Everything Everywhere All at Once: la recensione del film dei Daniels con Michelle Yeoh e Jamie Lee Curtis
Una commedia fantascientifica d’autore divertente e iperbolica, che cavalca con creatività ed esuberanza la metafora del multiverso
Dal 6 ottobre al cinema, Everything Everywhere All at Once (qui il trailer) è un film di fantascienza diretto da Daniel Kwan e Daniel Scheinert con lo pseudonimo di Daniels. Con Michelle Yeoh (La tigre il dragone, The Lady) nei panni della protagonista, si tratta di una pellicola a dir poco sorprendente, in cui ad una efficace comicità fantascientifica basata sui paradossi spaziotemporali si aggiunge una metafora solida, potente e non scontata sulla possibilità umana di scegliere il proprio cammino. Everything Everywhere All at Once è una surreale fiaba fantascientifica, ben scritta, che sfrutta alcuni canoni tipici del cyberpunk, attingendo ad alcuni capisaldi del genere come Matrix e al più recente Ready Player One, per fare propria la teoria quantistica del multiverso. Come in Loki della Marvel (i produttori del film sono i Fratelli Russo, registi di Avengers: Infinity War ed Endgame) si riflette sul peso che alcuni istanti della nostra vita possono avere nell’influenzare il nostro destino. Nell’ottica del film alcuni bivi posso portarci a diventare migliaia e migliaia di alter ego di noi stessi con abilità eccezionali o assurde, in luoghi canonici o anch’essi paradossali.
Se Doc in Ritorno al futuro ci avesse suggerito di pensare quadrimensionalmente, in Everything Everywhere All at Once allo spettatore viene chiesto di pensare “multiversorialmente”. È uno sforzo che il film rende accessibilissimo proprio perché la dinamica viene resa iperbolica, paradossale e, soprattutto, estremamente divertente, mantenendo però un suo strambo filo logico, brillante, originale che è spiegato con semplicità e pragmaticità scenica allo spettatore. Non ci sono grandi spiegoni in Everything Everywhere All at Once. Tutto accade all’istante come un folle uragano multisensoriale. Nel multiverso potremmo essere qualsiasi cosa (Everything), ma quanti di noi riescono a realizzare la migliore versione di se stessi? Non la protagonista del film. Nessuno può fare peggio di lei e per questo viene scelta per salvare il multiverso.
Indice:
“Pensa Multiversorialmente Evelyn!” – Everything Everywhere All at Once recensione
L’idea del film: esiste un congegno che può permetterci di collegarci per brevi attimi ad altri noi del multiverso per attingere alle loro abilità e trasformarci in super eroi… Ma bisogna stare attenti perché se si abusa di queste molteplici identità in contemporanea si può rimanere “spezzati” e “frammentati” al punto da smarrire se stessi. Evelyn Wang (una strepitosa Michelle Yeoh) vive una vita per lei insoddisfacente, molto al di sotto di tutte le sue possibilità, gestendo delle lavanderie a gettoni. In crisi col marito (l’ottimo Harry Shum Jr.), al contrario di lei, molto gentile e remissivo, e con un pessimo rapporto con la figlia Joy (Stephanie Hsu), Evelyn si appresta ad organizzare una festa per accogliere suo padre, che è venuto a trovarla dopo molto tempo. Alla paura del giudizio del genitore su come abbia speso la sua vita, si aggiunge presto una segnalazione da parte dell’Agenzia delle entrate.
È proprio davanti all’odiosa funzionaria amministrativa (Jamie Lee Curtis) che rimprovera Evelyn di inserire nelle detrazioni spese non collegate con la sua attività di lavanderia che la protagonista viene intercettata da un doppio di suo marito che prende possesso della mente di quest’ultimo, una versione alternativa che diventa suo insegnante per insegnarle gli ultra-salti nel multiverso e le rivela che lei è l’unica a poter salvare l’umanità. La minaccia è rappresentata da Jobu Tupaki, una saltatrice del multiverso che è impazzita dopo essersi fusa mentalmente con tutti i suoi alter ego in tutti gli angoli del multiverso, che può impersonare contemporaneamente in ogni momento. Sta costruendo qualcosa di oscuro, ma nessuno sa che cosa… Questo non è che l’incipit della strabiliante e frenetica fiaba dei Daniels. Una storia acuta, intelligente e originalissima nella forma, in cui non mancano né la fantascienza né il kung fu.
Una fiaba-metafora contro il nulla cosmico – Everything Everywhere All at Once recensione
Everything Everywhere All at Once è un film colto. È innanzitutto una rilettura dell’apprendimento cybernetico caro a Matrix, che qui è innescato da improbabilità (azioni folli come mettersi all’improvviso delle dita nel naso). Sono proprio queste azioni improbabili e buffe a permettere la connessione con un sé multidimensionale: una rilettura parodistica degli spinotti e dei telefoni che squillano che permettevano l’accesso alle capacità ultraumane del mondo virtuale. Al contrario che in Matrix ci si collega non con una rete ma con altro se stesso nell’infinito ramo delle possibilità quantistiche. Il film che più somiglia al concetto descritto da Everything Everywhere All at Once è Mr. Nobody, capolavoro del regista Van Dormael. Lì si fa riferimento ad una memoria pluridimensionale che si risveglia nel protagonista (Jared Leto) senza che lui voglia, al minimo contatto sensoriale, tattile o visivo che abbia qualche specularità tra le diverse vite vissute in universi paralleli.
Lo stile del regista è proustiano, un caleidocopio di possibilità e di bivi che il personaggio principale può vivere tutte contemporaneamente senza però avere alcun controllo su di esse. Il tema è affrontato con toni onirici, poetici e malinconici. Everything Everywhere All at Once sceglie un approccio diverso: diviso in tre capitoli quanti sono i concetti espressi dal titolo, parte come una parodia fantascientifica brillante. Nella seconda parte però il film rivela gradualmente tutta la sua complessità: si tratta di una fiaba-metafora in cui il nichilismo cosmico dato dall’indifferenza e dalla saturazione dovuta al poter essere tutto ovunque e in ogni momento è il grande nemico, assieme all’egoistica pretesa di essere onnipotenti, da soli. Con un messaggio tutt’altro che banale, nella sua eccentrica forma, Everything Everywhere All at Once, riflette sul dialogo e sulla necessità di realizzare noi stessi insieme agli altri. Lo fa non con pateticismi ma con una costruzione iperbolica e ipertrofica non lasciata per nulla al caso.
Incomunicabilità, indifferenza e un pirotecnico squarcio nel multiverso
Altra pellicola che somiglia un po’ al tema di Everything Everywhere All at Once è Mirrormask di Dave McKean, sceneggiato da Neil Gaiman. La somiglianza sta nella stratificata costruzione dell’inconscio che ruota attorno al legame tra madre e figlia. L’originalità del film dei Daniels è che la protagonista non è la ragazza, ma la donna adulta, la madre cinquantenne che riflette sulle proprie mancate possibilità e su quelle che ancora non è riuscita a vedere. Sul finale Everything Everywhere All at Once mostra di essere un film sui vincoli familiari e affettivi, per questo, una fiaba per adulti in cui gli adolescenti veri sono gli adulti. I colpi di scena non mancano e sono toccanti, suscitano empatia e, per quanto possa sembrare assurdo per un film così stravagante, profonda immedesimazione e verosimiglianza. Lì dove emerge il tema dell’incomunicabilità, il tentativo disperato di superare tale abisso di indifferenza è simile allo squarcio nel multiverso.
L’attenzione di Evelyn, lontana dalle manifestazioni metafisiche del suo incoscio, viene riportata sul finale a ciò che conta davvero, in un percorso che porta lo spettatore alle medesime conclusioni a cui lei arriva. La bravura e la simpatia degli gli attori, la pantagurelica contaminazione scenografica (che cita senza dubbio il film d’animazione Spiderman Un nuovo Universo) diverse brillanti intuizioni di sceneggiatura, comiche e drammatiche, fanno di Everything Everywhere All at Once una pelicola a dir poco memorabile che dice la sua sul tema attuale del multiverso, rilanciando con potenza il genere della commedia fantascientica. In tal senso il predecessore illustre è senz’altro Guida galattica per autostoppisti con cui condivide una sana dose di creativa e spiazzante demenzialità d’autore.
Everything Everywhere All at Once
Voto - 9
9
Lati positivi
- Fin da subito rende il multiverso accessibilissimo
- Divertente, empatico, visivamente pirotecnico e spiazzante
- E’ una fiaba per adulti dal messaggio per nulla scontato
Lati negativi
- Ad alcuni potrebbe pesare la durata