Gli anni più belli: recensione del film diretto da Gabriele Muccino
Il più borderline tra i registi italiani porta al cinema la forza dirompente del kitsch
Gli anni più belli è l’ultima fatica del regista italiano Gabriele Muccino (giunto così al suo dodicesimo lungometraggio). Il film è scritto da Muccino insieme a Paolo Costella (tra gli sceneggiatori di Perfetti Sconosciuti); nel cast Pierfrancesco Favino, Kim Rossi Stuart, Micaela Ramazzotti e Claudio Santamaria. Il film segna l’esordio sul grande schermo di Emma Marrone, cantante italiana alla sua prima esperienza da attrice. A due anni di distanza dall’uscita di A casa tutti bene, il più impetuoso tra i registi italiani torna con Gli anni più belli, film di cui vi proponiamo la recensione. Il titolo del film è mutuato dall’ultimo brano di Claudio Baglioni: il cantautore avrebbe scritto la canzone ispirandosi al film di Muccino, che inizialmente avrebbe dovuto avere un altro titolo. La colonna sonora è affidata a Nicola Piovani.
Il film segue la storia di quattro amici (tre uomini e una donna) lungo un arco temporale di quarant’anni. I sogni e le scelte di ognuno di loro avranno delle ripercussioni sulle esistenze degli altri: è ciò che accade quando si accetta di instaurare legami affettivi viscerali. Il più grande amico fa presto a diventare acerrimo rivale, l’amore più travolgente è fonte del dolore più corrosivo. Ogni sentimento induce ad affrontare percorsi nuovi, ma in questi percorsi piazza sempre alcuni ostacoli; ogni passione regala una dose di energia inedita, per sottrarcene più tardi lo stesso quantitativo. Cosa c’è alla fine di questo viaggio imprevedibile, in cui si susseguono nervosamente discese e salite? Quali sono le scelte che ci permetteranno di voltarci indietro e gioire di ciò che abbiamo realizzato? Il regista prova a rispondere a questi interrogativi con un film denso, caotico e per nulla minimale.
Indice
La trama – Gli anni più belli recensione
Giulio, Paolo e Riccardo si conoscono da adolescenti. Giulio è figlio di un gommista, è cresciuto nell’indigenza e sogna di diventare avvocato; Paolo è orfano di padre ed è legatissimo alla madre, ama il latino e il greco e ha una vocazione per l’insegnamento; Riccardo ha due genitori benestanti, accoglienti e di ampie vedute. L’infanzia dei tre ragazzi è ritratta solo sullo sfondo, e si può ricostruire grazie a concisi accenni degli stessi protagonisti; eppure è evidente come ogni scelta dei tre sia stata influenzata dal contesto familiare che li ha forgiati. Giulio (Pierfrancesco Favino) è costretto fin da piccolo a pensare al futuro, per sfuggire a un presente di stenti e per nulla stimolante. Riccardo (Claudio Santamaria) al futuro sembra invece non pensarci, neppure quando quel futuro inizia a diventare presente; la sua giovinezza dolce gli lascia nel volto una lieta inconsapevolezza, che egli faticherà a togliersi di dosso.
In mezzo a loro c’è Paolo (Kim Rossi Stuart), che trascina nel gruppo di amici Gemma (Micaela Ramazzotti). Paolo guarda al futuro con coscienza e moderazione; lontano dai deliri ambiziosi di Giulio come che dall’incanto acerbo di Riccardo, Paolo impara ad amare e a vivere prima dei suoi amici. Forse per questo la vita gli riserva presto i contraccolpi più duri, o forse è la precoce maturità che gli farà avvertire quei contraccolpi in tutta la loro veemenza. È lui il primo a cadere, di conseguenza il primo che impara a rialzarsi. Ma Paolo è anche il primo ad innamorarsi, quando tra i banchi conosce Gemma. Gemma è bellissima, svagata e molto indecisa; per lei il futuro non esiste perché un presente poco clemente, non adatto a una ragazza di soli sedici anni, assorbe tutte le sue energie.
Un film contenitore – Gli anni più belli recensione
Se tanti hanno colto i rimandi a C’eravamo tanto amati di Ettore Scola, c’è da dire che Gli anni più belli ha in sé tutti i film corali dello stesso Muccino. Il regista vomita sulla pellicola ciò che vorrebbe accadesse nella vita reale; condensa quattro decenni in poco più di due ore, rielaborando problematiche affrontate in passato sotto la luce della maturità. I tradimenti che nell’Ultimo Bacio erano una ferita distruttiva, qui sono assorbiti con maggiore morbidezza (sempre e comunque strillata). I personaggi portano negli occhi la consapevolezza dei cinquant’anni del regista, anche quando nel film ne hanno solo venti. Le reazioni a delusioni e colpi bassi sono sempre irrefrenabili, l’approccio dei protagonisti ai fallimenti è sopra le righe; ma l’occhio del regista è più adulto, quasi paterno, e ridimensiona gli eccessi nevrotici dei suoi personaggi.
Se in passato il regista si lasciava fagocitare dagli eventi insieme ai suoi personaggi, qui li dirige con passione e un sano distacco. Il film abita il confine tra magnetica normalità e banalità un po’ leziosa; i personaggi si situano a metà tra ciò in cui tutti desideriamo riconoscerci, e ciò in cui tutti siamo un po’ stufi di riconoscerci. Ma la storia aggredisce lo spettatore non lasciandogli il tempo di riflettere. L’eccesso di ambizione pagato quanto l’assenza di obiettivi, la solitudine che arriva in età adulta a punire la tracotanza giovanile; la forza di chi non tradisce la propria natura, il coraggio di chi torna alle origini dopo averle rinnegate: Muccino erotizza tutto a suo modo. Anche la frase più stucchevole e lo sguardo più affettato assumono una propria, inestirpabile potenza. Per questo motivo gli si perdonano forzature narrative e alcuni cliché, sparsi per quasi tutto il film.
Analisi tecnica – Gli anni più belli recensione
Gli eventi nel film si susseguono secondo un andamento temporale lineare, fatta eccezione per l’incipit che si riconnette all’epilogo. Gli anni più belli è complessivamente ben scritto, ma in questa recensione ci preme sottolineare come i dialoghi non raccontino nulla di nuovo; manca una lettura della realtà stratificata e trasversale, compensata però da scelte registiche travolgenti. Durante il film gli attori spezzano la narrazione per dialogare con lo spettatore, e nel frattempo la macchina li segue con movimenti nervosi, agitati. In perfetto stile mucciniano, questo film è portatore di tempesta e impeto in ogni dettaglio. La resa è grossolana ma molto trascinante; è quasi impossibile staccare gli occhi dallo schermo, a patto che lo spettatore apprezzi anche il cinema non sofisticato. La fotografia sceglie una gamma di colori che va dal giallo al rosso scuro, passando per il rosa e l’arancione: tutte tinte calde e molto sature.
Muccino spinge sull’acceleratore e per questo fa centro. Il film è una macedonia di elementi grezzi ed emotivamente carichi, che si sovrappongono creando un caos di forte impatto; i costumi e gli scenari richiamano (anche troppo) le atmosfere degli anni di ambientazione. La colonna sonora di Piovani accompagna quasi l’intero svolgimento del film, sottolineando i momenti più intensi; non c’è spazio per i silenzi, e questa è la scelta più azzeccata del regista. Nei pochi momenti in cui il ritmo si distende, infatti, emerge la scarsa cura dei dettagli e la scrittura poco originale. Muccino forza gli eventi per far accadere ciò che vuole nel minor tempo possibile, ed è inevitabile che alcune scelte risultino inverosimili. I personaggi si incontrano casualmente troppe volte (in una città come Roma, in cui probabilmente l’ultimo incontro casuale è avvenuto quando c’era ancora in giro Tarquinio il Superbo).
Interpretazioni e considerazioni finali
Kim Rossi Stuart regala la performance più riuscita del film: restituisce l’equilibrio e la compostezza di Paolo, facendone emergere fragilità, tenerezza e sottile ironia. Pierfrancesco Favino, che dà il meglio di sé nell’arte del trasformismo, qui riesce comunque a mettere in luce il conflitto interiore (mai davvero soluto) di Giulio. Claudio Santamaria e Micaela Ramazzotti sono i soliti Santamaria e Ramazzotti: sembra che i ruoli siano stati scritti a posta per loro, uguali a sé stessi ma non per questo meno convincenti. Bravi anche i ragazzi che interpretano i protagonisti da adolescenti: bella l’energia vorace di Francesco Centorame, che mette in scena un giovane Giulio identico a come ce lo saremmo immaginato, osservando la versione adulta. Brava anche Alma Noce, a tratti un po’caricaturale ma più Micaela Ramazzotti della stessa Ramazzotti. Non male l’esordio di Emma, che interpreta la Sabrina Impacciatore dei film di Muccino.
Il parossismo emozionale è la cifra di questo film. come di buona parte della filmografia di Gabriele Muccino. Avviandoci alla conclusione della nostra recensione de Gli anni più belli, sottolineiamo come il film sia riuscito, pur con i difetti già evidenziati. L’effetto energizzante che scaturisce dalla visione è inconfutabile, ma chi non apprezza lo stile del regista rimarrà deluso anche da questo film. L’isteria catartica, la devastazione come preludio a una più rapida ricostruzione, la rabbia urlata allo scopo di emendare e emendarsi (cosicché la stessa, sopita, non diventi infetta). Vite normali e reazioni apparentemente anormali, o forse solo conformi alla ferocia della normalità, a cui nessuno può scampare. Tutti prima o poi sogniamo di vivere una vita alla Muccino. E tutti avremmo il coraggio di viverla, se solo avessimo la certezza che, al momento opportuno, una voce salvifica dalla regia ci urlerà “Stooooooooop”.
Gli anni più belli
Voto - 7
7
Lati positivi
- Le scelte registiche molto incisive
- L'energia che permea tutto il film
- L'interazione e la complicità tra i protagonisti
Lati negativi
[tie_list type="thumbdown"]
- I dialoghi un po' banali
- Alcuni snodi narrativi irrealistici e forzati
- Non adatto a chi non ama lo stile di Muccino
Scritta bene questa recensione ma non concordo sul fatto che sia inverosimile incontrare persone in autobus a Roma etc…a parte che può avere un significato ( il destino, l’ amore che vince etc) ma non è inverosimile, se poi si vuole banalizzare allora sì , è da Tarquino il superbo che…
Favino piuttosto sotto tono rispetto ai suoi standard secondo me…Emma si vede che non è esperta…per il resto è un bellissimo film vale più del voto 7 che è stato dato