Gone Girl – La recensione del thriller di David Fincher
Fincher dirige Ben Affleck e Rosamund Pike in questo thriller sorprendente
Dopo tre anni da The Girl with the Dragon Tattoo, il maestro del thriller David Fincher nel 2014 torna nelle sale di tutto il mondo con Gone Girl. Il film è tratto dal bestseller “L’amore bugiardo” di Gillian Flynn, la quale si è poi occupata anche di curare la sceneggiatura della pellicola. Thriller di buona fattura (per usare un eufemismo), Gone Girl non delude le aspettative di nessuno, pur facendo molto discutere. Noi di FilmPost vi proponiamo quindi la nostra recensione, andando a guardare con la lente d’ingrandimento questo ultimo film di Fincher.
Gone Girl – la recensione del thriller di David Fincher
Amy e Nick
Proviamo a fare una rapida panoramica su quella che è la trama di Gone Girl. Nick Dunne (Ben Affleck) e sua moglie Amy (Rosamund Pike) sono una coppia sposata, la cui relazione sta attraversando una fase non proprio rosea. Una mattina, Nick realizza della terribile scomparsa della moglie. Sin da subito, il fatto attrae le attenzioni di media e stampa, essendo Amy molto nota per la sua serie di libri per bambini chiamata “Amazing Amy”.
La vicenda, seppur misteriosa, inizialmente dà l’impressione di poter essere quantomeno lineare. Tuttavia, dopo poco dall’avvio delle indagini, la storia prende man mano dei risvolti impensabili. Il ventaglio delle possibili piste da seguire si amplia a tal punto che non si ha minimamente idea di cosa possa essere successo alla povera Amy.
Chiaramente non parliamo di un caso, né di un’eccezione. Il fatto che l’intreccio di Gone Girl sia così perfetto e ben pensato è frutto della bravura senza eguali di un regista che di thriller se ne intende. Dalla mente di chi ha plasmato capolavori come Seven e Fight Club, non aspettarsi un film come Gone Girl sarebbe insolente. Ma cos’ha di speciale questa pellicola?
Innanzitutto, come già detto, l’intreccio. La trama è ben scritta grazie alla penna di Gillian Flynn, ma il modo in cui la regia incastra gli eventi tra loro è illuminante. La storia si sviluppa su più livelli attraverso vari punti di vista. Se vogliamo, una scelta “nolaniana”, seppur con fini dissimili.
Nolan tende a sfruttare la molteplicità dei livelli narrativi per amplificare l’effetto “mind-blowing” che sviluppa lungo l’intero film. Per Fincher invece è solo un espediente strutturale, un modo per gettare le basi di una trama contorta al massimo delle sue potenzialità. Vi è la volontà di confondere lo spettatore a tal punto da renderlo una preda in balia degli eventi, proprio come lo spaesato Nick Dunne. Una volta fatto ciò, l’empatia per il protagonista diviene totale.
Un thriller a regola d’arte
Altro aspetto interessante è l’approccio prepotente con il quale la pellicola incappa in svariati temi. In primis, viene mossa una non troppo velata critica alla spettacolarizzazione della cronaca nera. L’argomento di certo non ci è sconosciuto, trovando in Italia vari esempi a riguardo anche solo spulciando tra le emittenti televisive nostrane. L’abuso da parte dei media (Tv, social media, stampa) è talmente spudorato da risultare rivoltante.
L’accanimento che si muove verso Nick, sospettato responsabile per la scomparsa di Amy, è emblematico. La voglia di puntare il dito contro qualcuno, di consegnare alla folla un “cattivo” per cui provare ribrezzo, tutto ciò ingolosisce la stampa. Questo è pericolosamente analogo a quanto accade nella realtà.
Non possiamo non parlare anche della performance clamorosa di Rosamund Pike. Interpretare un personaggio come Amy rappresenterebbe un’impresa ardua per chiunque. Le sfaccettature psicologiche della donna, le sue sfumature caratteriali, l’evoluzione del personaggio, la mimica facciale per rendere al meglio gli stati d’animo non sempre decifrabili: queste sono solo alcune delle difficoltà da mettere in conto se si accetta un incarico del genere. Tuttavia, la Pike dà alla luce la sua interpretazione migliore, guadagnandosi una candidatura agli Oscar come migliore attrice protagonista.
Ultima, ma non meno importante, è la componente visiva. Gone Girl è un film che gira attorno alla tensione, vi si basa interamente, proprio come un thriller a regola d’arte. L’atmosfera in cui veniamo immersi è permeata d’inquietudine, di malessere, di paura. Ciò è reso possibile grazie all’apporto di un comparto tecnico impeccabile. La fotografia si adatta all’ambiente, diventa fredda ed inquietante. Inoltre l’impatto visivo di certe scene risulta di alto livello, regalando allo spettatore persino quel pizzico di graphic violence che non guasta mai.
Conclusioni
Con questa pellicola, Fincher non solo conferma di non saper fare film brutti, ma anche di non saperli fare noiosi. Nei suoi 149 minuti non vi è mai banalità ma solo tensione. Il finale è molto opinabile ed aperto a discussioni, non riesce a conquistarsi l’assenso unanime del pubblico.
Ciononostante, sia per chi l’ha apprezzato in toto che per chiunque altro, il film non può che essere un gioiello del genere. Un gioiello forgiato da mani esperte, le stesse mani che (giusto per citare un esempio) sono riuscite a rendere una storia di nerd programmatori uno dei film più interessanti degli ultimi anni. Questa, però, è un’altra storia…
Gone Girl
Voto - 8.5
8.5
Lati positivi
- Trama coinvolgente e ben strutturata
- Comparto tecnico impeccabile che si adatta alla storia
- Recitazione di alto livello
- Susseguirsi mai banale degli eventi
Lati negativi
- Finale molto opinabile (Anche se, francamente, non è proprio la possibilità di confrontarsi ad essere il bello del cinema?)