Harvest: la recensione del film di Athina Rachel Tsangari – Venezia 81

La nostra recensione del film di Athina Rachel Tsangari con protagonista Caleb Landry Jones: un peculiare western ambientato in uno spazio/tempo sospeso - Concorso

Dopo aver presentato nel 2010, in Concorso, il suo Attenberg per cui la protagonista Ariane Labed è stata premiata con la Coppa Volpi per la Miglior interpretazione femminile, Athina Rachel Tsangari porta a Venezia 81, ancora una volta in Concorso, Harvest con protagonista Caleb Landry Jones. Ed è un ritorno anche per Landry Jones che nel 2023 aveva incantato il Lido con la sua straordinaria interpretazione in Dogman di Luc Besson. Scritto dalla stessa Tsangari insieme a Joselyn Barnes, Harvest – adattamento dell’omonimo romanzo di Jim Crace – è una sorta di peculiare western ambientato in un luogo e un’epoca imprecisati e che segue le vicende di un gruppo di abitanti di un villaggio agricolo che si ritrova al traumatico confronto con la modernità, che porta con sé cambiamento e distruzione, nonché il progressivo sgretolamento del senso stesso di comunità. Insieme a Caleb Landy Jones nel ruolo da protagonista di Walter, completano il cast di Harvest anche Harry Melling, Rosy McEwen, Arinzé Kene, Thalissa Teixeira e Frank Dillane.

Indice:

L’avvento della modernità e la perdita del senso di comunità – Harvest recensione

Le vicende di Harvest si svolgono in un luogo e un tempo indefiniti, in un villaggio immerso in una natura che la macchina da presa di Tsangari esalta in ogni sua forma e dettaglio. Partendo proprio da questa indefinitezza, la regista si prende la libertà creativa di immaginare abiti, usanze, dinamiche sociali e di potere, senza la costrizione di dover rappresentare una determinata epoca in maniera puntuale. Walter Thirsk (Caleb Landry Jones) è un uomo che non è nato in quel villaggio e che è stato in qualche modo “adottato” da quella comunità dopo il matrimonio con la moglie poi prematuramente scomparsa. Lavora per il padrone Charles Kent (Harry Melling), un uomo mite e che sembra fuori posto nell’esercizio del comando e che, a sua volta, è rimasto vedovo. Quella che ci viene presentata nel primo atto del film è una comunità piuttosto chiusa, legata alla propria dimensione e molto coesa seppur non estranea a qualche fisiologico conflitto interno.

Le vicende di Harvest – raccolto – si svolgono nell’arco di sette giorni e quello su cui la regista greca punta l’obiettivo è il processo di disgregazione irreversibile all’interno della comunità allorché si trova ad avere a che fare con l’avvento di un cambio epocale. Si tratta del passaggio dalla dimensione pre-industriale all’avvento della modernità e delle prime forme di capitalismo con il relativo esproprio delle terre. Il meccanismo che innesca il cambiamento arriva quindi dall’interno, non si sviluppa in seno alla comunità ed è un processo fatale. Il ritratto che Tsangari fa di questo gruppo è interessante specie nell’analisi del confronto col mondo esterno (con gli “invasori”), tra diffidenze, scontri e persino qualche accusa di stregoneria. E se la storia di Harvest tratta di una comunità intera, il focus principale è sul personaggio di Caleb Landry Jones. Il personaggio di Walter spicca anche nel suo essere una figura diversa dagli altri: pur visceralmente legato alla sua terra, è più curioso e più aperto, più propenso al cambiamento e per questo a sua volta oggetto di diffidenze. Landry Jones è artefice di un’ottima prova, fatta di sguardi e di gesti più che di parole.

harvest recensione

Harvest. BBC Films, Sixteen Films, Louverture Films, The Match Factory, Haos Film, Why Not Productions, Arte France Cinéma

Harvest è un film visivamente affascinante ma spesso troppo ostico e ripetitivo

Se nel primo atto Harvest si prende il suo tempo per immergere lo spettatore in un’atmosfera sospesa che appaga lo sguardo con una serie di inquadrature che sembrano quadri e una fotografia calda e avvolgente che rende un ottimo servizio alle immagini, nella parte centrale e nel terzo atto soffre per un passo troppo frettoloso in cui si fatica a star dietro ai passaggi del racconto. Al punto che sembra girare un po’ a vuoto, quasi senza una direzione precisa e una strada da seguire e della quale tirare le fila.

Visivamente ammaliante, risulta a tratti un po’ ostico a livello narrativo, spesso ripetitivo e alquanto faticoso da seguire. Il messaggio è piuttosto lampante e, come dichiarato dalla stessa regista, gli effetti della storia raccontata in Harvest arrivano fino ai giorni nostri. Siamo «eredi di una storia universale di perdita della terra» e siamo stati incapaci di tutelare la dimensione del sé all’interno dei beni comuni. Un processo che è iniziato secoli fa e che ha avuto ripercussioni nell’epoca moderna fino ad arrivare ai giorni nostri, basti pensare agli odierni processi di riqualificazione di determinate aree urbane (la famosa gentrificazione). E ora si chiede e ci chiede Athina Rachel Tsangari con Harvest qual è la direzione da prendere? Qui il trailer.

harvest recensione

Harvest. BBC Films, Sixteen Films, Louverture Films, The Match Factory, Haos Film, Why Not Productions, Arte France Cinéma

Harvest

Voto - 6.5

6.5

Lati positivi

  • La scelta della regista greca di ambientare il film in un luogo e un tempo indefiniti apre facilmente alla possibilità di un'attualizzazione del messaggio
  • La fotografia e una regia che esalta ogni dettaglio della natura messa in scena

Lati negativi

  • Il passo diventa troppo frettoloso dalla seconda metà in poi
  • A tratti ostico e un po' ripetitivo

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