Dov’è il mio corpo? – Recensione del film di animazione francese
Analizziamo il lungometraggio d'esordio di Jérémy Clapin
Le mani possono vantare una storia davvero longeva nella cinematografia, affondando le proprie radici nel lontanissimo 1924. In quell’anno Robert Wiene sconvolse il cinema horror portando per la prima volta sul grande schermo delle mani che, con una propria personalità, ostacolavano il protagonista. Da Horlac’s Hände si moltiplicheranno poi le “mani assassine”, diventando un vero e proprio filone del genere horror. Andiamo ad approfondire questa tematica nella nostra recensione di Dov’è il mio corpo?
La mano del diavolo, La mano e La casa 2, sono veri e propri cult del genere dell’orrore. L’unico caso anomalo che tenta di scostarsi dal panorama horror è La famiglia Addams, mostrando quanto Barry Sonnenfeld la pensi in modo diverso rispetto ai contemporanei. In questo caso infatti “Mano” trasmette quasi tenerezza, rifuggendo dall’essere strumento di violenza e morte. Questa veste non è mai stata esplorata ulteriormente, seppur pregna di intriganti possibilità sicuramente superiori a quelle di una mano assassina. Questa parte del corpo si presta decisamente meglio a una parte più empatica ed emotiva rispetto a una cruda e minacciosa, in quanto risulta un po’ goffa per sua stessa natura.
Jérémy Clapin, con il suo primo lungometraggio, intende dunque fare luce su un altro aspetto delle mani. Dov’è il mio corpo?, uscito recentemente su Netflix, è il racconto dell’ incredibile viaggio di una mano mozzata verso il suo proprietario, attraverso tutte le insidie che una città può nascondere. Parallelamente Naoufel, il proprietario della mano e reduce da un’infanzia complicata, lavora come fattorino delle pizze. Durante una consegna incontra una ragazza, Gabrielle, della quale si innamora perdutamente.
Indice
Il tatto e l’udito – Dov’è il mio corpo? recensione
Per innumerevoli volte Clapin rinnega il dialogo per affidarsi a sensazioni primordiali e pure: il tatto e l’udito. Toccare la sabbia e sentire il rumore del vento diventano attimi di intensa emotività che troppo spesso, nella vita quotidiana, vengono tralasciati o dati per scontato. Alla mano sono associati i flashback riguardanti la sfera tattile, mentre a Naoufel quelli legati all’udito. Il ragazzo infatti, durante l’infanzia, possedeva un registratore con il quale si dilettava nello scoprire e risentire suoni particolari.
Questa purezza ci è restituita in maniera estremamente efficace dalla regia di Clapin, dolce e gentile. Il regista esordiente riesce a far empatizzare il pubblico con la mano grazie al solo ausilio delle sue movenze, studiate alla perfezione per trasmettere una vasta gamma di emozioni. L’arto amputato non è più lo spaventoso ragno della tradizione orrorifica, ma diventa un essere vivente con il quale viene naturale instaurare un legame: questa mano non genera orrore, lo subisce.
In un contesto nel quale il parlato è succube alla naturale sonorità della vita, la colonna sonora non può che farla da padrone nelle scene di maggior emotività. Malinconica, ma soprattutto estremamente poetica, la composizione di Dan Levy insegue disperatamente quell’ideale romantico di perdita, quando il sublime che ti sta intorno è troppo per te. È un po’ così che Naoufel e la sua mano recisa si sentono: sopraffatti.
Un posto nel mondo – Dov’è il mio corpo? recensione
In effetti la storia dei due protagonisti è indissolubilmente legata, e non solo geograficamente. Se in entrambi i casi ci viene mostrata, da differenti punti di vista, la difficile vita nella Parigi odierna, è vero anche che il contatto tra i due personaggi avviene molto più in profondità. Ambedue devono ancora elaborare una grande perdita che tutt’ora sta ampiamente condizionando la loro vita e entrambi sembrano costantemente fuori posto.
Persino il disegno stesso di Naoufel trasmette un senso di disagio: magro e spento, cozza terribilmente con i toni caldi di Parigi. Il ragazzo sembra perennemente un estraneo e le sue azioni si fanno via via sempre più difficili da interpretare, spingendo il pubblico a chiedersi se davvero hanno inquadrato correttamente il giovane. La realtà è che è impossibile inquadrare Naoufel, questo perché non è nessuno, non ha un posto nel mondo e agisce di conseguenza: una scheggia impazzita che tenta in continuazione di dribblare il destino, fallendo.
Similmente la mano, per sua stessa natura, risulta estranea alla realtà e mai nel posto giusto. Una furba iperbole per capire, attraverso un’esagerazione, la condizione del ragazzo, inserendo però un’enorme differenza. La mano di Naoufel possiede uno scopo ben preciso: trovare il resto del corpo. Al contrario il protagonista è totalmente in balia degli eventi ed è da essi totalmente schiacciato, sfigurando di fronte al proprio arto mozzato che invece affronta le proprie disavventure con scaltrezza e audacia.
Animazione adulta – Dov’è il mio corpo? recensione
Questo film non è chiaramente rivolto a un pubblico di tenera età non tanto per le scene o per i temi in sé, quanto invece per l’incredibile maturità con la quale questi due elementi vengono trattati. Clapin stesso ammette che il suo film si rivolge principalmente a “un pubblico di adolescenti e adulti”. Guillaume Laurant, autore di Happy Hand, romanzo da cui il film è tratto, e co-sceneggiatore della pellicola, svolge un lavoro sopraffino in questo senso.
Laurant immagina scene che, proprio per la loro malinconia sottesa non sono compatibili con un pubblico giovane. Alcune sequenze, principalmente i flashback in bianco e nero, presentano una tristezza di fondo che probabilmente è difficilmente comprensibile nonché digeribile per un bambino. Sarebbe riduttivo però descrivere il film come una struggente epopea, in quanto presenta anche diversi elementi thriller e action.
Queste sequenze, riguardanti per lo più la mano, mostrano l’incredibile versatilità di Clapin, perfettamente a proprio agio in ogni situazione. Emblematiche in questo senso sono le sequenze della colluttazione con un piccione, intenzionato alla difesa delle proprie uova, e lo scontro con i ratti nella Metro. Scene quasi ridicole da raccontare diventano al contrario attimi di intenso pathos incoronati da picchi di un curiosissimo grottesco che fa ben sperare sul futuro del regista francese.
Considerazioni finali
Dov’è il mio corpo? è un fantastico film d’animazione, sicuramente da tenere d’occhio durante la corsa ai vari premi. Da considerare è il tentativo di dar vita ad un connubio tra l’animazione artigianale tipicamente indipendente e la tecnologia del nuovo programma open-source Blender. Questa volontà di unire due mondi così distanti è da premiare e si presenta in alcune sequenze che nulla hanno da invidiare a un live-action, in altre dovrebbe forse essere ancor più limato l’utilizzo del rotoscope.
In generale comunque si ottiene uno stile d’animazione riconoscibile, funzionale ed efficace che porterà Clapin molto lontano. A noi non resta che metterci comodi e osservare la cavalcata del regista francese, augurandoci che ci possa regalare altri lavori come questo. Un film adulto, denso di emozioni e di tanta voglia di far passare una serie di messaggi strutturati. Un’opera ragionata, fatta di ingegno e di talento, ma anche di tanto lavoro. Dov’è il mio corpo? è un film che deve essere visto.
Dov'é il mio corpo?
Voto - 8
8
Lati positivi
- Una doppia storia emotiva e emozionante
- Una colonna sonora magnifica e immersiva
- La regia di Clapin sa quando essere dolce e quando essere rude
Lati negativi
- Stile d'animazione con dei piccoli dettagli da limare