Il buco: recensione del film thriller-horror originale Netflix
Il collasso della civiltà tra sopravvivenza, sopraffazione e cibo
Saresti in grado di salvare il mondo dal suo nemico più efferato? La risposta è no, a meno che tu sia una lumaca con un libro in mano. Il nemico più efferato del mondo è l’uomo, e noi lo sappiamo anche senza guardare Il buco, film di cui vi proponiamo la recensione. Quello che non sappiamo, però, è chi sia la lumaca con il libro in mano. Per capirlo vale la pena di guardare questa nuova distopia Netflix (il cui titolo originale è El Hoyo). In una prigione verticale, alcuni reclusi rischiano di morire di fame perché altri si ingozzano. E se qualcuno degli affamati decidesse di ribellarsi? Quali caratteristiche deve avere un ribelle per sperare di trionfare? Fino a che punto siamo disposti a sacrificarci in nome di qualcosa di più grande? Domande banali forse, a cui però Il buco risponde con immagini originali, disturbanti e molto eloquenti.
A realizzare Il buco è stato Galder Gaztelu-Urrutia, regista spagnolo al suo primo lungometraggio; il film è stato presentato al Toronto International Film Festival, durante il quale Netflix ne ha acquisito i diritti. L’anteprima europea è avvenuta al Sitges – Festival internazionale del cinema fantastico della Catalogna, dove la pellicola ha vinto ben quattro premi. Nel cast del film gli attori Iván Massagué, Zorion Eguileor, Antonia San Juan (Tutto su mia madre) e Emilio Buale Coka. Il film si concentra sulla figura di Goreng, l’unico tra i reclusi che ha scelto di entrare nella prigione (gli altri vi sono stati rinchiusi loro malgrado). Di fronte all’atrocità dilagante e ai ripetuti soprusi, l’uomo tenterà di sovvertire il sistema della prigione. E mentre scoprirà dei lati oscuri di sé e della natura umana, qualcosa metterà a dura prova la sua missione. Scopriamo qualcosa in più del film addentrandoci nella nostra recensione.
Indice
La trama – Il buco recensione
Due uomini si ritrovano compagni di cella in una prigione verticale. Il primo, il più giovane e sprovveduto, è al suo primo giorno di reclusione; il secondo, un anziano dall’aria torbida, sconta già da qualche mese il suo periodo di prigionia. Il più giovane è parecchio spaesato, così l’anziano gli spiega le regole di approvvigionamento della struttura: ogni giorno, attraverso una piattaforma che arriva dall’alto, i reclusi ricevono la propria razione di cibo. Questa piattaforma viene imbandita (da chef degni delle tre stelle Michelin) al piano più alto della struttura; passando attraverso un grande buco nel pavimento di ogni cella, la piattaforma scende fino ad arrivare al piano più basso. Ogni piano ospita non più di due persone, e queste hanno a disposizione un tempo limitato per consumare il proprio pasto. Fin qui sembrerebbe tutto ben organizzato, atto a garantire la sussistenza di ogni ospite della torre.
Ma cosa accade se chi sta ai piani alti ha la possibilità di consumare più cibo di quello che gli spetta? Semplice, lo consuma. Così i piani alti possono godere di pasti luculliani, e chi sta ai piani più bassi è costretto a lunghi digiuni (talvolta interrotti da episodi di cannibalismo tra compagni di cella). A giudicare dai primi minuti del film, e dal racconto del vecchio ospite della prigione, lo spettatore crede di trovarsi di fronte alla più classica delle distopie: gli oppressori in alto, gli oppressi in basso. I primi si abbuffano, gli altri soccombono. E se i prigionieri fossero costretti ad alloggiare ogni mese a un piano diverso della prigione? Se tutti, dai benestanti ai derelitti, allo scadere dei trenta giorni trascorsi al settimo piano rischiassero di precipitare fino al novantesimo?
Sopravvivenza animale e sopraffazione umana
Ogni uomo, avendone facoltà, consuma più di ciò di cui ha effettivamente bisogno. Perché ciò accade? E cosa scaturisce da questo comportamento? Il buco prova a rispondere a questi due quesiti. Come ogni animale, l’uomo ha l’istinto di provvedere alla propria sussistenza; appagati i bisogni primari, costui inizia a sviluppare bisogni secondari (bisogni indotti, non connaturati). In questo film coloro che risiedono ai piani alti, pur sazi, continuano a divorare cibo; sanno che quelle abbuffate priveranno altri prigionieri dello stretto necessario a sopravvivere, e nel farlo sembrano provare piacere. Chi sta ai piani alti, ne Il buco, ha vissuto anche ai piani bassi: sa cosa significa patire la fame, sa di aver sofferto a causa di qualcuno che ha mangiato più di quanto gli spettasse. Cosa scaturisce dalla consapevolezza di soffrire a causa dell’avidità altrui?
L’uomo, oppresso da un suo simile, sviluppa odio e desiderio di rivalsa; in questa prigione, una società di autogestione verticale, non c’è spazio per la cooperazione. L’odio è più potente della fame, il bisogno di vendetta è più resistente dell’istinto di sopravvivenza. Il microcosmo de Il buco, costruito sulla contrapposizione tra sazi e affamati, è infettato dal virus dell’odio; una simile società naviga a vele spiegate verso l’autodistruzione. Il bisogno di prevaricare surclassa l’istinto di sopravvivenza, e tutto collassa in tempi brevi. Niente è più forte dell’odio di chi ha digiunato perché qualcun altro ha mangiato una panna cotta in più. Il buco usa il cibo per ritrarre l’uomo intento ad annientare sé stesso, mentre sghignazza soddisfatto e si gratta la pancia colma di cibo. E mentre desta disgusto nello spettatore, l’uomo ingordo prova ribrezzo per la lumaca, capace di consumare il necessario senza mai eccedere.
Analisi tecnica – Il buco recensione
La sceneggiatura alterna momenti di assalto verbale tra i protagonisti (che si affrontano tramite dialoghi pregnanti e mai superflui) ad altri di azione più carnale, vorace. Questa alternanza dà vita a un sapiente contrasto tra le due facce dell’essere umano: intelletto e animalità, ragione e istinto. Il film si apre seguendo linee quasi realistiche, mimetiche e a tratti introspettive, per degradare verso un simbolismo sempre più ingombrante. Le varie tappe dell’iter di ogni recluso si cristallizzano nella caratterizzazione dei vari personaggi: c’è chi ha già capito il meccanismo, e ha imparato a essere disposto a tutto; chi è appena arrivato, e crede di riuscire laddove gli altri hanno fallito e poi c’è chi ha fiducia negli altri e viene punito per questo. I personaggi si descrivono bene attraverso le proprie parole. Necessario sottolineare a questo punto della nostra recensione de Il buco le scelte stilistiche del film.
Le tinte fredde e il largo uso delle sfumature del grigio corroborano l’atmosfera squallida che permea la struttura verticale; da questo grigio diffuso e dai toni sbiaditi emergono i colori più accesi di un banchetto sontuoso, che fa presto a diventare una piattaforma dilaniata. La luce rossa che si accende ogni notte nelle celle fa da specchio all’atmosfera notturna della prigione, colma di timore e angoscia: è in quelle ore, infatti, che il recluso più affamato (non si sa di cosa) può approfittare del sonno del suo compagno di cella, e fare di lui ciò che vuole. Tra disgusto e riflessione, tra staticità realistica e azione metaforica, la macchina si concentra ora sui volti dei protagonisti, ora sulla desolazione del luogo; la regia alterna momenti splatter ad altri dialogici. In alcuni momenti, poi, il film si screzia di tinte grottesche e parodistiche che smorzano i toni più gravi.
Considerazioni finali – Il buco recensione
Siamo tutti uguali di fronte alla paura. Ognuno di noi rischia di precipitare, ma per chi sta in basso l’impatto sarà meno doloroso. E infine tutti, sazi e affamati, prima o poi abbiamo voglia di mollare la presa; ma forse il sazio finirà per mollare prima, mentre l’affamato sarà ancora intento a lottare per il cibo. Sono tante le considerazioni che può generare la visione dell’opera, un film che ribadisce come nessuno sia immune alla depravazione. Avviandoci alla conclusione della nostra recensione de Il buco, ci sentiamo di promuovere questo prodotto televisivo originale Netflix. Il film tratteggia con efficacia i mutamenti dell’animo umano di fronte a certe condizioni estreme: dal cameratismo al cannibalismo, dall’ingordigia alla diffidenza, tutto è ritratto con immagini parossistiche.
Ambientato in una struttura verticale che ha i suoi prodromi ne Il condominio di Ballard, Il buco ha in sé alcune atmosfere del film Snowpiercer (in cui i protagonisti erano chiusi però all’interno di un treno); sviluppa spunti interessanti in modo dinamico, dando un’impronta personale a un prodotto che sulla carta poteva scadere nel già visto. L’idea di far ruotare i detenuti mensilmente evoca il destino avverso comune al genere umano, senza differenza di ceto; in questo modo lo spettatore non ha l’istinto di parteggiare per qualcuno, di identificarsi col debole. Ne Il buco tutti sono deboli, tutti ricorrono alla sopraffazione e tutti suscitano orrore. Si attacca per non essere uccisi, si mangia per non essere mangiati. Nessuno è tanto adamantino da essere immune ai piani bassi; e chiunque voglia portare qualcosa ai piani alti, deve prima prepararsi a scendere fino in fondo. Senza alcuna garanzia di risalire.
Il buco
Voto - 7
7
Lati positivi
- La scelta della distopia a rotazione costante è più interessante di quella tradizionale, in cui la contrapposizione tra oppressori e oppressi è fissa
- Colpisce lo spettatore con immagini forti e nauseanti, piuttosto che perdersi in fiacchi intellettualismi
- Tutti gli attori regalano buone performance e risultano credibili
Lati negativi
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- Del tutto sconsigliato agli stomaci deboli
- Lo squilibrio tra una prima parte più realistica e una seconda più simbolica potrebbe lasciare interdetto lo spettatore, soprattutto sul finale