Fashionista: recensione del film cult di Simon Rumley
Uno sguardo approfondito su Fashionista, vincitore del premio della critica del Ravenna Nightmare Film Fest
Fashionista recensione del film cult di Simon Rumley, vincitore del Premio della Critica alla XV edizione del Ravenna Nightmare Film Fest. Il film è stato finalmente reso disponibile in Italia grazie all’etichetta The Dark Side of Movies, nata proprio dalla collaborazione tra il Ravenna Nightmare Film Fest e la piattaforma italiana di streaming CINEMAF. L’etichetta si propone infatti di distribuire i migliori film transitati nel corso delle edizioni del Festival, che non trovano altri canali di distribuzione in Italia.
Fashionista può essere considerato il manifesto dell’idea cinematografica perseguita da The Dark Side of Movies. Simon Rumley (The Living And The Dead, Red White & Blue), nome poco conosciuto nel panorama italiano, ha da sempre spaziato in territori diversi tra loro, perseguendo l’ibridazione di genere come cifra stilistica. Fashionista si inserisce all’interno della stessa linea creativa. Risulta infatti essere un dramma, un thriller e per certi tratti un horror, amalgamando la diversità in un qualcosa di sinistro e inqueitante. Il film, realizzato nel 2016, narra di feticismo e dipendenza, esplorando il lato oscuro della psiche umana e della perversione.
Indice
Fashionista recensione – Sinossi
Il film segue le vicende di April (Amanda Fuller), feticista dei vestiti con una morbosa ossessione per l’abbigliamento. La ragazza nei momenti di crisi si rifugia infatti nei tessuti, annusandoli e indossandoli per soddisfare il suo piacere e placare le sue insicurezze. Insieme al marito Eric (Ethan Embry), gestisce un negozio di abbigliamento usato di seconda mano a Austin, Texas. La coppia però risulta essere instabile e l’unico collante è proprio il grande emporio di abiti usati. Una volta scoperto il tradimento del marito con una delle commesse del negozio, la dipendenza di April per i vestiti diventa sempre più incontrollabile, trasformandosi in una vera e propria psicopatologia.
Una sera, April conosce in un bar l’affascinante Randall (Eric Balfour), anch’egli feticista di abiti femminili. Quella che per April è semplice ripicca nei confronti del marito si trasforma ben presto in un incubo senza fine. La ragazza scoprirà infatti di essere finita nelle mani di un viscido seduttore con la passione per il sadomasochismo, ritrovandosi in una spirale di ricatti e perversioni sessuali più pericolosi di quanto avrebbe mai potuto immaginare.
Il lato oscuro della psiche umana
Fashionista mostra allo spettatore i lati più oscuri della psiche umana, come precedentemente sottolineato. Il filo conduttore del film è l’ossessione maniacale per i vestiti, elemento che contraddistingue tutti i personaggi principali del film. Fashionista rientra perfettamente nella cifra stilistica di Simon Rumley, il cui cinema è permeato da un leitmotiv votato alle ossessioni. Nel film April sfoga le proprie frustrazioni e stati d’animo rifugiandosi nell’abbraccio dei tessuti, odorandoli e indossandoli per calmare le proprie nevrosi. Il marito Eric invece rasenta il disturbo ossessivo compulsivo, essendo egli un accumulatore seriale e patologico di indumenti. Randall, infine, è ossessionato dall’effetto degli abiti da donna su un corpo femminile, tanto da sfociare in una patologia ben peggiore, quella del sadomasochismo.
In Fasionista tutti i personaggi dipendono dunque da qualcosa, nascondendo un lato oscuro e deviato. Nel film non vi è mai gioia o appagamento; le compulsioni non possono, per loro stessa natura, portare infatti ad alcuna soddisfazione. Per questo motivo, le pulsioni risultano essere un’etenera dannazione per i protagonisti del film, schiavi di una patologia mentale dalla quale non riescono a liberarsi. Questo caos mentale si accompagna ad un vero e proprio caos materiale. April ed Eric vivono sommersi da vestiti, al punto di dover dormire e mangiare circondati da indumenti di ogni tipo. Rumley risulta egregio nel trasportare lo spettatore in una dimensione di confusione e smarrimento fin dai titoli di testa, accompagnati da una musica che salta da un genere a un altro, abbinandosi di volta in volta con un vestito diverso.
A fare da contraltare al mondo caotico della perversione e dell’ossesione è la figura di Hank (Devin Bonnée), senzatetto dalla valenza salvifica. Particolare la scelta del regista di affidare il concetto di equilibrio e stabilità proprio a una persona che all’apparenza sembra essere quella più fuori dagli schemi. La scelta volontaria di Hank di vivere in strada, risulta infatti essere l’unica vera ancora di sanità mentale, lontano da una società consumistica e da ogni tipo di dipendenza patologica.
Fashionista recensione – Comparto tecnico
L’opera di Rumley cerca di confondere lo spettatore, rendendo ancora più viva la confusione delle menti dei suoi protagonisti. Le scene oniriche e i salti di montaggio, ottenuti con bravura, contribuiscono a sovraccaricare di tensione la messa in scena, senza mai stancare o far perdere il filo conduttore allo spettatore. La regia di Rumley è dunque dotata di un’identità precisa, portata avanti con coerenza e determinazione fino alla fine. Indubbiamente lo stile di Rumley nell’utilizzo di flashback e linee narrative non convenzionali è influenzato dalla cinematografia anticonvenzionale di Nicolas Roeg, a cui il film è dedicato.
L’apice del film viene raggiunto durante la parte centrale. La musica elettronica crea la giusta cornice per un climax di grande tensione. Successivamente il film viene accompagnato verso la fine da inquadrature più limpide e chiare, prima di ritornare nella sfera più criptica in un finale decisamente ambiguo. Da sottolineare il buon lavoro al montaggio, firmato da Tom Sainty. Ogni sequenza infatti non è mai autoconclusiva, ma sempre inframezzata ad altre, in modo da rendere visivamente le patologie di cui soffrono i protagonisti. L’obiettivo è raggiunto anche dalla fotografia cangiante, firmata da Milton Kam, contribuendo a rendere unica la cifra stilistica di Simon Rumley.
Conclusione e considerazioni
Fashionista di Simon Rumley è un buon film, che riesce a confondere e a spaesare lo spettatore, facendolo sprofondare nel pericoloso mondo delle ossessioni e delle perversioni. Nel caos psicologico e visivo del film, è sempre distinguibile una direzione finale, ma nonostante questo, la pellicola risulta imprevedibile nella sua chiusa ambigua e spiazzante. Ottimo il comparto tecnico, dal montaggio al sonoro, capace di sottolineare i vari momenti e stati d’animo nel modo più adeguato possibile. Ottima anche la prova di Amanda Fuller, in grado di restituire il disagio e la follia dietro all’ossessione.
La sceneggiatura però convince solo a metà. Lo stato di dipendenza in cui vivono April ed Eric non è approfondito a dovere, lasciando troppo spazio alla crisi della coppia, alimentata dal tradimento. La venatura drama del film soffoca dunque per larghi tratti il lato patologico e perverso del film. Fashionista è avvolto da un fascino oscuro nel suo essere borderline e se si ha la pazienza di terminare la visione, si può essere piacevolmente colpiti. Qualche imperfezione mina la buonissima riuscita dell’opera, ma grazie alle idee inusuali e alla regia non convenzionale di Simon Rumley, Fashionista risulta essere nel complesso un film più che sufficiente.
Il film è distribuito in Italia da The Dark Side of Movies sulla piattaforma streaming CINEMAF.
Fashionista
Voto - 6.5
6.5
Lati positivi
- La regia non convenzionale di Simon Rumley costituisce un elemento innovativo e interessante
- Fotografia, montaggio e sonoro sono sempre coerenti con la dimensione caotica del film
- Amanda Fuller dà vita a una prova tormentata e straziante
Lati negativi
- Sceneggiatura non eccellente. Il regista perde il focus del film più volte
- Narrazione a tratti spenta e troppo confusionaria