Fleabag: la recensione della serie TV di culto Amazon Video
Fleabag ha appena visto approdare su Amazon Video la sua seconda e ultima stagione. Ecco la nostra recensione della serie nella sua interezza.
Fleabag recensione della serie TV. Da pochi giorni, su Amazon Video, è disponibile la seconda e ultima stagione di una serie di culto. Fleabag, creata e interpretata da Phoebe Waller-Bridge, ha sorpreso tutti nel 2016 sulla BBC per poi passare ad Amazon per altri sei nuovi episodi. Ispirato a un monologo teatrale della stessa attrice, attraversa le lunghe giornate di una trentenne inglese nel pieno di una profonda confusione interiore. Un lavoro che non la soddisfa, una sorella che la ritiene un costante fallimento, un padre vedovo ora accompagnato a una donna odiosa… insomma, molto di cui lamentarsi.
La protagonista ha un segreto cupo alle spalle, un sarcasmo affilato con cui si fa strada nella vita e nei rapporti e un uso del sesso occasionale come valvola di sfogo. Se la prima stagione è una sorta di presentazione del personaggio e dei comprimari, la seconda indaga a fondo su ciò che tutti desiderano e aspirano dalla vita. Una serie che colpisce al cuore e che difficilmente vi lascerà indifferenti. Vi lasciamo quindi a Fleabag recensione.della serie disponibile su Amazon Prime.
Fleabag: la recensione
Cercando la traduzione del termine Fleabag incappereste in “Sacco di Pulci”. Non è un vezzeggiativo, quindi, è il fatto che la protagonista lo scelga come suo nomignolo identificativo (non sapremo mai quello reale) la dice già lunga. Fleabag ha 33 anni, un lavoro in una caffetteria che fatica a decollare e una famiglia molto disastrata. La sorella Claire ha un compagno insopportabile e un figlio problematico ma sembra in costante lotta per essere perfetta. Dopo la morte della madre, le due sorelle hanno dovuto affrontare la relazione del padre con una odiosa artista interpretata dal Premio Oscar Olivia Colman. La nostra Fleabag ha un ex-fidanzato con il quale ha rotto svariate volte e una vita sessuale piacevolmente attiva.
Eppure non siamo di fronte a un personaggio sarcastico e acido sullo stile di Hank Moody o Gregory House. Fin dall’Episodio Pilota, Fleabag guarda e parla in macchina, rivolgendosi a noi spettatori. Quando lo fa tende a commentare ciò che avviene, a prevedere atteggiamenti di chi conosce, ad anticipare battute. A volte, però, sembra rivolgersi a noi con uno sguardo che cerca aiuto, ci osserva con la coda dell’occhio sperando di ottenere sostegno. Perché il suo passato ha una macchia devastante dotata di nome: Boo, la sua migliore amica. Boo era la responsabile della nascita della caffetteria ma ora è morta. Le ragioni dietro la sua scomparsa sono un buco nero che ha scavato in profondità dentro Fleabag e che sembra non riempirsi mai.
La seconda stagione vedrà la protagonista alle prese con il matrimonio del padre e l’incontro con il prete che officerà la cerimonia (il magnifico Andrew Scott). L’incontro e l’attrazione che proverà per quest’ultimo saranno il trampolino di lancio verso un principio di ricostruzione e accettazione di sé. Un primo passo che noi spettatori, già innamorati di Fleabag, vogliamo vederle compiere.
Fleabag e l’importanza della narrazione
Capita frequentemente che un autore riesca a realizzare un progetto desiderato da tempo e lo trasformi nella sua opera magna.L’attrice Phoebe-Waller Bridge ha sviluppato l’idea centrale di Fleabag partendo da un breve monologo scritto come “sfida” con altri colleghi. Da lì, è riuscita a trasformare lo spunto iniziale in una serie profondamente personale anche se non autobiografica. La stessa autrice ha più volte ricordato di condividere con la protagonista soltanto il gusto per la battuta a effetto ma, attraverso lei, ha potuto affrontare temi complessi in una felice alternanza tra ironia e dramma.
Fleabag sorride spesso. Lo fa davanti ai suoi interlocutori, lo fa guardando in macchina, lo fa mentre compie delle azioni. Non è un sorriso rassicurante, però. Sembra che il suo obiettivo sia fingere volutamente allegria e complicità quando, al contrario, ostenta quell’espressione per mascherare disappunto e disagio. Non è un personaggio piacevole ma, a differenza di altri “odiosi” televisivi, innesca fin da subito una sincera empatia. Non è difficile intravedere un dolore e una incapacità di relazionarsi che cercano costantemente di farsi strada e, su questo, agisce l’intero impianto della serie.
La regia sottolinea i bruschi cambi d’umore della protagonista e lo fa senza mai permettere che un registro sostituisca l’altro. Si passa da lunghe riprese di dialoghi (brillanti) a improvvisi flash visivi quando si affrontano i traumi del personaggio. Istantanee della migliore amica Boo prima che morisse, montate in modo rapido e fulmineo come solo i brutti pensieri sanno essere. Lì il sorriso di Fleabag si spezza e getta gli occhi verso di noi, suggerendo quale sia il nostro vero ruolo attivo in questa serie.
Fleabag recensione: “Con chi stai parlando?”
Nella prima stagione, l’infrangere della quarta parete da parte di Fleabag è un espediente tanto efficace quanto convenzionale. Dai tempi di Michael Caine in Alfie fino al Frank Underwood di House of Cards, rivolgersi al pubblico funziona sempre. Nella seconda, però, questa tecnica narrativa acquista una dimensione inaspettata perché anche il prete del quale la protagonista si innamora inizia a notarla. Quando Fleabag si rivolge a noi perplessa e Andrew Scott replica il gesto domandandole “Con chi stai parlando?” ci ritroviamo per la prima volta a capire cosa stia accadendo. Siamo dalle parti di una meta-narrazione che non si è esplicitata fin dal primo minuto ma che ha lavorato in profondità, attraverso i dettagli e la scrittura.
Sempre nella seconda stagione, durante una sequenza ambientata nel confessionale di una chiesa, Fleabag ammette il suo desiderio di avere qualcuno che le dica “Cosa fare” perché si sente persa. Quale frase migliore per evidenziare come la nostra eroina non aspiri a essere un personaggio reale ma viva con consapevolezza il suo essere un prodotto di finzione. Una creatura immaginaria che necessita di un autore capace di indirizzarla perché da sola non è in grado di farlo. E noi passiamo dal rango di spettatori a quello di confidenti e, forse, amici di questa donna. Lei non si rivolge a noi per raccontare una storia, lo fa per raccontare se stessa e, per noi, questo scarto improvviso ha l’effetto di un salutare plot twist.
Fleabag recensione – In Conclusione
Ogni stagione di Fleabag è composta da sei episodi da trenta minuti ciascuno. Fatevi un favore personale e recuperateli tutti perché non ve ne pentirete. Insieme a The Marvelous Mrs. Maisel (che, però, adottava tono e approccio diverso) siamo di fronte a una lucidissima analisi che sembra rivolta solo al pubblico femminile ma che, in realtà, abbraccia tutti. Non esiste arma più tagliente dell’ironia per affrontare con occhio attento le mille contraddizioni della vita e di ciò che dobbiamo affrontare. E quando, sempre armata del suo sorriso, Phoebe Waller-Bridge si rivolge a noi per l’ultima volta ci sentiamo sia dispiaciuti che felici per lei. Perché è un personaggio che sembra non riuscire nella ricerca della propria felicità ma che, forse, solo vivendo momenti di infelicità troverà un precario ma sospirato equilibrio… e non lo siamo un po’ tutti?
Fleabag
Voto - 8
8
Lati positivi
- Un'attrice/autrice strepitosa
- Convenzioni ed espedienti classici della serialità vengono rielaborati in chiave personale
Lati negativi
- L'unico lato negativo che vi percepiamo è la sua brevità... ne vorremmo ancora!