo. Una lotta combattuta da tanti poveri “fratelli” mandati a morire per una bandiera che non li riconosceva e che al contempo, a casa, cercava di impedirne l’integrazione. In tal modo Lee sintetizza tutta la tematica nel microcosmo dei protagonisti, vero contraltare del giudizio storico.
Essi esemplificano sia il dramma generale dei veterani sia quello degli afroamericani, feriti dalle contraddittorie giustificazioni allora addotte per spedirli a morire. Non stupisce quindi che Norman, leader del gruppo, venisse identificato come “il loro Malcolm e il loro Martin”; così come non lascia perplessi neanche il parallelismo della loro fine: tutti assassinati. Ed è proprio in questo contesto doloroso e accusatorio che emergono le contraddizioni di tutti i personaggi, laddove il più grande attivista civile del gruppo finisce con il votare Trump e portare il suo cappello recante la scritta: “Make America great again”. Ma come direbbe Langston Hughes: “l’America non è mai stata America per me, eppure, lo giuro su Dio – America sarà”. Così il regista esplicita simbolicamente il risultato di 40 anni di storiografia americana, che al posto di fare i conti con i suoi demoni ha preferito nascondersi dietro degli slogan.
La guerra unisce, la guerra divide – Da 5 Bloods, la recensione
Con questo titolo potrebbe riassumersi un’altro importante argomento della pellicola, attento soprattutto a scomporre le dinamiche interne di un gruppo. I 5 Bloods hanno infatti trovato il proprio collante nella guerra, ma una volta abbandonata quest’ultima nessuno è veramente rimasto in contatto. Riprendendo il famoso detto “Puoi togliere il ragazzo dalla giungla, ma non la giungla dal cuore del ragazzo“, in un certo qual modo potremmo dire che Lee voglia esprimere lo stesso concetto. Però la giungla in questo caso rappresenta la guerra, i cui drammi e ricordi non sono mai veramente scomparsi nel cuore dei quattro soldati. Paul, Otis, Eddie e Melvin non solo hanno trovato una dimensione di gruppo nella guerra, ma a quest’ultima sono destinati a ritornare per finire il loro percorso.
Si configura così una metafora autodistruttiva, che pone come cardine la natura violenta dell’uomo. In sostanza, nonostante il rapporto di amicizia e di affetto, i protagonisti si distinguono per la loro violenza e il loro cinismo. La violenza diventa quindi conseguenza della guerra e come tale si concretizza nella divisione interpersonale, anche tra i cari. il regista però non si ferma qui e aggiunge ancora una volta un elemento mirabile e vitale: l’odio. Esso è il frutto di questa reazione a catena scatenata dalle battaglie e il sentimento più profondo provato nella giungla vietnamita. Per l’autore quindi l’unica via d’uscita da questo climax disfattista è la liberazione dall’odio. Ora tale liberazione può essere solo interiore e ogni membro della compagnia, in un modo o in un altro, vi dovrà fare i conti; tra tutti però spicca la figura di Paul, vero catalizzatore dell’intera storia.
Il lato tecnico
Procediamo nella recensione di Da 5 Bloods approfondendo il lato tecnico dell’opera. Tecnicamente l’opera è ben interpretata, con uno sfavillante Delroy Lindo e delle ottime performance da parte di Clark Peters e Paul Walter Hauser. In particolare il primo appare istrionico nel mettere in scena i problemi, i conflitti, gli amori e le paure di un veterano ormai triste, atterrito da un sindrome da stress post traumatico e dalla sua cattiva paternità. Gli altri due caratteri sono molto interessanti, sebbene la loro parte sia comunque più dimessa. La regia è incredibilmente virtuosa e non risulta mai ridondante nel fluire delle sequenze. Essa gioca su incredibili scelte cinematografiche e su un eclettismo impareggiabile. Si vede che Lee è uno dei pochi registi che ancora si chiede quale angolatura sia la migliore e nella maggior parte dei casi non sbaglia.
Il risultato è dunque notevole, con una lavoro che spazia tra zoom in e out, camera a spalla, carrellate a precedere e a seguire, ripetizioni di scena, movimenti laterali con la steadicam e panoramiche oblique. La fotografia, così come la scenografia, è di buon livello, malgrado alcune imperfezioni. Tuttavia alcuni espedienti fotografici e cinematografici risultano particolarmente intriganti, come ad esempio le transizioni dal 16:9 digitale al formato 4:3 in Super 8mm. La colonna sonora, vero traino di tutti i film di Lee, è sicuramente ben composta, ma ingrana solo dopo la metà della pellicola. Sta forse qui il problema, dal momento che l’opera nell’introduzione un po’ si perde, trascurando alcuni caratteri e venendo meno alla spiegazione di un paio di situazioni critiche. La scrittura ha cosi due anime: quella drammatica, cioè quella mirabile, e quella del film di genere, abbastanza deludente.
Considerazioni finali
Nella conclusione della nostra recensione di Da 5 Bloods vogliamo sottolineare come il film sia ben fatto e prodotto egregiamente. Esso è capace di far riflettere lo spettatore e descrive delle stimolati dinamiche sociali con una formula appassionante. Tuttavia vi sono due difetti evidenti della pellicola: il citazionismo mal calibrato e l’abbozzo di alcuni personaggi. Il primo consta di echi continui a lungometraggi come Platoon, Apocalipse Now, Rambo e Stand by Me, i quali solo a tratti si adattano alla scena; la seconda pecca è invece più grave, giacché causa di una valutazione non eccessivamente alta del film.
Qui forse avrebbe aiutato anche una mezz’ora in più di durata del lungometraggio, che, malgrado un ottimo montaggio, sembra essere stato accelerato sul finale. Per questi motivi, nonostante ci si trovi davanti ad una buonissima pellicola, va sottolineata comunque la presenza di alcune criticità. Esse vanno ad inficiare un giudizio molto alto del contenuto, cosa che le tematiche analizzate avrebbero sicuramente meritato.
Da 5 Bloods
Voto - 7.5
7.5
Lati positivi
- Approfondimento delle tematiche politico-sociali
- Buonissime interpretazioni
- Regia impeccabile
- Interessante retrospettiva storica
Lati negativi
- Abbozzata caratterizzazione dei personaggi secondari
- Epilogo affrettato e colonna sonora altalenante