His House: recensione del film horror Netflix di Remi Weekes
La storia di una coppia di rifugiati, fra traumi e terrore
Quello della casa infestata è un tema molto praticato e classico del genere horror. Allo stesso modo sono diverse le pellicole nelle quali entità malvage si legano agli esseri umani perseguitandoli e annientandoli. In questo senso His House, horror originale Netflix di cui vi proponiamo la nostra recensione, non fa eccezione. Chi però decidesse di non dare una possibilità al film d’esordio del regista britannico Remi Weekes per timore del “già visto” commetterebbe un errore. Perché è vero che His House innesta la sua storia su un canone piuttosto classico e prolifico, ma lo fa partendo da una visione e con uno scopo ben precisi. Facendo sua la lezione di Jordan Peele, Remi Weekes confeziona un horror a sfondo sociale e politico, con al centro un tema di grande attualità. Il tema è quello del vissuto traumatico dei rifugiati e delle difficoltà di ricostruirsi una vita in terra straniera.
Bol e Rial sono due coniugi fuggiti dalla guerra civile e dagli orrori del Sud Sudan. Nella lunga traversata in mare, Nyagak, la figlia della coppia, muore annegata; un tragico destino condiviso con molti altri dei migranti. I due finiscono in un centro per richiedenti asilo nel Regno Unito; lì viene riconosciuto loro lo status di rifugiati e finalmente ottengono una casa. Bol e Rial cercano a fatica di destreggiarsi fra le mille regole imposte dalla loro condizione e di costruirsi una nuova vita. Ma fra le mura della loro nuova abitazione si nasconde un’oscura presenza; oscura come i fantasmi del passato che tormentano senza sosta Bol e Rial. Nel cast Sope Dirisu, Wunmi Mosaku, Malaika Wakoli-Abigaba, Javier Botet e Matt Smith. Il film è stato presentato in anteprima al Sundance il 27 gennaio 2020 ed è disponibile su Netflix dal 30 ottobre scorso.
Indice:
Fra dramma umano e horror sovrannaturale – His House, la recensione
Come già accennato in apertura della nostra recensione, His House è insieme un horror sovrannaturale d’impianto classico e un’analisi profonda di un dramma umano e sociale. Il dramma di una coppia in fuga dalla guerra e dall’orrore che trova in quello che dovrebbe essere un porto sicuro altre forme di guerra, altre sfumature di orrore. La guerra di Bol e Rial nel Regno Unito (dove, di preciso, non si sa) è ben diversa da quella vissuta in Sud Sudan, ma non per questo meno cruenta. Una guerra per affermarsi come individui, come parte di una società cui sanno di non appartenere e che non li vuole. Devono inserirsi nel tessuto sociale, ma senza lavoro, devono integrarsi ma senza rete di sicurezza alcuna; devono fare i bravi, possibilmente rimanendo invisibili. Una guerra contro il senso di colpa del sopravvissuto, mentre tutti ricordano loro che sono ben più fortunati di tanti altri.
L’orrore invece è quello che si portano dietro dal loro Paese, costantemente presente e amplificato dalla loro nuova condizione. Hanno l’orrore negli occhi Bol e Rial, nelle ossa, nella mente. E quell’orrore così concreto vissuto in Sud Sudan diventa sovrannaturale e mostruoso fra le mura del loro squallido appartamento. L’appartamento diventa il teatro dove tutti i giorni va in scena il trauma della coppia. Le mura ospitano fantasmi e presenze la cui natura è dolorosamente familiare; chi guarda scopre con Bol e Rial che loro due non sono gli unici ad essersi trasferiti. Fra quelle stesse mura vive una creatura mostruosa – una strega, ci spiega Rial – che si è impossessata dei due tormentandoli in ogni momento. Scopriremo perché questa strega abbia scelto proprio loro con un twist che aggiunge ulteriore spessore, drammaticità e significato alla storia.
Considerazioni tecniche
Proseguiamo la nostra recensione di His House soffermandoci su alcune considerazioni tecniche. Remi Weekes, firma anche la sceneggiatura del film, da una storia scritta da Felicity Evans e Toby Venables. Quello che colpisce della storia è la sua stratificazione, insieme alla molteplicità delle chiavi di lettura e delle simbologie. Weekes ne ricava uno script fertile, denso e complesso, ma nel contempo straordinariamente lineare e chiaro nel suo dipanarsi. Tutto ha una sua logica, una sua ragione. Non c’è nulla di casuale, nessun riempitivo; ogni elemento è funzionale al racconto. Il talento di Weekes è lampante soprattutto quando, con grande economia di parole e immagini, riesce a far emergere a tutto tondo il ritratto dei protagonisti. Vediamo poco, ad esempio, del passato di Bol e Rial, ma quel poco è così ben delineato che il risultato è di grande forza ed efficacia.
Forti di una scrittura solida, Sope Dirisu e Wunmi Mosaku interpretano i loro ruoli in maniera che non è esagerato definire impeccabile. Mosaku, in particolare, è davvero straordinaria; basta uno sguardo, un leggero movimento del volto o una flessione della voce per entrare nel cuore della sua Rial. Se da un lato His House funziona come rappresentazione di un dramma sociale, altrettanto fa come horror psicologico e sovrannaturale. Non mancano i momenti dove a farla da padroni sono ansia, inquietudine, terrore. Weekes si destreggia bene fra gli elementi portanti del genere horror, riuscendo, soprattutto nella prima parte del film, a mettere più di un colpo a segno anche con i jumpscare. Certo, col passare dei minuti ci si abitua e il film finisce con l’appoggiarsi un po’ troppo ad essi, ma si tratta di una “ingenuità” che si perdona volentieri.
Conclusioni – His House, la recensione
Arrivati alla conclusione della nostra recensione di His House non si può fare a meno di promuovere a pieni voti l’esordio cinematografico di Remi Weekes. Sia su Netflix che su Amazon Prime Video non mancano in questo periodo numerose offerte horror variamente declinate. Per Prime Video basti citare il progetto Welcome to the Blumhouse, con proposte, almeno finora, abbastanza deludenti e poco incisive. His House è un film che ha qualcosa da dire, sa come farlo e funziona nel suo stratificare il concetto di orrore. Orrore che non è mai fine a se stesso ma è un concetto ad ampio respiro, fertile di riflessioni e spunti. Ci sono gli spettri e il folklore, la dimensione psicologica e quella socio-politica.
Il dramma dei rifugiati è argomento quanto mai attuale e delicato, spesso trattato con superficialità e pressapochismo. His House sfrutta i meccanismi della paura e i mezzi del genere horror per mandare un messaggio e far emergere le sfumature di questo dramma. L’indifferenza e la cecità dei funzionari con cui Bol e Rial hanno a che fare (che li scherniscono, sminuendo le loro difficoltà), il razzismo latente della società; l’impossibilità di superare i traumi, il senso di colpa di chi sopravvive nei confronti di chi quotidianamente non ce la fa e muore in mare. Il film di Remi Weekes è tutto questo e molto altro, frutto di una visione solida e che porta avanti le sue istanze in modo coerente ed efficace. E il risultato è un film che vale la pena vedere, che resta addosso.
His House
Voto - 7
7
Lati positivi
- Sceneggiatura e regia
- Ottime le prove di Sope Dirisu e Wunmi Mosaku
Lati negativi
- Qualche jumpscare di troppo