House of Cards 6: recensione dell’ultima stagione della serie tv!
Analisi e recensione della sesta e ultima stagione della celebre serie targata Netflix
Nella vita nulla è per sempre. Nemmeno una serie TV. Infatti, quando quest’ultima volge al termine, entriamo in quello sconforto tale da vedere l’intero mondo privo di senso. Ci crogioliamo nella depressione, in noi stessi, cercando una ragione per vivere. Insomma: fate l’amore, non guardate le serie TV!
Comunque, scherzi a parte. House of Cards ha chiuso per sempre i battenti, andando incontro a questo amaro destino. La celebre serie TV targata Netflix, idealizzata da Beau William, è arrivata al capolinea con la sesta stagione, mettendo un punto fermo all’intera storia, trama e vicenda – con annessi intrighi e giochi di potere – che i coniugi Underwood hanno mostrato dal non tanto lontano 2013.
Le aspettative erano alte all’indomani dell’annuncio di una sesta stagione. Cosa ci saremmo dovuti aspettare dopo il fatidico “My turn” pronunciato da Claire Underwood a conclusione della quinta stagione? Era ciò che tutti si domandavano. Aspettative revisionate dopo lo scandalo che ha colpito Kevin Spacey e il nefasto annuncio di una sua non partecipazione alla serie. In altre parole: niente più Frank Underwood. Per sempre. Aspettative, infine, contrastanti dopo la visione dell’ultima stagione.
Ma procediamo con ordine attraverso la recensione di House of Cards 6.
House of Cards 6: recensione – Claire (Underwood) e i suoi nemici
Come detto prima, “My turn” è stato l’explicit della quinta stagione di House of Cards. Claire Underwood diventava Presidente degli Stati Uniti e, infrangendo la quarta parete, ribadiva allo spettatore di aver conquistato la scena.
Robin Wright riesce, tutto sommato, con abile bravura a rendere giustizia alla serie. Il suo personaggio, Claire, si dimostra essere forte, tenace, cinico al punto giusto, caparbio nel raggiungere i suoi obiettivi. È come se in tutti quegli anni accanto a suo marito Francis, si fosse temprata a dovere. (O forse è lei ad aver temprato il marito e, colta ormai l’occasione, dà modo di mettere in scena chi sia realmente?)
Claire deve fare i conti all’interno di una scacchiera, le cui pedine sembrano andarle contro. Da un lato troviamo il fantasma del defunto marito e di un pubblico che vuole (e deve!) sapere come è morto.
Lo so: volete sapere cosa gli è successo. Un uomo come Francis non muore e basta. Sarebbe troppo, come dire… comodo.
È tutto ciò che ci rifila con annesso dito medio. Il mistero della morte di Frank è l’elemento cardine sin dal primo episodio. Un re deceduto, la cui assenza pesa come un macigno all’interno della vita dei vari personaggi e sugli equilibri della Casa Bianca.
La fine dell’era Underwood accompagna il mondo maschilista e patriarcale contro cui doversi difendere. Attorno a Claire sembra esserci costantemente quell’alone di preoccupazione da parte dello staff e del suo vice, Mark Usher (Campbell Scott). Vi è il perenne dubbio e la perenne paranoia di un presidente, donna, che possa gravare sulla White House. Tuttavia Claire dà prova di essere un’amalgama di orgoglio, freddezza, machiavellismo, e ha tutta l’intenzione di non farsi soggiogare dalle pressioni interne ed esterne.
Me l’avrebbe chiesto se fossi stata uomo?
È la frase con cui punzecchia una soldatessa che nutre sospetti nei suoi confronti.
Infine, oltre ai volti già noti come Doug Stemper (Michael Kelly), abbiamo l’altro grande problema: la potentissima famiglia Shepherd, la cui influenza abbraccia i principali settori dell’economia, dell’esercito e dei media.
Bill Shepherd è un magnate che tenta di manovrare accordi stretti in precedenza con Frank Underwood. Annette Shepherd, sorella di Bill, si scopre essere stata compagna di scuola di Claire; è un personaggio subdolo, sofisticato, accattivante che cerca di aiutare il fratello nei suoi piani: portare alle dimissioni “la signora presidente”. Sullo sfondo appare Duncan, il (presunto) figlio di Annette, il quale mostra di possedere le carte in regola per essere quel villain con il volto da luciferino “angelo biondo”.
House of Cards 6 non accontenta tutti
Siamo sinceri. Nonostante le buone pretese e le buone volontà, l’ultima stagione di House of Cards è un perfetto connubio di luci e ombre. Lascia dietro una scia di spettatori per niente contenti. Unita alla trama che presenta delle “vistose” falle, dei buchi per niente tappati, di certo l’assenza di Kevin Spacey si dimostra essere un durissimo colpo, tanto da inficiare l’intera stagione. D’altronde realizzare un prodotto pro-femminista in un tempo risicato e che fosse all’altezza delle aspettative, privarsi del protagonista per eccellenza, hanno messo a dura prova i membri del team creativo.
Chiunque ha cercato di restituire ai fan un prodotto che raggiungesse dei punti elevati, così come le stagioni precedenti.
L’impresa si è dimostrata più ardua del previsto. La sfida che gli sceneggiatori e i registi hanno dovuto affrontare è stata complessa (e ne siamo riconoscenti).
Ma l’eliminazione fisica di Frank e sminuire a più riprese la sua figura, ha fomentato l’idea che l’assenza di Spacey sia l’anello debole dell’intera sesta stagione. Frank Underwood, d’altronde, è ovunque. È presente in ogni dialogo. Il suo nome ritorna quasi in ogni scena. Molti sono i riferimenti che fanno il suo nome un oggetto di discussione. E tutto questo è il minimo che si è potuto fare.
Scardinare l’intera trama, non solo è risultato essere un tentativo del tutto vano. Ha rischiato di compromettere persino la forza trainante di Claire. Si è tentato di dare una valida risposta attraverso l’apparizione, senza preavviso e giustificazione, di nuovi personaggi (molto belli e intriganti, per carità!). Ma, con loro, rimangono gli interrogativi: chi sono? Da dove vengono? Quali reali collegamenti hanno con le stagioni precedenti? Ci siamo persi qualche passaggio?
Dispiace anche aggiungere che la regia, da sempre mastodontica, sembra crollare sul nulla, con inquadrature scremate e poco incalzanti. È come se, a tratti, la sesta e ultima stagione risulti essere una versione semplificata dell’intera saga.
House of Cards 6: “Dovevo proteggere l’eredità di un uomo”
Sembra una citazione che rispecchia un’amara realtà. Sin dalle stagioni precedenti, siamo stati abituati alla presenza di personaggi che hanno sempre creato una perfetta omogeneità. Ciò era dettato, senza dubbio, dalla presenza di Francis, i cui protagonisti si trovano, adesso, a cambiare il tutto attorno ad un’assenza. Le rispettive magnificenze e le loro interpretazioni sono eccellenti. Ma si devono scontrare con la realtà dei fatti: privati del punto focale.
Robin Wright ha dato prova del suo talento e ha mostrato di avere una dote ottima. Si carica sulle spalle la responsabilità più grande di una stagione, secondo alcuni, addirittura nata morta. D’altronde come biasimare l’attrice per la scelta di ritirarsi dalle scene quando la produzione era ancora in atto sotto il grido: o con Kevin Spacey o niente.
I fratelli Shepherd sono buoni personaggi, ma che risulta difficile giudicare a tutto tondo perché mancano di una reale storia. Ottimo, però, è da segnalare il ruolo di Bill Shepherd, del magnate cospiratore che offre allo spettatore qualcosa di interessante e godibile.
Diverso è il caso di personaggi come Annette. Ennesimo collegamento al defunto Frank, per quanto sia intrigante, ambigua e tenti di fare la parte della “burattinaia”, il personaggio tende a ridursi ad emblema della competizione femminile di quelle sottotrame da salotto.
E infine Doug Stamper. È sempre stato il braccio destro cinico e ineffabile del ex presidente Underwood. Capace di compiere il lavoro sporco e pronto a dare la vita per lui. Nell’ultima stagione abbiamo a che fare con un Doug ossessivamente legato alla memoria di Frank, pronto a vendicare la sua morte, a rintracciare i colpevoli. Per ritrovarsi, infine, a chiudere i conti con House of Cards in modo deplorevole. Insomma, una misera parabola discendente.
Nel complesso tutto sembra creare una sovrapposizione superficiale della trama, per niente paragonabile alle macchinazioni di Frank per annientare i nemici.
House of Cards 6: recensione – Conclusione
Con il capitolo 73 è giusto dire che il bilancio dell’ultima stagione non è completamente positivo. Tutto è stato incentrato sulla demolizione dell’immagine di Frank Underwood, a partire proprio da Claireche l’ha imitato, osservato, combattuto, amato e odiato.
Le scelte degli sceneggiatori sono il riassunto della situazione precaria nella quale è sprofondata la produzione, nonostante le scuse pubbliche dell’attore. Il prodotto finale è un tentativo di concludere la stagione nel migliore dei modi, e in parte questo è stato realizzato. Ma avrà sempre alle spalle quell’ombra negativa di non aver fatto abbastanza.
Frank Underwood a inizio serie disse che esistono due tipi di dolore: quello che fortifica e quello inutile, che è solo sofferenza. Forse la sesta stagione di House of Cards è un dolore inutile.
House of Cards 6
Voto - 7.5
7.5
Lati positivi
- personaggi nuovi
- femminismo
- trama
Lati negativi
- assenza di Kevin Spacey
- finale