Days of Being Wild: recensione del film di Wong Kar-wai
Ecco la recensione di Days of Being Wild, il film che ha lanciato Wong Kar-wai con Leslie Cheung, Carina Lau e Maggie Cheung
Days of Being Wild recensione del secondo film del regista cinese Wong Kar-wai. Il regista dà vita a un melò frammentato, sospeso tra i destini di più personaggi in cerca della felicità. In questo film del 1991 vengono già anticipati diversi temi e soluzioni di regia che troveremo in molti altri lavori successivi del regista. Il tema principale del film è l’amore e la sua relazione con un tempo fuggevole e ingannatore. Ma quello messo in scena è un amore doloroso e logorante, seppur tremendamente necessario per tutti i personaggi coinvolti. È proprio con Days of Being Wild che Wong Kar-wai diventa l’autore che in seguito il mondo conoscerà e a cui tributerà diversi elogi.
Nel cast del film troviamo un incredibile Leslie Cheung nel ruolo di Yuddy, il bello e maledetto che contraddistinguerà la sua tristemente breve carriera. Wong Kar-wai è egregio nel plasmare un cast strepitoso, reinventando Maggie Cheung da giovane modella a dimessa cassiera e Carina Lau nel ruolo di una fragile cantante, sedotta e abbandonata. Ottimi anche Jacky Cheung e Andy Lau, specchio seppur deformato della personalità dell’inquieto Yuddy.
Days of Being Wild: recensione del film di Wong Kar-wai
La trama
Dopo l’esordio nel mondo del cinema nel 1988 con il noir As tears go by, Wong Kar-wai cambia registro e genere. Con Days of Being Wild il regista trova l’opportunità di dare forma compiuta a quella che diverrà una fortissima identità autoriale.
Ambientato nella Hong Kong del 1960, il film racconta del giovane Yuddy (Leslie Cheung), un giovane casanova che vive la conquista amorosa come un gesto compulsivo da reiterare meccanicamente. Il giovane infatti sedurrà e abbandonerà due donne: la cassiera Su Li-Zhen (Maggie Cheung), giovane e timida e la passionale cantante Mimì (Carina Lau). Entrambe usciranno dalla relazione deluse e ferite da quello che credevano essere qualcosa di diverso.
Il problema è che Yuddy soffre di una fondamentale e inesorabile anaffettività nei confronti di sé stesso, privo di un’identità e ossessionato dalla ricerca della sua vera madre. Ricerca che non potrà mai tradursi nell’esito sperato, nemmeno quando deciderà di volare verso Manila, alla ricerca di sé stesso e delle proprie origini. La verità non porterà a una vera riconciliazione, ma farà capire al ragazzo il valore autentico della memoria e dell’amore, in un finale tragico e violento.
L’amore non corrisposto e l’abbandono
Ho aspettato tanto una sua chiamata. Non so se la rivedrò.
Lo struggimento d’amore e la sua relazione fuggevole con il tempo sono i temi dominanti e l’asse fondante della poetica wongkarwaiana. L’inseguimento dell’oggetto d’amore porta a un circolo vizioso di cacciatori e prede che si estende anche al silenzioso poliziotto Tide (Andy Lau) e all’amico Zeb (Jacky Cheung), rispettivamente innamorati di Su Li-zhen e Mimì, ma ovviamente non corrisposti.
Secondo Wong, tanto più il sentimento d’amore è intenso e tanto meno trova soddisfazione, nel loop di un’incompiutezza che si pone come cifra stilistica del Wong Kar-wai autore. Le psicologie dei personaggi costruiscono un’analisi di particolari situazioni che tirano in ballo tematiche come l’amore non corrisposto, l’illusione, l’abbandono. A tal proposito, centrale il personaggio di Yuddi, bloccato com’è nel tentativo di sublimare nelle conquiste amorose il vuoto lasciato da una madre assente, rea di averlo abbandonato in tenera età. Afflitto da un senso di perdita continuo, il giovane vivrà i rapporti giocando col tempo e le persone, riuscendo a superare questa condizione solo una volta nelle Filippine sulle tracce della madre lontana.
In Days of Being Wild, i personaggi si muovono come marionette destinate ad incrociarsi, ma senza mai avere la possibilità di trovare una condizione di stabilità sentimentale ed emotiva. In tutto questo però il caso riveste un ruolo di rilievo, perché sono concesse alcune chance in grado di cambiare le cose. Semplicemente i personaggi in scena non le coglieranno. Emblematico rimarrà il telefono pubblico che squilla, ma al quale Tide deciderà di non rispondere.
Lo scorrere del tempo nella poetica wongkarwaiana
Questo amore incompreso e manchevole di reciprocità è scandito da uno scorrere del tempo e dei sentimenti che non è mai sincrono. Non a caso ogni incontro è scandito dal movimento delle lancette di orologi che girano a vuoto, senza mai incontrarsi né far incontrare i desideri. Proverbiale l’incontro tra Yuddy e Su Li-Zhen, avvenuto proprio davanti a un orologio, ma anche lo squillo della cabina che vorrebbe unire le sorti di Tide e della stessa Su Li-Zhen, senza però riuscirci.
Wong Kar-wai è affascinato dal tempo, una tematica continuamente presente nei suoi film. Nelle sue opere il regista esprime come il tempo, rallentato o accelerato, scandisca le relazioni tra innamorati. Per far ciò fa utilizzo non solo della diversa frequenza dei fotogrammi, ma anche di un utilizzo simbolico di oggetti scenici come orologi, fumo di sigarette o il lento scorrere di una goccia che cade dal rubinetto.
Inoltre, Wong Kar-wai utilizza la circolarità per ricordare la temporalità delle vite dei suoi personaggi. Per gli amanti (come in 2046 e In the Mood for Love) l’orologio sta infatti a significare quanto tempo sia rimasto da spendere insieme e come il tempo imponga loro delle restrizioni. Il movimento rallentato o accelerato dei personaggi dà una sensazione unica al cinema di Wong Kar-wai. Lo stesso vale per Days of Being Wild, dove il regista sperimenta per la prima volta quella che costituirà gran parte della poetica wongkarwaiana.
La virata noir del finale
Ho sentito che c’è una specie di uccello senza zampe. Può soltanto volare e volare e quando è stanco dorme nel vento. Atterra una sola volta nella vita. Quando muore.
Days of Being Wild subisce nel finale un’inaspettata virata verso il noir, dove Wong Kar-wai concede qualcosa al gusto del pubblico di Hong Kong. Dal tono civettuolo della prima parte si passa a tinte cupe e dolenti, che rappresentano il tocco più memorabile dell’opera, racchiusa dentro l’estetica della prossimità senza reciprocità. Un cambiamento di genere era inevitabile per far apprezzare maggiormente il film, pur attenendosi perfettamente al climax del film. La vicenda viene perfettamente condotta verso la più coerente delle conclusioni.
La pellicola non è ovviamente esente da difetti, essendo anche ad essere una sorta di opera prima dove Wong Kar-wai sonda un certo tipo di cinema. La narrazione appare molto statica in certi punti, facendo trapelare una non pienezza delle emozioni che dovrebbe esserci. Così alcuni passaggi risultano piuttosto lenti e vuoti, per risollevarsi nel finale, dove i personaggi riescono a incrociarsi in maniera decisamente più significativa. Il tutto diventa però meno verosimile, scivolando nell’onirismo.
Days of Being Wild: recensione – Conclusione
Days of Being Wild è la seconda opera di Wong Kar-wai, dove il regista cantonese prosegue il suo discorso autoriale, partendo da un genere (il melodramma) per compiere una ricerca su sentimenti e pulsioni. Il tutto viene affrontato in maniera decisamente personale e originale, andando a costituire una piccola chicca nella cinematografia di Hong Kong. Il film costituirà inoltre un riferimento molto importante per le produzioni successive: 2046 e In the Mood for Love su tutte. In entrambe le pellicole torneranno musiche (i brani dell’America latina), luoghi e personaggi (Mimì e Su Li-Zhen), la schiavitù dell’amore che per Wong non sembra mai avere fine né inizio.
Wong Kar-wai inoltre è bravo a contenere le passioni all’interno di tutta la pellicola. Le storie ricavate sono di un’umanità strabordante, generate da personaggi che feriscono e fuggono amando, aggrappandosi all’altro per trovare ossigeno. Se come dice Wong Kar-wai, l’amore è questione di timing, continuare a inseguire lo spazio e tempo ideali è un modo per restare vivi.
Days of Being Wild
Voto - 7
7
Lati positivi
- Resa superba di passioni e sentimenti
- Tematiche del cinema di Wong Kar-wai in nuce
- Cambio di genere affrontato con maturità artistica
- Incredibile prova attoriale di Leslie Cheung
Lati negativi
- Narrazione in certi punti statica
- Alcuni passaggi lenti e vuoti