Il Pataffio: recensione del film di Francesco Lagi
Una farsa storica ben diretta e interpretata che fa sorridere senza essere volgare
Al cinema dal 18 agosto, Il Pataffio, film di cui vi presentiamo la recensione in questo articolo, è un film scritto e diretto da Francesco Lagi. La pellicola, in costume, vanta un ben assortito cast di attori italiani: tra cui Alessandro Gassmann, Lino Musella, Giorgio Tirabassi e Valerio Mastandrea. Il Pataffio ha partecipato alla 75ª edizione del Locarno Film Festival. Tratto dall’omonimo romanzo di Luigi Malerba (Quodlibet 2014), racconta una buffa e grottesca vicenda, ambientata nel Medioevo. Dai toni parodistici, come quelli del romanzo da cui è tratto, Il Pataffio (qui il trailer) spicca subito per la divertente miscellanea linguistica che lo contraddistingue. I personaggi, infatti, parlano una lingua maccheronica, semi romanesca, semi latina con contaminazioni strambe e parodistiche. Si tratta a tutti gli effetti di un micromondo medievale, scanzonato come gli scalmanati protagonisti, perennemente affamati e disgraziati, che si muovono a tentoni con tentativi a dir poco fallimentari, cercando, invano, di risollevare la loro sorte.
Dalla bella fotografia di Diego Romero, il film, ha anche una gradevole e convincente colonna sonora, curata da Stefano Bollani. Le melodie hanno un che di popolare, una musica folkloristica, a tratti naif come le caricature che abitano il Fanta Medioevo Malerbiano. Queste fanno spesso da sipario alle vicende che intercorrono tra gli sfortunati e ridicoli personaggi della storia, conferendo una poeticità malinconica a vicende che di poetico non hanno nulla, se non l’elogio agrodolce della sconfitta. Lo stile è molto vicino al classico di Monicelli L’Armata Brancaleone (1966), intriso però di più pessimismo, in quanto, da un simpatico perdente, Brancaleone (interpretato da Vittorio Gassmann) è pur sempre un sognatore, semmai deriso da chi lo circonda. Come una sorta di Don Chisciotte egli ha il mito della cavalleria, pur non avendo le abilità per essere cavaliere.
Indice:
Un medioevo imbarazzante – Il Pataffio recensione
Il marconte Cagalanza (interpretato con carisma da Lino Musella) è uno stalliere che sposa una castellana per elevare la sua condizione. La dote per il matrimonio è un castello, che lui e la marcontessa Bernarda (Viviana Cangiano) raggiungono in carrozza, scortati da un manipolo di approssimativi soldati. Il castello promesso, però, è in realtà una caricatura: un rudere circondato da aree rocciose e improduttive, un possedimento senza alcuna ricchezza. I “villani” sono affamati e disperati; ma il testardo Cagalanza non si arrende. “Sognatore prepotente”, non accetta lo scacco subito e obbliga la sua sgangherata corte ad obbedire ai suoi assurdi ordini, per rendere “grande” la fortezza. La situazione non potrà che peggiorare… Al contrario che in L’Armata Brancaleone il personaggio principale è a suo modo un despota, un parvenu, che è stato imbrogliato, e che con le unghie e con i denti si aggrappa al suo podere.
Le sue improbabili idee, così come quelle del suo fedele consigliere – un bravissimo Giorgio Tirabassi – rappresentano gran parte del divertimento de Il Pataffio, assieme al pittoresco linguaggio utilizzato. La caratterizzazione dei personaggi è forte: dal rozzo e discutibile frate (Alessandro Gassmann in una veste abbastanza atipica), ai fedeli ma sconclusionati soldati (Giovanni Ludeno e Vincenzo Nemolato), alla pingue e scontenta contessa, al furbo e affamato capo dei villani (Valerio Mastandrea). Sono tutte figure stereotipate e grottesche, macchiette di un Medioevo imbarazzante, in cui poveri e “ricchi” sono in realtà sullo stesso piano. La pomposità del cavalierato viene ridicolizzata e denudata nella sua mediocrità di fondo. Rispetto all’Armata Brancaleone manca il tono da avventura cavalleresca scanzonata, mentre permane ne Il Pataffio l’effetto caricaturale generalizzato. I toni sono in verità ancora più grotteschi, seppure la regia li affronti con garbo senza adottare un linguaggio visivo scurrile, così come più marcata è l’ironia nera.
Farsa d’autore e black humour storico – Il Pataffio recensione
In tal senso Il Pataffio risulta essere molto dissacrante, in linea con il romanzo da cui è tratto. Pur essendo costituito da situazioni episodiche, il film è cucito abbastanza bene insieme ed ha un filo continuo nel tracciare le trame comiche della storia. Il tono è spassoso e i personaggi talmente buffi e assurdi da suscitare il riso, una risata amarognola cui si mescola anche un po’ di pietà per questi personaggi sfigati, testardi e assolutamente anti-eroici. Apprezzabili anche i costumi che rendono le figure iconiche. Gran merito al cast che rende credibile una farsa che, in altre mani, avrebbe di certo scricchiolato o rischiato una demenzialità puerile. Il lavoro attoriale è molto curato. La convinzione degli interpreti permette alla trama sgangherata di reggersi con solidità sulle sue gambe. Potremmo definire Il Pataffio come un film dal black humour storico. Del resto è lo stesso titolo (Epitaffio) a suggerire tale linea interpretativa.
Con le dovute differenze, anche culturali, vengono in mente alcuni titoli inglesi come Brian Di Nazareth (1979) e Il senso della vita (1983) del gruppo di comici Monty Python (Graham Chapman, John Cleese, Terry Gilliam, Eric Idle, Terry Jones e Michael Palin). Il Pataffio condivide l’ironia scanzonata e il black humour, più soft rispetto a quello talvolta al vetriolo dei film inglesi. Inoltre nel film di Francesco Lagi si mantiene un’unità di fondo che è estranea invece alla episodicità delle pellicole dei Monty Python. La cornice storica poi, per quanto sia una presa in giro, è verosimile soprattutto al livello scenografico e ciò rende la parodia efficace. Il difetto del film è la parte finale, un po’ troppo arida e seria rispetto all’inizio. Chiudere il cerchio con maggiore ironia o con una qualche stramba speranza avrebbe reso Il Pataffio meno pedante, quanto meno sullo spettatore, con note più comiche che drammatiche.
Il Pataffio
Voto - 7
7
Lati positivi
- Le ottime prove da parte del cast nel suo insieme
- Una convincente e scenografica farsa in costume
Lati negativi
- Il finale risulta forse un po' troppo amaro