Gravity: la recensione del film di Alfonso Cuarón, disponibile su Netflix
Gravity è lo space movie diretto e sceneggiato (insieme al figlio Jonás) dal regista di “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban”, il messicano Alfonso Cuarón; anche produttore e co-montatore. Ritenuto dalla critica uno dei migliori film del 2013, è considerato anche uno dei migliori film di sempre ambientati nello spazio, nonostante siano presenti alcune incongruenze scientifiche.
Gravity: la recensione del film di Alfonso Cuarón, disponibile su Netflix
La trama
In circa novanta minuti Gravity racconta un viaggio nello spazio, con tutte le meraviglie e le difficoltà del caso. La dottoressa Ryan Stone (una brillante Sandra Bullock) e il comandante Matt Kowalsky (un George Clooney meno convincente) sono gli unici protagonisti del film, presenti sullo schermo per la quasi totalità del tempo.
I due sono stati scelti per adempiere ad una missione importante, ossia riparare il telescopio spaziale Hubble. Durante i lavori di manutenzione, e qualche chiacchiera che appare leggermente fuori luogo, vengono avvertiti da Houston che un pericolo incombe. Un missile spaziale ha colpito un satellite russo, il quale ha causato una catena di scorie che sfrecciano nella loro direzione. Subito, quindi, la leggerezza delle conversazioni precedenti svanisce, per lasciare spazio ad una corsa contro il tempo per la sopravvivenza.
La fotografia
Curata da uno dei più grandi direttori della fotografia dei nostri tempi, Emmanuel Lubezki, la fotografia di Gravity è a dir poco sensazionale. Sin da subito infatti ci troviamo davanti ad una vista mozzafiato, ossia la nostra “madre Terra” – come la chiama appassionatamente Kowalsky – attorniata dal nero dello spazio e dal luccichio delle stelle.
Nonostante si tratti per l’80% di computer grafica (primato tolto ad Avatar, che vantava “solo” il 60%) le immagini che Gravity ci propone ci fanno entrare, per quasi 90 minuti, in un’altra dimensione; facendoci dimenticare di vivere sulla Terra. Oltre alla lucentezza e alla spettacolarità delle immagini, però, sono due i principali elementi che fanno di Gravity un vero gioiello della fotografia.
Innanzitutto i lunghissimi piani-sequenza di cui è composta la pellicola, la quale ricorre al taglio classico pochissime volte. Se si pensa che il primo, meraviglioso piano-sequenza dura la bellezza di 17 minuti, ci si può rendere conto della complessità di un lavoro simile. La camera si muove coerentemente con i corpi dei due protagonisti; ruota loro attorno come se anch’essa gravitasse nell’orbita, infondendo allo spettatore un senso di magia e meraviglia assai raro. Anche le soggettive (e le false soggettive) della Bullock rispondono allo stesso criterio, regalandoci un senso di claustrofobia davvero impressionante, quasi stessimo utilizzando un VR.
In secondo luogo, tramite un magistrale lavoro di post-produzione, i tecnici della fotografia sono riusciti nell’impresa di creare l’effetto 3D senza tuttavia l’utilizzo di specifici occhiali. Le lacrime della dottoressa Stone galleggiano nell’aria come se fossero davvero sullo spazio, dandoci l’impressione di poterle afferrare a mano nuda, dentro lo schermo.
Altri aspetti tecnici
Ma la fotografia non è l’unica perla di questo space movie. Infatti il regista messicano è molto abile ed esperto e con Gravity toglie ogni dubbio a riguardo. Oltre ai numerosi piani-sequenza, ai primi piani di una bellezza unica e alle soggettive a dir poco intense, Cuarón ci delizia con dei campi e controcampi apparentemente errati, ma in realtà frutto di una ricercatezza stilistica quasi senza precedenti.
La colonna sonora, inoltre (a cura di Steven Price) ci connette maggiormente al senso di claustrofobia e tensione che le immagini e l’interpretazione degli attori ci infondono; facendo di Gravity un vero recettore per i nostri sensi, quasi fossimo caduti in una sorta di lunghissima trance. Il montaggio sonoro, opera di Glenn Freemantle, è anch’esso curato nei minimi dettagli. I suoni, le voci, e soprattutto i silenzi sono percepiti come veri, presenti e necessari, così come persino le musiche extradiegetiche.
Non sono da meno montaggio ed effetti speciali. Il primo è curato dallo stesso regista, insieme a Mark Sanger, mentre i secondi da un gruppo di veterani, come Tim Webber e Neil Corbould. Tutto, in Gravity, risponde ad un solo criterio: intensificare i nostri sensi, ammaliarli, renderli strumento di stupore e meraviglia.
La sceneggiatura è molto semplice
Forse l’unico elemento di disturbo, se così si può definire, è una sceneggiatura molto semplice, accompagnata da dialoghi che sembrano un po’ forzati. Se infatti le immagini e i suoni ci rendono prigionieri dello spazio, i dialoghi ci riportano sulla Terra; ci distolgono dalla meraviglia del cosmo, facendoci ricordare di essere semplici cittadini del mondo. Sono soprattutto i dialoghi iniziali, tuttavia, ad essere stonati e leggermente fuori contesto; mentre nella parte centrale e finale del lungometraggio essi si dimostrano coerenti con l’atmosfera che suoni e immagini creano.
Infine, come dichiarato da dipendenti della NASA, fisici e astronauti, sono presenti nel film alcune importanti imprecisioni scientifiche, come il modo di muoversi dei due protagonisti e la rapidità della pioggia di detriti. Tuttavia altri aspetti tecnici sono risultati molto credibili, come la rappresentazione del telescopio Hubble e la vista sulla Terra.
Riconoscimenti e conclusioni
Con i suoi pregi e difetti, Gravity ha infranto numerosi record. Oltre a quello già citato della presenza di computer grafica, è oggetto di un boom (del tutto inaspettato) ai botteghini. Lo space movie di Cuarón è infatti il primo per incassi autunnali, per dirne una, e ha tenuto una media spettatori altissima anche nei tre weekend successivi.
Non risulta strano, quindi, che il lungometraggio sia stato il protagonista assoluto dell’edizione 2014 degli Academy Awards, portando a casa ben sette statuette su un totale di dieci candidature. Non è riuscito a vincere per le categorie di Miglior film, Migliore attrice protagonista e Miglior scenografia; ma ha sbaragliato tutti i concorrenti per gli aspetti tecnici: Migliore regia, Miglior fotografia, Miglior montaggio, Migliori effetti speciali, Miglior sonoro, Miglior montaggio sonoro e Miglior colonna sonora.
Gravity, oltre ad ammaliare i sensi, riesce anche a rappresentare benissimo i quattro elementi: l’aria irrespirabile dello spazio; l’acqua, presente nel finale; il fuoco nemico e la terra, sempre e comunque la nostra Madre.
Da vedere almeno una volta nella vita.
Gravity - Recensione del film di Alfonso Cuarón
Rating - 7.5
7.5
The Good
- Fotografia straordinaria
- Regia impeccabile
- Colonna sonora indimenticabile
- Sandra Bullock all'altezza
The Bad
- Sceneggiatura semplice
- Dialoghi leggermente forzati
- George Clooney poco credibile